Letto: 5843 volte | Inserita: lunedì 28 marzo 2022
| Visitatore: Anonimo
Sono una mamma di una bambina di 8 anni e sono separata. Ho più volte espresso la mia ferma opposizione alla pubblicazione di foto di nostra figlia sui social, ma mio marito continua, anche in modo insistente, a diffonderle. Ha valore il mio mancato consenso?
Oggi scattare una foto con il telefono cellulare e pubblicarla sui social è diventato un gesto praticamente automatico. Tuttavia, è doveroso precisare che se la nostra vena artistica può essere sfoggiata nei modi più svariati quando si tratta di noi stessi, gattini, cagnolini, paesaggi mozzafiato e cibi “instagrammabili”, lo stesso non può avvenire con la pubblicazione delle fotografie di bambini.
Da sempre, infatti, l’ordinamento italiano (e anche quello internazionale) ha avuto la massima attenzione al tema della pubblicazione di foto che ritraggono i “soggetti deboli”, quali sono i minori, i quali, da soli, non potrebbero applicare strumenti giuridici per preservarsi da comportamenti (talvolta anche privi di intenti lodevoli) violativi della loro privacy.
In Italia, quindi, regola ormai consolidata è che per postare sui social network foto di soggetti minorenni sotto i 14 anni è necessario avere il consenso dei genitori. Per i ragazzi di età superiore ai 14 anni, invece, si dovrà considerare la volontà del minore, conciliandola con coloro i quali esercitano la responsabilità genitoriale.
Quando si tratta di minori, il nostro codice civile impone ai genitori il dovere di cura e di educazione nei loro confronti, che implica pure la corretta gestione della loro immagine nel pubblico. Da questo deriva che se i genitori disattendono questi doveri, dovrà intervenire il Giudice a tutelare i più piccoli dai rischi della sovraesposizione sui social.
Fin quando la coppia è unita, non sorgono particolari problemi: di volta in volta, i genitori stabiliscono di comune accordo come procedere e se procedere alla pubblicazione dell’immagine dei propri figli.
Quando, invece si tratta di una coppia separata, il disaccordo e la discordia delle opinioni possono condurre sino al Tribunale. Non pochi sono stati i casi nei quali il genitore dissenziente si è dovuto rivolgere al Giudice per vedere tutelato il diritto del proprio figlio al rispetto del decoro, della reputazione e dell’immagine; più in generale, quindi, a non far subìre al minore un’arbitraria e ingiustificata interferenza nella sua vita privata.
La giurisprudenza dei vari tribunali d’Italia è praticamente unanime nel ritenere che l’inserimento delle foto dei figli minori sui profili personali dei social network, costituisca un comportamento potenzialmente pregiudizievole. Nessuno dei genitori, dunque, può pubblicare, le foto del figlio sul proprio social network se l’altro si oppone.
E questo per svariate motivazioni. Oltre alla tutela di immagine, privacy e riservatezza del minore, il mondo del web, così come definito dalla Corte di Cassazione nel 2014, è un “luogo aperto al pubblico”: un semplice click può provocare la diffusione incontrollata delle immagini tra un numero indeterminato di persone, più o meno conosciute, le quali potrebbero, con procedimenti di fotomontaggio, creare materiale pedopornografico da far circolare in rete.
Il Giudice, dunque, sul piano civile, accertato il disaccordo tra i genitori, provvederà a ordinare l’immediata rimozione delle immagini raffiguranti il minore, nonché a calcolare la liquidazione della somma a titolo di risarcimento dei danni morali che questa pubblicazione ha provocato.
Addirittura, recenti pronunce (Trib. Rieti 2019) hanno previsto ulteriori sanzioni da infliggere al genitore inadempiente per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione.
In conclusione quando non si riesce a far comprendere al padre del proprio figlio (così come a nonni, zii e nuovi compagni) che è giusto che ci sia distinzione fra l’online e l’offline, si potrà benissimo ricorrere al Tribunale, e, in quella sede, sarà certamente garantita la rimozione immediata delle foto nelle quali il minore è ritratto, nonché l’inibizione alla diffusione futura di ulteriore materiale.