di Marco Montrone

Il Bari è in crisi: cambiamenti confusionari e presidente sempre troppo protagonista
E’ l’inizio dell’estate del 2014. Gli odiati Matarrese hanno lasciato il Bari, la squadra (praticamente autogestita) è arrivata a un passo dalla serie A, i tifosi dopo anni sono tornati a riempire le gradinate del San Nicola e la società è stata rilevata dal neonato Football Club Bari 1908. In città si respira tanto entusiasmo: sembra l’inizio di una nuova era, anche perché il nuovo presidente, il coraggioso e ambizioso Gianluca Paparesta (alla prima esperienza come dirigente) pone come obiettivo immediato il ritorno nella massima serie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sono passati quasi due anni da quei momenti, dalla cosiddetta “meravigliosa stagione fallimentare”, ma quella serie A non è arrivata, il Bari è attualmente fuori dalla zona playoff (e in silenzio stampa), ha cambiato già tre allenatori (e decine di calciatori) e la società non naviga nell’oro, costretta a privarsi anche di uno dei suoi migliori giocatori (Sabelli) pur di racimolare quegli euro necessari per tirare avanti. Il nuovo Bari è già in crisi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma quali sono le ragioni di questo fallimento? Abbiamo provato a dare una risposta. Andiamo con ordine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dicevamo dell’estate del 2014. La squadra era arrivata fino ai playoff mancando di poco la promozione, guidata dal direttore Guido Angelozzi e allenata dalla coppia Alberti-Zavettieri che utilizzava un convincente 4-3-3. I giocatori che andavano in campo erano sempre quelli: si trattava di un gruppo solido che sembrava essere unito anche fuori dal campo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Paparesta si ritrova quindi tra le mani un giocattolino che funziona, ma al posto di confermare in blocco tutto lo staff tecnico, sceglie di cambiare radicalmente. Lascia andar via Angelozzi (per prendere più che un manager un esperto di mercato come Stefano Antonelli), cede o non trattiene alcuni giocatori protagonisti della stagione (Ceppitelli, Polenta, Joao Silva, Cani), cambia allenatore (Devis Mangia) fautore tra l’altro del 4-4-2. Un dato significativo visto che tutta la campagna acquisti viene basata sulla nuova impostazione di gioco, portando anche i “top player” di quella squadra (Galano e Sciaudone) ad adattarsi al nuovo regime tattico imposto da Mangia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il campionato comincia così con una squadra completamente rivoluzionata. Lo diciamo subito, non siamo contro i cambiamenti, ma nei nuovi progetti bisogna crederci fino in fondo. E invece che cosa avviene? Mangia dopo i primi risultati negativi decide di tradire le sue convinvinzioni per ritornare a un 4-3-3 imposto da società e pubblico (pur avendo giocatori comprati per interpretare al meglio un altro modulo), per poi essere esonerato dopo appena 14 giornate per far posto a Davide Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ l’inizio della confusione. Nicola appena arriva a Bari cambia di nuovo modulo e passa al 3-5-2. Si imposta poi la campagna acquisti di gennaio sul nuovo sistema di gioco, ma poi l’allenatore cambia idea e ritorna al 4-3-3. I risultati non arrivano: la stagione è ormai compromessa  e il Bari non raggiunge nemmeno i playoff, terminando il campionato al decimo posto.  A questo punto Paparesta decide di rompere anche con il ds Stefano Antonelli, che però non viene sostituito: il presidente sceglie di continuare da solo, affiancato dal “consulente di mercato” rumeno Ravzan Zamfir (mai sentito prima e con nessuna esperienza nel campionato italiano).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Insomma dopo appena un anno Paparesta si ritrova alla guida di una squadra da lui rivoluzionata e controrivoluzionata, il tutto agendo da solo, senza avvalersi di un direttore generale, di un manager con esperienza in quel ruolo e capace di gestire un team facendo da collante tra l’area tecnica e quella dirigenziale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Riparte comunque il campionato dopo una campagna acquisti fatta “sulla cresta dell’onda” (anche se basata su prestiti e giocatori over 30 seppur importanti) e con la conferma di Davide Nicola (nonostante i malumori della piazza). Questa volta la squadra dà maggiori garanzie: il Bari appare stabile tra le prime 8 del campionato e sembra poter arrivare tranquillamente ai playoff al termine della stagione. Ma non gioca benissimo. Tanto basta però per far cambiare di nuovo idea a Paparesta che dopo 21 giornate esonera Nicola e ingaggia Andrea Camplone che “chiaramente” appena arriva a Bari promette la serie A. Con lui oltre ai risultati la squadra dovrebbe ritrovare il bel gioco. Come se fosse facile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quante squadre in Italia riescono a vincere e giocare bene? Pochissime. E quelle che lo fanno sono, in una parola: organizzate. Sono società che hanno sposato un progetto. Come si può pensare che un allenatore arrivi a stagione in corso e riesca in tutto, portando nel giro di poco tempo a coniugare belle prestazioni e ottimi risultati? Non si può credere, tanto è vero che Camplone fa peggio del suo successore inanellando una serie di risultati negativi, dopo una campagna acquisti di gennaio che ancora una volta aveva cambiato faccia alla squadra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ora siamo a marzo e non possiamo sapere come si concluderà questa annata per il Bari. Ma una cosa è certa: la squadra ha urgente bisogno di una guida, di un direttore generale capace (alla Regalia, alla Perinetti, alla Angelozzi) che prenda in mano la squadra e porti avanti le proprie idee senza interferenze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Paparesta deve fare un passo indietro, non può continuare a essere "presidente-manager-direttore generale-direttore sportivo" senza poi avere alcuna esperienza nel calcio dirigenziale. Del resto neanche lui ha dimostrato di credere fermamente nelle sue idee, che ha cambiato troppe volte. Da Paparesta ci si aspetta meno protagonismo. Tra l’altro in questo modo avrà più tempo per mettersi alla ricerca di risorse finanziarie, di sponsor, di nuovi investitori, per far entrare in cassa quel denaro senza il quale comunque non si va da nessuna parte.


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