Molfetta, tra fantasmi e spietate esecuzioni la storia della solitaria Masseria Navarino
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giovedì 17 dicembre 2020
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di Mina Barcone - foto Sonia Carrassi
Il sito fu eretto a partire dal 1554 dalla famiglia Gadaleta e deve forse il suo nome alla Navarra, regione iberica in cui era nato Ferrando Briones, sposo di Costanza Gadaleta. Una provenienza non casuale, visto che proprio in quegli anni gli spagnoli presero il controllo di Bari e dintorni, allestendo persino un sistema di fortificazioni costiere per proteggersi dai pirati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il podere, segnalato sulle mappe del Regno di Napoli, divenne "famoso" tra la gente del posto nel 1746, quando in una notte di tempesta don Gregorio Gadaleta diede riparo a tre viandanti. Gli ospiti in realtà erano dei ladri, che approfittarono della generosa accoglienza per derubare il padrone di casa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I malviventi però furono catturati e condannati a morte. Il 4 luglio 1749 vennero quindi portati sul luogo del furto e impiccati, ma la sete di vendetta non si esaurì nell'uccisione: i cadaveri furono smembrati e appesi agli alberi circostanti. Uno "spettacolo" che servì da monito per eventuali emulatori, attirando curiosi anche dai paesi vicini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La vicenda inaugurò una lunga serie di dicerie popolari: la dimora divenne infatti "teatro" di fenomeni paranormali, rumori "anomali" e presunti avvistamenti dei fantasmi dei briganti. Ipotesi che tuttora catalizzano l'attenzione dei "ghost hunters", come quelli dell'Associazione italiana ricercatori del mistero, autori nel 2015 di un sopralluogo all'interno della tenuta in cui rilevarono voci di ignota provenienza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungerla partiamo dalla zona industriale di Molfetta e imbocchiamo strada vicinale Coppe, arteria che costeggia il centro commerciale Mongolfiera e passa non lontano da un'altra "losca" costruzione: il millenario "Chiuso della Torre". La via è piuttosto angusta: la abbandoniamo dopo circa 6 chilometri, svoltando prima a sinistra in traversa Antignano e poi subito a destra nella sterrata strada vicinale Navarino. Dopo un chilometro la nostra meta appare sulla sinistra, seminascosta da una selva di ulivi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il complesso è composto da due fabbricati in pietra posizionati a qualche decina di metri di distanza. Sul tetto della prima spiccano due torri gemelle a pianta quadrata: fungevano da colombaie e non è un caso che al nostro arrivo, sentendo il calpestio del terreno, decine di uccelli decidano spaventati di volare via.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'edificio è circondato da un alto muro di recinzione che cingeva il giardino dei Gadaleta. Diamo un'occhiata agli interni, ritrovandoci in un ambiente col soffitto basso, tipico delle neviere: qui durante l'inverno veniva raccolta la neve, da conservare e utilizzare nella stagione calda per tenere al fresco il cibo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lasciamo lo stabile per dirigerci verso la masseria vera e propria. Durante il cammino passiamo accanto alle ampie arcate del palmento, la vasca destinata alla pigiatura dell'uva e alla fermentazione dei mosti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Giungiamo così dinanzi all'immobile principale, di base rettangolare, con un’altezza di circa 15 metri. È dotato di quattro finestrelle provviste di inferriata e tre ingressi. In alto a destra spunta una vedetta: la masseria ha infatti le sembianze di una tipica "torre" barese, modello di costruzione che unisce elementi abitativi e accorgimenti per difendersi dai nemici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo l'entrata centrale sulla quale fino al 1998 insisteva una targa (trafugata da ignoti), scolpita per ricordare l'esecuzione dei fuorilegge. L'interno del piano terra è un ambiente voltato a botte a sezione ellittica. «Qui probabilmente c'era il forno - spiega l'architetto Paolo Tupputi, nostro compagno di viaggio -. Lo desumiamo dalle due nicchie scavate sotto la scalinata che porta al primo piano: una, con una calotta, destinata alla cottura delle pietanze e quella inferiore usata per accendere la legna».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le pareti del vano sono chiaramente annerite da un incendio e cosparse di scritte fatte con bombolette spray. Il pavimento è invaso da cumuli di macerie. Ma oltrepassando un varco, sulla destra, lo scenario lugubre è spezzato da un'inattesa sorpresa: una chiesetta con tanto di affreschi ancora parzialmente visibili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il luogo sacro fu allestito nel 1687 e dedicato a san Francesco di Paola. Il rossiccio delle decorazioni risalta ancora a distanza di secoli, malgrado l'avanzata inesorabile della muffa sul soffitto e i sacchi di rifiuti sparsi per terra. In fondo, sul muro che un tempo accoglieva l'altare, campeggia una frase di ispirazione dantesca: "Qui si entra nella città dolente, qui si entra nell'eterno dolore". Di doloroso però c'è solo l'imbrattamento con la vernice di un sito così antico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo nell'ambiente iniziale, imboccando la scalinata che conduce al primo piano. Qui sono disseminate quattro ampie stanze, due delle quali svelano in parte l'originale colore azzurro delle pareti. Il silenzio assordante è rotto unicamente dal rumore dei nostri passi. Un'apertura rettangolare, preceduta da un cumulo di massi, rivela la posizione del camino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
C'è anche un balconcino da cui poter osservare la campagna circostante, ma decidiamo di ammirare il panorama da una posizione più privilegiata. Da un vano con volta a botte unghiata si dirama infatti una rampa che sbuca sul tetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sulla terrazza è possibile guardare da vicino le garitte difensive aggettanti che avevamo adocchiato dall'esterno dell'edificio: somigliano a dei piccoli fienili e sono dislocati agli angoli della struttura. E finalmente ci si può godere la vista spettrale del sito, con le due torri, la neviera e il palmento che fanno capolino in mezzo a una distesa sconfinata di ulivi. Il tutto contornato da un cielo nuvoloso che annuncia un imminente acquazzone: proprio come in quella sera del 1746, quando i tre ladri spezzarono per sempre l'armonia della masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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