Scheletri, teschi e reliquie: è la lugubre ma affascinante chiesa del Purgatorio di Bitonto
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giovedì 8 aprile 2021
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di Federica Calabrese - foto Valentina Rosati
Così, dopo l’inquietante Santa Maria del Suffragio di Modugno, teatro anche del decesso di alcuni bambini, siamo andati a scoprire l’edificio bitontino: un luogo quasi sempre chiuso al pubblico che apre eccezionalmente le sue porte nel periodo pasquale. (Vedi foto galleria)
Per raggiungerlo ci dirigiamo in via Giandonato Rogadeo, lì dove ha sede la Galleria Nazionale della Puglia. Dopo 50 metri, all’incrocio con via Domenico Cimarosa, scorgiamo il profilo della seicentesca costruzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Opera dell’architetto locale Michelangelo Costantino, ci cattura subito con il suo impianto barocco: grandi laterizi in pietra squadrati scandiscono l’andamento della facciata principale, mentre mattoncini bianchi di forma e dimensione irregolari costituiscono il corpo laterale su vico Spoto e quello su corte Vescovado.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riusciamo anche a intravedere il piccolo campanile, costituito da colonnine doriche e trabeazione triangolare. È la facciata però il vero elemento di pregio del complesso, ricco di simboli e rappresentazioni che rimandano alla “nera mietitrice”. Nel piano inferiore è delimitata da coppie di lesene di ordine dorico: sorreggono una cornice con fregio arricchito da triglifi e metope in cui si alternano teschi umani e ossa incrociate che le conferiscono un alone di lugubre ma affascinante inquietudine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Crani di prelati e re, volute barocche e il ricco gruppo scultoreo delle anime in fiamme in procinto di essere salvate dagli angeli ornano la trabeazione del portale. Quest’ultimo, in legno laccato di verde, esibisce riquadri decorati con motivi romboidali e rosette centrali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A completare il macabro ingresso ci sono due scheletri lapidei: quello a sinistra poggia su un orologio privo di lancette con l'iscrizione latina Nil incertius (“Niente è più incerto”) e regge un cartiglio che recita Qua ora non putatis (“In quale ora non sapete”), mentre con la mano libera stringe una clessidra. Lo scheletro posto sul lato destro, invece, dotato della grossa falce della morte, ammonisce i viandanti con il suo Veniam et metam (“Verrò e mieterò”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che entrare, scoprendo un interno ad aula unica che trasuda di religiosità e mistero. Le pareti laterali custodiscono quattro altari sei e settecenteschi in marmo policromo, mentre un alto soffitto bianco a volte è interrotto da un grande arco in pietra grigia nella cui parte soprastante si apre l’affresco di Gesù al tempio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo subito verso il grande “altare delle reliquie”, che comprende una teca dorata scandita in nove riquadri che contengono resti di santi. Ai busti neri con vesti d’oro di Olaro, Pio e Callisto seguono quelli di Lucia, Costanza, Cristoforo, Modesto e Carlo Borromeo. A lui, personaggio di spicco del Concilio di Trento, è dedicato anche il quadretto del XVII secolo posto sulla cimasa decorata che sovrasta due putti alati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A Maria e Sant’Anna è destinata l’ultima nicchia della parete sinistra: sono proprio le statue lignee dai volti cupi e scarniti della Madonna bambina e sua madre a troneggiare su una mensa spoglia in marmo bianco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dal lato opposto degno di nota è l’altare del Sacro Cuore di Gesù, costruito in pietra locale nel 1800, su cui spicca l’icona del Cristo in abiti purpurei su fondo azzurro realizzata da Gaetano Spinelli. Qui, a coronare l’immagine sacra, ci sono elementi di reimpiego derivanti da fabbricati più antichi su cui sorse la chiesa, come i basamenti di colonna dai motivi floreali e l’ostensorio in bassorilievo con teste d’angelo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un raggio di luce intensa illumina invece la mensa in marmo intarsiato e pietra scolpita della Madonna della Purità. Qui il dipinto di una dolce e sommessa Maria col manto blu e le mani giunte è incluso tra capitelli compositi, un grande fregio a volute e uno stemma con la colomba bianca, simbolo appunto di purezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraversando un elaborato cancello nero in ferro dalle finiture dorate ci affacciamo infine verso l’altare maggiore. La mensa lapidea è sostenuta da figure antropomorfe che fuoriescono da folte fonde e da un cuore, anch’esso in pietra, con incisa l’invocazione mariana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla sua sinistra, attorniata da decine di rose e drappeggi rossi, si trova un realistico simulacro di Maria Addolorata. Le sue vesti in pizzo nero e le mani giunte in preghiera a reggere un fazzoletto in seta dorato, contribuiscono a caricare l’intensità del dolore che traspare dal volto velato di una madre devastata dalla morte di suo figlio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È proprio Cristo crocifisso su un teschio umano a cingere l’altro estremo dell’altare, mentre nella parte retrostante una teca in vetro custodisce il suo corpo dilaniato dalle ferite. Da qui alziamo lo sguardo: una cupola con croci bianche e dorate su fondo celeste ci sovrasta trasportando il nostro immaginario in un luogo ultraterreno, accompagnati dai due grandi angeli che completano la decorazione della parete di fondo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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