Bari, tra giardini e fregi liberty alla scoperta delle ville "minori" di corso Alcide De Gasperi
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lunedì 5 luglio 2021
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di Irene Coropulis - foto Valentina Rosati
Tra queste Villa Maria (in questi mesi in fase di restauro) e soprattutto Villa Di Cagno, Villa Suppa e Villa Galbiati. Siamo andati a visitare proprio questi ultimi tre edifici, tra i più antichi presenti sulla “monumentale” strada. (Vedi foto galleria)
Villa Di Cagno – Dirigendoci verso Carbonara e oltrepassato il cavalcavia della tangenziale, al civico 455 di corso Alcide de Gasperi ci imbattiamo sulla destra in un cancello grigio ai cui piedi notiamo una pietra miliare. Riporta una data: 1890. È l’anno di costruzione di Villa Di Cagno, che vediamo in lontananza immersa in un rigoglioso giardino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entrati, ci ritroviamo tra aiuole ben curate, pini mediterranei e palme che circondano statue ritraenti eleganti donne e graziosi putti. A venirci incontro è il proprietario: il 71enne Vitantonio Di Cagno, che ci racconta la storia dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«L’ha fondato il mio bisnonno Nicola Di Cagno, padre di Vitantonio, ex sindaco di Bari – ci dice –: lo fece costruire come dimora per la villeggiatura estiva. Io vivo qui dal 1955 e nel frattempo ho visto la città cambiare. A quei tempi questa strada si trovava ancora in aperta campagna, ma con il boom edilizio degli anni 60 e 70 cominciarono a costruire tutt’attorno, abbattendo anche numerose ville d’epoca. Anch’io ho ceduto parte dei miei terreni ai costruttori, del resto la residenza prima si estendeva sino a via Giulio Petroni. Ora siamo circondati dalla modernità, ma continuiamo a godere di un piccolo angolo di pace».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ed eccoci al cospetto della villa, che si presenta con una bianca facciata palladiana, ispirata cioè alle opere del celebre architetto rinascimentale. Si sviluppa su un piano principale e uno seminterrato ed è caratterizzata da elementi classicheggianti: dalle colonnine che precedono l’ingresso alle statue ai lati della porta, dall’architrave entro cui quest’ultima è incastonata allo stemma di famiglia incorniciato da foglie di alloro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ma a spezzare la sobrietà neoclassica – sottolinea l’architetto Simone De Bartolo - c’è l’eclettismo ottocentesco, che aggiunge particolari barocchi come la conchiglia di San Giacomo posta sulla sommità dell’edificio arricchita da un volto femminile».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una doppia scalinata conduce poi all’ingresso preceduto da un terrazzino. Ma una volta dentro, Vitantonio per motivi di privacy ci mostra solo determinati ambienti e dettagli. Tra questi il pavimento marmoreo ottocentesco, caratterizzato da colorate forme geometriche e la tavernetta del seminterrato, un tempo alloggio della servitù. Qui a colpirci sono le colorate maioliche che ricoprono la cucina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso una stretta scala saliamo infine sul terrazzo, da cui possiamo avere una visione complessiva del rigoglioso giardino che si affaccia sul trafficato corso Alcide de Gasperi.
Villa Suppa – Ritorniamo in strada e camminiamo per pochi metri: ai civici 471 e 473, dietro un cancello verde, ci aspetta l’incantevole Villa Suppa. Preceduta da un viale circondato da una folta vegetazione, fu costruita nel 1901, come attesta una pietra miliare posta nei pressi dell’accesso.
Entrati veniamo subito colpiti da festose voci di bambini che risuonano all’interno dell’area. «Sono i ragazzi del centro diurno “Volto santo” - ci dice la giovane suora Mariangela Ferrari -. Dagli anni 50 questa dimora è infatti abitata da noi francescane alcantarine. Prima era adibita a orfanotrofio e brefotrofio, poi divenne scuola elementare e materna e ora è una struttura di accoglienza per giovani con situazioni problematiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La villa, di color crema, è molto peculiare. «Anche qui domina un lineare stile palladiano, interrotto però dalle forme curvilinee del monumentale scalone d’accesso - spiega De Bartolo -. Quest’ultimo, dopo aver incontrato una statua raffigurante un putto, si divide in due scale separate e termina in un portico segnato da una notevole estroflessione circolare. Sorretta da colonne, rinvia ad architetture ellenistiche come i ninfei di Villa Adriana a Tivoli».
Le finestre arcuate con cornici trabeate ricordano però il Rinascimento, così come i fregi del portico a girali d’acanto e i capitelli corinzi delle colonne.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Incredibile pensare che una costruzione così bella abbia faticato a trovare acquirenti: fu infatti venduta all’asta, all’inizio degli anni 50, a un prezzo inferiore al suo valore. Forse fu per colpa delle misteriose leggende che aleggiano da decenni su questa dimora. Si racconta infatti che quando i proprietari, i Suppa, furono chiamati alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale, le loro mogli, rimaste sole nella villa, vennero rapite e di loro si persero per sempre le tracce. I mariti decisero così di cedere l’edificio non rimettendoci più piede.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Decidiamo di non entrare nella villa non solo per non disturbare le attività educative in corso, ma anche perché suor Mariangela ci riferisce che l’edificio è stato sottoposto nel tempo a numerosi rimaneggiamenti che ne hanno completamente cambiato l’antico aspetto. Abbiamo però la possibilità di salire sul tetto, che ci permette di poter contemplare il giardino sottostante composto da folti e secolari alberi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Villa Galbiati – Terminiamo il nostro tour al civico 344 della strada, quasi alle porte di Carbonara. Sulla sinistra si erge infatti Villa Galbiati, costruita nel 1906 e protetta da un muro perimetrale di color rosso. Superata la cancellata nera entriamo anche qui in un ampio giardino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Abbiamo palme, pini mediterranei, gelsi e l’albero di Giuda - ci racconta la proprietaria Francesca Telio, che ha rilevato la villa nel 2010 -. Alcune piante sono state aggiunte da noi, ma la maggior parte risale a quando la villa fu costruita. Devo dire però che quando siamo arrivati sia l’edificio che il cortile si trovavano in pessimo stato. Dopo essere stato abitato dalla famiglia Galbiati, il complesso all’inizio del nuovo Millennio era stato infatti affittato a uso ufficio e successivamente lasciato in stato di abbandono. Non è stato facile ristrutturare il tutto e in realtà alcune parti andrebbero ancora ripristinate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel frattempo osserviamo la costruzione di color rosso porpora. È più piccola e minimale delle precedenti, anche se si fa notare per il loggiato a tre luci su pilastri con il soprastante terrazzino, per i fregi liberty e soprattutto per il particolare torrino belvedere con tetto a falde spioventi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui però abbiamo la possibilità di visitare gli interni, resi armoniosi dal perfetto connubio tra elementi antichi e arredamenti moderni. Ad esempio nello studio il verde delle pareti mette in risalto i colori delle mattonelle d’epoca decorate con forme geometriche e floreali. Ogni stanza ha un pavimento diverso nei colori e nei disegni.
Percorriamo ora una scalinata arricchita da un passamano liberty in ferro battuto bianco che ci conduce all’interno del torrino. Ci ritroviamo così in una stanza priva di arredi ma avvolta da una forte luce che penetra attraverso quattro finestre arricchite da infissi e ringhiere chiare.
E prima di salutarci Francesca ci mostra un segreto custodito in un cassetto: le grandi chiavi in ferro che un tempo aprivano la villa. «Quando visitammo la casa l’ultima erede dei Galbiati pensò che fossimo perfetti come acquirenti – ci dice la donna –: vide infatti in noi degli amanti dell’antico che si sarebbero presi cura della villa. E così mi regalò queste chiavi avvolte da un fiocco, come a voler suggellare il passaggio di consegne».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Irene Coropulis
Irene Coropulis
Foto di
Valentina Rosati
Valentina Rosati