Saloni affrescati, chiesette e reliquie di santi: è lo stupefacente Palazzo Marchesale di Adelfia
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giovedì 22 luglio 2021
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di Federica Calabrese - foto Valentina Rosati
Noi abbiamo avuto la fortuna di ammirare gli interni di questa residenza privata normalmente chiusa al pubblico e abitata per quasi tutto l’anno dal solo Angelo, l’80enne custode. La famiglia proprietaria dei Carrelli-Palombi vive infatti a Roma, ma in occasione di una loro visita in Puglia ci hanno concesso di varcare la soglia dello splendido edificio. Ed ecco qui il nostro racconto (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superato il ponticello che collega i due ex paesi di Canneto e Montrone (dal 1927 uniti “forzatamente” nel comune di Adelfia), percorriamo per duecento metri via Vittorio Veneto, sino a incrociare sulla sinistra un largo spiazzo dove si erge “il castello”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In effetti il palazzo pare proprio una fortezza, caratterizzata da una torre cilindrica in mattoni chiari con merlatura sommitale dentellata che affianca il monumentale ingresso. Del resto in passato è stato abitato da nobili e possidenti, tra i quali un famoso Marchese di Montrone.
La sua storia prende avvio tra il 1390 e il 1396 quando Nicolò Dottula, uno dei primi feudatari del paese, fece costruire una casa-torre, il nucleo originario del complesso. Nel 1519 venne acquistata dal patrizio napoletano Giambattista Galioti che la trasformò in un edificio fortificato, realizzando garitte di guardia, camminamenti di difesa e un fossato laterale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I connotati di dimora gentilizia vennero assunti solo a partire dal 1652, allorchè il fabbricato passò nelle mani del Marchese Luigi Bianchi-Dottula che fece riaffrescare le venti sale interne. Fu in questa cornice preziosa che nacque Giordano de Bianchi-Dottula, secondo Marchese di Montrone, vissuto tra il 1772 e il 1846. Formatosi tra Napoli e Roma fu un grande letterato, rinomato per le sue amicizie con il poeta Ugo Foscolo e lo scrittore Vincenzo Monti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che entrare, guidati da Michele, figlio del proprietario Arturo Carrelli-Palombi. Superiamo così l’imponente cancello in ferro inquadrato da due possenti pilastri dalle scanalature orizzontali, per incamminarci lungo il grigio viale basolato esterno che conserva ancora i resti di cisterne e fontane trecentesche.
Spostando lo sguardo sulla nostra destra ci lasciamo incantare dal profilo orientale della struttura. Scandito in due ordini di mattoni sovrapposti, nella sua parte inferiore è “abbracciato” invece da verdeggianti piantine rampicanti e fiori violacei.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo ora un portoncino inserito in arco in pietra ritrovandoci così nelle stalle marchesali. La luce fioca avvolge l’intera sala coperta a volta e la parete di fondo conserva tracce degli abbeveratoi per i cavalli (oggi ricostruiti) nonché di selle equestri in cuoio messe insieme nel corso dei secoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scendiamo quindi nelle vecchie cantine dove troviamo grandi botti in legno scuro che fino a un quarant’anni anni fa conservavano vino di “nobile” produzione propria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E dopo qualche metro entriamo in una grande stanza intonacata che conserva centinaia di attrezzi da lavoro contadini. «Negli anni il custode Angelo ha raccolto vari utensili dalle campagne e dalle dismesse masserie vicine conservandoli qui - ci spiega Carrelli Palombi -. Col tempo sono diventati così tanti che tempo fa abbiamo deciso di inaugurare un museo che riapriremo una volta finita l’emergenza legata al Covid».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo ora il nostro viaggio nel cuore di Palazzo Marchesale. La guida ci conduce prima di tutto nel cortile interno articolato intorno a un pozzo centrale in pietra. Qui c’è un portone che permette di uscire sul retro per ammirare la parte esterna della residenza: si affaccia sul centro storico ed è contraddistinta dal bassorilievo dello stemma dei Dottula.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il cortile è avvolto da archi intonacati di bianco che incorniciano vari ingressi. Ne imbocchiamo uno utilizzando una piccola rampa di scale che ci conduce nella zona settecentesca dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Davanti a noi si dischiude una stanza dai toni color tortora, dove a dominare la scena è il grande stemma disegnato sull’architrave di una soglia d’accesso laterale, nel quale due possenti leoni dorati sorreggono i blasoni delle famiglie proprietarie succedutesi nei secoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da questo punto si aprono specularmente da un lato e dall’altro quattro stanze, due per lato. Una di queste è impreziosita da un lussureggiante soffitto a capriate, dove sette fascioni dorati con motivi vegetali incorniciano piccoli tondi azzurri con all’interno bianche statue stilizzate. Il salone dell’ala est è invece dominato da un soffitto con volta a crociera decorato con greche, statuette dipinte, bucrani e volti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo indietro per visitare l’altra area del complesso. Il primo vano che incrociamo è la cosiddetta “stanza delle statue”, così chiamata per via degli affreschi di sculture a grandezza naturale che corrono lungo le chiare pareti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma il luogo più considerevole di tutto il Palazzo è il grande salone da ballo. Concepito in pieno 700 è la massima espressione di sfarzo della casata dei Bianchi Dottula. Qui a regnare è il rosso rubino delle pareti, interamente ricoperte da stoffe pregiate della fabbrica tessile napoletana di San Leucio.
Grossi specchi dalle cornici in oro si alternano a riquadri con ghirlande di fiori bianchi aggettanti. Sul soffitto uomini e donne semi vestiti discorrono amabilmente tra foglie di acanto e rametti di corallo, mentre amorini azzurri osservano estasiati l’ambiente amoenico che li circonda.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul fondo della camera si apre un prezioso baldacchino inaugurato da due colonnine slanciate dai capitelli dorati e trabeazione in stile dorico e con un fregio che alterna fasce cerulee a spesse striature color oro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A dominare sono le scene campestri. Due figure maschili che sorreggono cesti carichi di frutta sono meticolosamente dipinte sulle colonne laterali e le pareti di fondo sono costellate di intrecci di rampicanti. E sopra le nostre teste ricami di alberi da frutto si esibiscono tra cornici in legno dorato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lasciata la camera rossa ci addentriamo ora nella parte cinquecentesca del “castello”. In realtà qui, all’interno delle stanze, è rimasto ben poco degli ornamenti originari se non i soffitti, abilmente dipinti da un pittore di scuola caravaggesca. Su un fondo blu notte si susseguono satiri, centauri, fiere e uccelli e paffuti angioletti che siedono su letti di viti rigogliose e grappoli d’uva pendenti. «Si tratta di un unicum nel panorama pugliese - sostiene Michele -: non esistono nella regione decorazioni con questi toni cromatici».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’ultimo ambiente è quello maggiormente frequentato. Il soffitto esibisce una scena quotidiana campestre dai toni color ocra racchiusa in una cornice rosata con foglie ed edere. Fu realizzata sul finire dei 700 dall’artista Franco Carella. Qui sono custoditi anche numerosi libri antichi, un tempo appartenuti a Giordano de Bianchi Dottula. «Per valorizzare questi preziosi testi abbiamo l’intenzione di realizzare qui un centro studi», rivela Carrelli-Palombi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’ultima chicca di questa sorprendente “reggia” è la piccola cappella votiva dedicata a San Rocco, completamente ristrutturata e situata al piano inferiore in un locale con la volta a botte e i muri in pietra. Risalente al 1709 fu sede dei battesimi delle antiche famiglie proprietarie e ospita in una teca di vetro tre reliquie appartenenti a Santa Speciosa di Pavia, a San Mansueto da Milano e a San Giustino, filosofo e padre della Chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Paolo Marturano - interessante e curatissima visita di questo edificio che non conoscevo ....grazie
- Maria Jose’Carrelli Palombi di Montrone - Mi sembra doveroso e corretto precisare e integrare questo pregevole articolo che mi è capitato per caso di leggere sull’intervista rilasciata da mio cugino Michele Carrelli Palombi circa la storia del palazzo e della discendenza della nostra famiglia. Mi stupisce molto non sia stata fatta menzione alcuna di mio padre Francesco Carrelli Palombi che era appunto il “ Marchese di Montrone “ in quanto ramo primogenito e che non è più tra noi da solo pochi anni. Mio padre, a dimostrazione di quanto era legato al palazzo e alla storia della nostra famiglia, ha trasmesso a noi 5 figli il predicato “di Montrone”che non spetta al ramo collaterale che è Carrelli Palombi tout court anche se divenuto solo di recente unico propritario ed io personalmente in onore alla sua memoria , ho aggiunto il mio cognome completo di predicato a quello dei miei tre figli maschi affinché non si perdano le radici che sono più forti e prescindono dalla pietra. Maria Jose’Carrelli Palombi di Montrone
- Antonio - Con grande interesse leggo la magistrale e competente descrizione del complesso monumentale del “castello di Montrone”. Sin da bambino e anche in avanti ,mio padre, il quale intratteneva rapporti con il marchese Francesco, come imprenditore vitivinicolo, mi portava con se facendomi conoscere alcune sale del palazzo. Infatti la mia famiglia ha usato per alcuni anni le cantine del palazzo dove erano ubicate grandi botti in legno di rovere per la conservazione del vino. Sono contento di aver “rivisto” oggi attraverso il servizio fotografico, quelle sale restaurate sicuramente a regola d’arte. Un encomio va anche ad Angelo il quale, ha saputo sapientemente custodire ciò che oggi è la realtà. Personalmente ho avuto occasione di vedere alcune fasi del restauro conservativo effettuato. Con grande ammirazione e un cordiale saluto