Bassorilievi, antichi conventi, case-torri e templi sconsacrati: il viaggio nella Bitonto "inedita"
Letto: 6463 volte
venerdì 3 settembre 2021
Letto: 6463 volte
di Federica Calabrese e Mina Barcone
In un altro articolo visitammo i principali monumenti del paese, oggi invece dedicheremo il nostro viaggio alle chicche inedite e meno note, guidati dal 40enne Marino Pagano, esperto di storia locale. (Vedi foto galleria)
Partiamo da piazza Cavour, dove la Porta Baresana funge da ingresso alla città vecchia assieme al massiccio Torrione Angioino del XIV secolo. Di lì a pochi passi sorge il trecentesco Palazzo De Ferraris Regna, ristrutturato nel 1586 come testimoniato dall’epigrafe posta sull’architrave del portone ligneo. Quest’ultimo è introdotto da due coppie di colonne dorico-romane sormontate dai profili dei capostipiti delle due famiglie proprietarie.
Proseguiamo per circa 200 metri lungo via Rogadeo, sulla quale si trovano la prestigiosa Galleria Nazionale della Puglia e la lugubre ma affascinante Chiesa seicentesca del Purgatorio, per entrare nella “strada delle chiese sconsacrate”, una volta costellata da tutta una serie di piccoli edifici sacri ormai scomparsi o che hanno perso la loro funzione religiosa.
Tra questi la chiesa di San Giacomo, edificata nel XIV secolo, di cui resta un bassorilievo e la fondazione muraria che appare in forte contrasto con la moderna saracinesca verde di un negozio con cui convive.
Camminiamo fino a imboccare via Cattedrale, lì dove scorgiamo la maestosa chiesa romanica di Maria Assunta, risalente all’XI secolo. Ci avviciniamo quindi al fianco destro del santuario dove si erge l’obelisco barocco dedicato alla Vergine che risparmiò Bitonto dal terremoto del 1731. «Fu finanziato dalla ricca famiglia Calamita che volle ingaggiare i migliori scalpellini della città, che lo arricchirono con bassorilievi di putti e stemmi – rivela Marino –. Non tutti sanno che Bitonto era rinomata per la sua scuola di lapicidi, che formò manovali di alto livello richiesti in tutta Italia».
Straordinario è poi un piccolo portale rinascimentale ormai murato che si trova alla destra del cinquecentesco Palazzo De Lerma. Risalente al 1586, fungeva da ingresso della vecchia chiesa della Misericordia, demolita all’inizio del secolo scorso per consentire un allargamento della piazzetta antistante la Cattedrale. Ne osserviamo l’architrave triangolare finemente scolpita con teste alate a incorniciare l’epigrafe centrale, su cui si impone il bassorilievo di Maria che regge in grembo il corpo esanime del figlio.
Ci lasciamo il duomo alle spalle per giungere in piazza Francesco Speranza. Di fronte a noi si staglia l’ex convento dei Domenicani, che conserva una chiesa ancora attiva, quella di San Domenico. La sua origine del XIV secolo si evince dal portale romanico coronato in alto dagli scudi di Carlo III e Giovanna I. Anche se la vera particolarità è al di sopra delle due finestrelle quadrangolari aggiunte nel 700. «Siamo di fronte al più antico stemma di Bitonto, naturalmente con l’ulivo e due leoni», ci svela Marino.
Ci inoltriamo lungo via Ambrosi per un centinaio di metri prima di trovarci al cospetto di palazzo Gentile Labini Sylos all’incrocio con via San Luca. La costruzione risale al Trecento ma col tempo è diventata la più peculiare e “irregolare” della cittadina: nel 1599 inglobò vecchie case circostanti e nel 1613 venne innalzata di due piani e coperta da un tetto a doppio spiovente.
Dopo pochi passi alla nostra sinistra si apre larghetto La Scesciola, dove tra palazzine moderne spicca una casa-torre a tre piani. Al portale ad arco segue al secondo livello un balconcino dalle ringhiere in ferro ed una finestra frontonata, mentre la parte sommitale si distingue per le sue bifore inframezzate da una colonnina con capitello scolpito.
Il nostro viaggio prosegue sulla stessa strada fino all’approdo in Piazza Minerva, l’ex acropoli della città. «Deve il nome al tempio dedicato appunto a Minerva, che si trovava proprio qui» spiega Marino. Al suo posto sorge oggi la chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli, dal campanile a vela, momentaneamente inagibile. Leggenda vuole che la sua costruzione si debba al passaggio proprio di San Pietro, il quale convertì i bitontini alla nuova fede.
Torniamo ora in piazza Cavour e lasciamo Bitonto vecchia per procedere lungo corso Vittorio Emanuele, una delle vie principali, il cui gioiello è rappresentato dal neoclassico Palazzo Gentile. Oggi sede del Comune, fu realizzato dall’architetto bitontino Luigi Castellucci nel 1849.
Superiamo il portale d’ingresso racchiuso tra due alte colonne e attraversiamo due semiportici con facciate ornate da lesene ritrovandoci nella corte interna quadrangolare. Percorriamo la scalinata in marmo ornata da mezzi-busto e capitelli giungendo infine al primo livello. Tre arcate simmetriche, sorrette da robusti pilastri, inaugurano il piano superiore chiuso da volte a botte, lì dove è conservata una preziosa pavimentazione in maiolica di Capodimonte.
Non ci resta che dirigerci verso l’ultima tappa del nostro tour approdando in viale Giovanni XXXIII. Dinnanzi a noi svetta il campanile del più antico monastero del paese, dedicato a San Leone Magno. Alcuni studiosi fanno risalire la sua data di costruzione al IX secolo, sebbene la sua attuale soglia d’accesso con frontone ligneo e robusti pilastri acromi sia il risultato di un “restyling” barocco.
L’interno, che vanta un maestoso arco ogivale e un ampio abside ornato da frammenti di affreschi medievali, include anche un chiostro cinquecentesco con arcate in pietra che poggiano su colonne dai capitelli tutti diversi tra loro.
Un vero e proprio tesoro poco conosciuto quindi, teatro di una “fiera di San Leone” citata persino nel Decameron di Boccaccio. Inedito simbolo di Bitonto, città affascinante che attende solo di essere rivelata.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita