Noicattaro, Santa Maria della Pace: quella chiesa che ricorda la peste e sanguinose battaglie
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lunedì 13 settembre 2021
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di Federica Calabrese - foto Valentina Rosati
Le tante vicende di questo grande santuario si rispecchiano in una struttura disordinata frutto di ampliamenti, rimaneggiamenti e aggiunte che le conferiscono però un aspetto peculiare, multiforme e ricco di dettagli ancora da raccontare. Siamo andati a scoprirli. (Vedi foto galleria)
Per raggiungere l’edificio dalla centrale Piazza Umberto I imbocchiamo via Madre Chiesa e percorriamo lo stretto vicolo per circa 200 metri prima di scorgere il suo fianco destro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Già da qui possiamo distinguere una delle diverse “mani” che l’hanno realizzato: quella medievale. Costituita da grossi mattoni, la facciata laterale presenta una particolare decorazione del XII-XIII secolo formata da sei archi ciechi abbelliti da losanghe ormai murate che poggiano su capitelli scolpiti con motivi differenti l’uno dall’altro. Un piccolo rosone floreale si apre esattamente al centro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Secondo le poche fonti rimaste, la struttura sorse inizialmente in stile romanico verso il 1100 – ci dice il parroco don Vito Campanelli–. Doveva trattarsi di una cappella costruita accanto a una torre campanaria dopo la fusione delle comunità cristiana e pagana. Proprio da questa ritrovata armonia derivò l’intitolazione a Santa Maria della Pace».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La presenza di abitanti di fedi diverse a Noicattaro iniziò già nell’800 d.C., quando il piccolo centro era posto sul tragitto della romana Via Minucia che apriva la strada verso i commerci con l’Oriente. A quel tempo la città era in mano ai Saraceni, le cui tracce si ritrovano oggi in qualche bifora orientaleggiante e nella toponomastica di largo Pagano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel XII secolo però i Normanni li sconfissero sanguinosamente. Fu allora che un certo Cornelio De Vulcano, nominato primo conte di Noja (questo il nome del paese fino al 1883) da Federico II di Svevia, ampliò la modesta chiesetta trasformandola in un magnifico edificio a croce latina con copertura a capriate lignee.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una testimonianza della battaglia si trova sulla predetta parete esterna di destra. Tra i conci si inserisce infatti una consunta iscrizione in latino che sembra recitare “Qui si trova il sepolcro dei giudei… strage”. «Secondo un’interpretazione l’incisione ricorda proprio il massacro operato dai Normanni a scapito dei saraceni, che qui forse avevano il proprio quartiere residenziale», spiega don Vito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il tempio subì poi importanti rimaneggiamenti a partire dal Cinquecento: venne eliminato l’abside e furono aggiunti un ampio presbiterio e tre cappelle nella navata sinistra, la gran parte degli arredi lignei fu sostituita con mobilio in marmo e l’imperante gusto barocco nel tempo arricchì l’ambiente di quadri, statue e affreschi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo ora verso la facciata principale, dove il prospetto monocuspide presenta un portale scolpito con decorazioni floreali intrecciate. Una bifora dai tipici tratti bizantini, con colonnine tortili e decorazioni a scacchiera, è uno dei rari lasciti della più umile cappella del X secolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Completano il tutto due finestre rettangolari divise dallo stemma dei Carafa, che nel XVIII secolo presero possesso della cittadina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ammiriamo anche il campanile di 33 metri. Si presenta diviso in tre ordini: in quello inferiore (probabilmente del X secolo) con archetti ciechi si aprono sei monofore, mentre la parte sommitale termina con una piramide cuspidata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È arrivato il momento di entrare. L’interno appare disomogeneo, risultato “disorganizzato” dell’affiancarsi di elementi di secoli diversi. La pianta è a tre navate divise da robuste colonne con capitelli intagliati e le sontuose arcate sorreggono la copertura a doppia falda del corridoio centrale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I pilastri, capitelli e archi fanno parte dell’impianto normanno, mentre il soffitto della chiesa, originariamente ligneo e spoglio, vide l’aggiunta nel 1730 di uno strato di stucco e nel 1892 dell’attuale affresco di Michele Sparavilla raffigurante scene apocalittiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Spostandoci a sinistra incontriamo due aperture ad arco separate da un grande crocifisso di legno dipinto. Queste introducono in due cappelle comunicanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La prima, consacrata nel 1544, fu eretta su un precedente battistero i cui originari affreschi ancora si intravedono sulle pietre angolari del soffitto. Qui ruba la scena il particolareggiato ciborio in pietra leccese con scolpito un Giovanni Battista circondato da puttini alati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La seconda, edificata nel 1581, è dedicata a due valorosi soldati della battaglia di Lepanto. I nomi sono ignoti, ma i loro profili sono incisi alla base dei pilastri a scanalature regolari e motivi “a scaglie” che inaugurano l’accesso insieme all’arco a rosette.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci rechiamo nell’attuale zona presbiteriale frutto degli ampliamenti cinquecenteschi. «In precedenza vi sorgeva un grande altare che si incastrava perfettamente nell’abside – dice don Vito –. Lo testimoniano i solchi sulle pareti laterali del presbiterio, segni del suo smantellamento».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La decorazione barocca azzurro e oro con santi e angeli introduce l’area in cui è inserito il nuovo altare maggiore. In marmo policromo, il tabernacolo è decorato da sei lunghi candelabri in argento e due putti dorati ai lati di un dipinto della Madonna della Pace realizzato da Umberto Colonna nel Novecento: la Vergine vestita di blu rivolge lo sguardo austero al piccolo Gesù trionfante che le siede in grembo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il vero elemento di pregio è però il coro ligneo in massello di noce risalente al 1544 e restaurato nel 1995. La notevole opera d'ebanisteria conserva sullo stallo arcipretale il rilievo della Madonna della Pace e sulle altre sedute le raffigurazioni dei dodici Apostoli e altri Santi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Prima di uscire incontriamo un altro affascinante dettaglio del complesso: una lastra nella navata destra che segna l’ingresso all’inagibile sepolcro degli appestati. Tra novembre 1815 e giugno 1816 Noicattaro fu infatti l’ultimo paese in Europa a essere colpito da una virulenta epidemia di peste. Ai numerosi deceduti per il morbo venne così riservato un ossario che giace ancora sotto questo singolare ed eterogeneo luogo di culto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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