di Marco Montrone

Da Buffon a Riva: ecco la "top 11" (più 11 riserve) della storia del calcio italiano
C’è chi ha fatto la fortuna della sua squadra di club vincendo scudetti e coppe, chi invece ha legato la sua storia a quella della Nazionale riuscendo a diventare campione europeo o mondiale. Sono i fuoriclasse che hanno fatto grande l’Italia del pallone. Ma tra tanti bravi calciatori nati nel Belpaese, quali sono stati quelli più rappresentativi?

Per rispondere a questa domanda abbiamo provare a stilare la “top 11” del calcio nostrano, ovvero la squadra ideale composta dai più forti giocatori italiani di sempre. Per ogni ruolo abbiamo però indicato due nomi: un titolare (in rosso) e una “riserva” (in verde). Ne sono così venute fuori due diverse formazioni: una A e una B.

Ecco quindi gli italiani più grandi della storia, “messi in campo” con un 4-3-3. (Vedi foto galleria)

1) Gianluigi Buffon - L’Italia vanta una tradizione di portieri di livello mondiale, il più rappresentativo dei quali è stato Gigi Buffon. Un atleta quasi senza difetti, che abbinava grandi riflessi a un eccellente senso della posizione: il miglior estremo difensore della storia del calcio dopo Lev Jascin. Fu campione del mondo nel 2006 e vanta il record di presenze in Nazionale: 176. 12) Dino Zoff – Forse meno esplosivo di Buffon, ma altrettanto sicuro e dotato di notevole carisma. Come Gigi anche Dino è stato campione del mondo (nel 1982, da capitano), si è piazzato secondo nella classifica del Pallone d’Oro (nel 1973, Buffon nel 2006) ed è stato il portiere della Juventus, squadra con la quale, pure lui, venne sconfitto due volte in finale di Coppa dei Campioni.

2) Paolo Maldini  - Schieriamo Maldini terzino destro per permettere di inserire in questa formazione anche Facchetti. Non si tratta però di una castroneria, perché se è vero che Paolo ha dato il meglio di sé a sinistra, ha iniziato la sua carriera proprio a destra, per finirla poi come centrale. Del resto si tratta del difensore più completo di tutti i tempi: forte fisicamente, veloce, tecnico. Ha vinto tutto con il Milan, squadra di cui detiene il record di presenze. 13) Giuseppe Bergomi – Abbiamo scelto Beppe come “sostituto” di Maldini, preferendolo ai pari livello Burghnich e Gentile per via del suo maggior contributo alla Nazionale in termini di presenze. Sapiente marcatore, si laureò campione del mondo nel 1982 a soli 18 anni e fu una bandiera dell’Inter tra gli anni 80 e 90.

3) Giacinto Facchetti  - Tra i più grandi terzini sinistri di sempre, risultò un innovatore del ruolo per via del suo costante apporto alla fase offensiva del gioco. Fu bandiera dell’Inter e a lungo capitano della Nazionale, con la quale vinse il campionato europeo del 1968. “Solo” secondo nella classifica del Pallone d’Oro così come Buffon, Zoff, Maldini, Baresi, Mazzola, Riva e Schillaci. 14) Antonio Cabrini – Altro grande “n.3” fluidificante. Colonna portante della Juventus tra gli anni 70 e 80, legò indissolubilmente il suo nome anche all’Italia di Bearzot, con la quale disputò un ottimo campionato del mondo nel 1978, per poi laurearsi campione nel 1982.   
 
4) Andrea Pirlo -  Il miglior mediano di regia della storia del calcio italiano: nato come trequartista, fu spostato davanti alla difesa dagli allenatori Mazzone e Ancelotti, diventando così il “Maestro”. Memorabili i suoi lanci millimetrici (e le sue punizioni) con cui ha fatto la fortuna di Milan, Juventus e Italia. Campione del Mondo nel 2006. 15) Marco Tardelli – Mezzala “box to box” tecnica e grintosa, fu tra i protagonisti del mondiale del 1982: è rimasta nella memoria collettiva la sua esultanza dopo il gol alla Germania in finale. Tra i migliori centrocampisti della sua generazione assieme al coetaneo e compagno azzurro Giancarlo Antognoni.

5) Franco Baresi  - Tra i più forti centrali difensivi della storia, Baresi, nato “libero”, si adattò benissimo alla zona vincendo scudetti e coppe con il Milan tra gli anni 80 e 90. Eccellente sia in marcatura che nell’impostazione della manovra, fu vicecampione del mondo con la Nazionale nel 1994. 16) Fabio Cannavaro – Tra i migliori “stopper” della sua epoca, costruì assieme a Buffon il muro difensivo che permise alla Nazionale di vincere il mondiale del 2006. Prestazioni che gli valsero il Pallone d’Oro, premio che nella storia è stato vinto solo da altri tre italiani: Rivera, Rossi e Baggio.


6) Gaetano Scirea – Altro grande libero della storia del calcio: meno forte in marcatura di Baresi, ma più bravo in fase di regia. Giocatore correttissimo (in carriera non fu mai espulso) e dalla grande personalità, vinse con Juventus e Nazionale, con quale divenne campione del mondo nel 1982. È morto prematuramemte a 36 anni per un incidente d’auto in Polonia. 17) Alessandro Nesta – Difensore completo, capace in carriera di passare da terzino marcatore a centrale difensivo di impostazione. Con i suoi club (Lazio e Milan) si è tolto notevoli soddisfazioni, non è stato però ugualmente fortunato in Nazionale: si infortunò durante i Mondiali del 2006 non partecipando alle fasi finali.

7) Roberto Baggio  - Assieme a Meazza la più forte mezzapunta del calcio italiano. Dotato di tecnica cristallina è probabilmente il più grande talento espresso dal calcio nostrano negli ultimi cinquant’anni. Giocatore amatissimo, ha vestito la casacche di numerose squadre, combattendo in tutta la sua carriera contro innumerevoli infortuni. Non ha vinto molto, ma è stato insignito del Pallone d’Oro nel 1993. 18) Alessandro Del Piero –  Il predestinato erede del “n.10” Baggio si trasformò però ben presto in un “n.11”, divenendo attaccante a tutto tondo e segnando la storia della Juventus, squadra di cui rappresenta il giocatore con più presenze e più gol realizzati. Campione del mondo nel 2006, si infortunò seriamente nel 1998, perdendo un po’ di quella esplosività che aveva caratterizzato i primi anni della sua carriera.    

8) Valentino Mazzola  - Capitano del “Grande Torino” che vinse cinque scudetti consecutivi negli anni 40, perì con tutta la squadra granata nella tragedia di Superga del 1949, lasciando orfano il calcio di uno dei suoi più grandi centrocampisti. Capace di giocare praticamente a tutto campo (si tratta del più completo tra i calciatori italiani) abbinava forza fisica a grande tecnica individuale.  19) Sandro Mazzola  - Più offensivo rispetto al padre Valentino, Sandro mantenne alto il nome della famiglia divenendo uno dei calciatori più forti della sua epoca. Prima attaccante e poi centrocampista, fu tra i protagonisti della “Grande Inter” che stupì il mondo negli anni 60. Campione d’Europa con l’Italia nel 1968.

9) Giuseppe Meazza  - Se negli anni 30 ci fosse stato il Pallone d’Oro, Meazza ne avrebbe vinti parecchi, lui che fu capace di trionfare in due Mondiali consecutivi (nel 1934 e nel 1938). Giocatore geniale, che faceva della fantasia e del fiuto del gol la sua forza, legò la sua carriera a quella dell’Inter. Forse il miglior calciatore mai nato in Italia. 20) Silvio Piola – Assieme a Paolo Rossi il centravanti di posizione più forte del calcio italiano. Un calciatore dal fisico possente, ma dotato anche di buona tecnica, che segnava in tutti i modi. Si laureò campione del mondo con l’Italia nel 1938. 

10) Gianni Rivera  - Il miglior trequartista della storia del calcio italiano: grande “assistmen” che ha fatto la fortuna degli attaccanti con cui ha giocato. Se in Nazionale ha avuto una vita “tormentata” (non disputò per infortunio la finale del campionato europeo del 1968 e nel 1970 dovette alternarsi in “staffetta” con Mazzola), con il Milan vinse scudetti e coppe. E dopo aver sfiorato il Pallone d’Oro nel 1963, lo vinse nel 1969.  21) Francesco Totti  - Vero e proprio idolo di Roma, è il calciatore che vanta il maggior numero di presenze e di gol con i giallorossi. Dotato di grande tecnica e visione di gioco, è però un po’ “mancato” a livello internazionale a causa del suo rifiuto di indossare maglie diverse da quella della Capitale. Con la Nazionale, nonostante espulsioni e infortuni, è riuscito a diventare campione del mondo nel 2006.

11) Gigi Riva – Con Meazza, Rivera e Baggio la stella più splendente del pallone nazionale. Un attaccante letale che scelse di legarsi per sempre alla maglia del Cagliari, perdendo però un po’ di visibilità nel panorama mondiale. Nonostante questo il “n.11” vinse un memorabile scudetto in Sardegna nel 1970 e soprattutto fu tra i protagonisti dell’Italia che tra gli anni 60 e 70 divenne campione d’Europa e vicecampione del mondo. 22) Paolo Rossi – Il suo nome verrà per sempre legato al leggendario campionato del mondo del 1982, dove con i suoi gol trascinò gli Azzurri verso la vittoria in Spagna (aggiudicandosi poi il Pallone d'Oro). Ma “Pablito” già nel mondiale del 1978 dimostrò le sue doti di grande attaccante, per poi vincere tutto con la Juventus negli anni 80. 

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
FORMAZIONE A - 1) Gianluigi Buffon
FORMAZIONE A - 2) Paolo Maldini
FORMAZIONE A - 3) Giacinto Facchetti
FORMAZIONE A - 4) Andrea Pirlo
FORMAZIONE A - 5) Franco Baresi
FORMAZIONE A - 6) Gaetano Scirea
FORMAZIONE A - 7) Roberto Baggio
FORMAZIONE A - 8) Valentino Mazzola
FORMAZIONE A - 9) Giuseppe Meazza
FORMAZIONE A - 10) Gianni Rivera
FORMAZIONE A - 11) Gigi Riva
FORMAZIONE B - 12) Dino Zoff
FORMAZIONE B - 13) Giuseppe Bergomi
FORMAZIONE B - 14) Antonio Cabrini
FORMAZIONE B - 15) Marco Tardelli
FORMAZIONE B - 16) Fabio Cannavaro
FORMAZIONE B - 17) Alessandro Nesta

Foto di Paul Blank
FORMAZIONE B - 18) Alessandro Del Piero
FORMAZIONE B - 19) Sandro Mazzola
FORMAZIONE B - 20) Silvio Piola
FORMAZIONE B - 21) Francesco Totti
FORMAZIONE B - 22) Paolo Rossi



Marco Montrone
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  • LUIGI CINO - CONCORDO PIENAMENTE SU TUTTO. CLASSIFICA PERFETTA, CHE RISPECCHIA CERTAMENTE ANCHE LE VALUTAZIONI DEL GIORNALISMO SPORTIVO ITALIANO.
  • Giacomo - Sandro Mazzola il piu' grande di tutti...dribblava da Dio...gol straordinari...olyre a vincere tanto con l'Inter come protagonista, vinse anche da protagonista l'Europeo con la Nazionale e gioco' la Fonake mondiale contro il Brasile di Pele'... Gioco' in titale 4 finali di coppa campioni, 1 Europea, 1 mondiale. 5 volte si classifico' primo nel campionato italiano, fu capocannoniere in Italia 1965 e in coppa campioni 1964. Vinse anche 2 copoe del mondo per club. Valentino e Sandro Mazzola titolari indiscussi. Fatevene una ragione.
  • Vito Petino - IL RITO D’INIZIO DI UNA PARTITA Pensando al calcio quasi pionieristico della mia età verde, tanti ricordi mi s'affolano alla mente, e come coriandoli policromi cascare su foglio. Io continuo a preferire il calcio povero, ma tanto ricco dentro del puro entusiasmo dei campi di provincia. Insomma quello dilettantistico che abbiamo giocato noi per pochi simbolici spiccioli; quello della nostra generazione senza scuole di calcio, né accessori sfarzosi; quello semplice, dall’anno 54 al 74. Se qualcuno pensa a un calcio tutto campanili, alla viva il parroco insomma, si sbaglia alla grande. Ho visto più preziosità nei campi minori che a mondiali, europei e campionati maggiori. Vent'anni pieni, meravigliosi, stupendi, indimenticabili, sino al punto da ricordare con amore anche strappi, ferite ricucite, fratture, convalescenze. È più forte di me la sensazione di vuoto che provo ripensando a quegli anni; scendere in campo mi manca tanto. La domenica in mattinata era pur bello ritrovarsi nella sede sociale e partire con i compagni e dirigenti nel pulmino della società; scherzare fra noi, lungo il tragitto sino allo stadio, a frizzi e lazzi camerateschi. I più rilassati eran quelli col posto sicuro da titolare, soprattutto nel primo decennio, quando le sostituzioni non erano ancora introdotte. Alcuni sorridevano con malcelato nervosismo, incerti di essere fra gli 11 che sarebbero scesi in campo, e si distraevano sfottendo un po’ tutti con giochi scolareschi, a volte superando limiti di decenza con grevi scherzi da caserma. Più ci si avvicinava allo stadio e più gli incerti erano sulla graticola. L'allenatore rincuorava tutti, ma era pure lui assillato da dubbi, se far scendere in campo un ragazzo al posto dell’altro, sciogliendo le alternative solo nello spogliatoio. Capitava pure che il pulmino fosse in avaria dal meccanico. E allora il trasferimento al campo avveniva con tante auto personali incolonnate come per una gita fuori porta da lunedì di Pasqua. In trasferta invece la colonna di auto, con quelle dei tifosi al seguito, che pure nei piccoli centri non mancano mai, pareva simile ai partecipanti al cantagiro, senza la folla ai lati del percorso. S'arrivava al campo e, dopo il magro panino farcito con cibo tonico mangiato sul pulmino, a gruppi di tre, quattro andavamo a farci un caffè nel bar in piazza. Bar che in tutti i paesi di provincia avevano solo due nomi, appioppati senza fantasia dai rispettivi titolari. Bar dello Stadio, se vicino al campo, oppure Bar dello Sport nella piazza principale. Il rito sacrale della distribuzione delle maglie appese agli attaccapanni dello spogliatoio e successiva vestizione. Mi sentivo un altro con le personali scarpe Pantofola d’oro ai piedi e non il comune geometra degli altri sei giorni della settimana. L'appello dell'arbitro, guardandolo prima in faccia per farsi riconoscere dai cartellini e documenti d’identità che la società gli consegnava, e subito dopo dandogli le spalle per il controllo del numero di maglia dall’elenco della formazione consegnato insieme ai cartellini, infine l’obbligo di sfilarsi collanine o anelli che potessero far male allo stesso possessore o a un avversario; e finalmente entrare in campo dallo spogliatoio, o attraverso passaggi nelle reti di cinta intorno al campo oppure, attraversato il tunnel, salire dalla buca a livello terreno, di solito dietro una porta. L'odore eccitante dell'erba tagliata di fresco e imbellettata alla perfezione con polvere bianca senza sbaffi né sbuffi; disegni di linee, lunette, cerchi, semicerchi e dischetti; sei bandierine, quattro guardiane severe e fisse in ogni angolo del campo e due che invece filavano sulle linee laterali nelle mani degli opposti segnalinee. Il quarto uomo era di là da venire, come pure la sostituzione di un infortunato col dodicesimo o il tredicesimo in panchina, all'epoca non previsti dal regolamento. Naturalmente, non sfuggono ai ricordi fondi di campi meno perfetti, come quelli brulli, che sotto la pioggia ci inzaccheravano di fango dalla punta delle scarpe ai capelli; o quelli ricoperti con polvere di carbone, altri con la tufina bianca e le linee di rosso o nero; oppure il peggiore di tutti, quel fondo campo calpestato spesso nei miei due anni lombardi, di cui ho tuttora nelle orecchie il crunch crunch del ghiaccio che si spezzava sotto i tacchetti; ghiaccio su cui cercavamo in tutta la partita di scaldarci i piedi congelati più che giocare a calcio, e tentare qualche entrata a scivolone era proprio impossibile, se non si voleva tornare a casa con le cosce segnate a sangue. Per noi che venivamo dal sud era più dura del ghiaccio stesso giocare su quel fondo, più adatto all’hockey se non fosse per le gibbosità appuntute del manto ghiacciato. Quando nevicava, invece, ho tuttora chiaro il suono ovattato del pallone calciato, i suoi rimbalzi soffici, l’impatto sordo contro pali o traverse, le voci in campo attenuate. Riprendendo la descrizione del rito di inizio gara, appena sul terreno di gioco si passava scalpitanti alla ricognizione delle porte, nei miei primi anni in legno pieno quadro, sostituite poi da quelle in tubolari di ferro, e delle reti, nella cui nicchia si recitava la rituale preghiera al Signore, invocando un proprio gol e che fosse quello della vittoria. Sognavamo pure l’improbabile tripletta nella forma più varia e completa, una rete di sinistro, una di testa e la terza di destro; anche se io lo usavo pochissimo, ma di totale sostegno al sinistro. Intanto ci si allenava a scuotere le reti di quelle porte, in cui si piazzava provvisoriamente un attaccante per provare l’ebrezza del ruolo più pazzo del calcio; ma i palloni d'allenamento che ci passavamo entravano tutti in rete, sino a quando il portiere titolare non prendeva posizione a scaldarsi mani e muscoli. E quando in partita il sogno si realizzava anche per un solo gol, la gioia più grande d'ogni calciatore era correre come un puledro pazzo per tutto il prato con negli occhi l’immagine stoppata della palla in rete; la sua corsa veniva subito interrotta dai compagni che l’inseguivano e, raggiunto anche da allenatore e dirigenti accompagnatori, seppellito sotto i loro abbracci, sino all'orgasmo finale nel sentire i loro cuori insieme al proprio accelerare per la troppa gioia del gol, che aveva sì un autore, ma in pratica era proprietà collettiva, ché come gioco di squadra è l'essenza condensata di questo impagabile sport. Pure qualche portiere ha provato quella gioia. Capitava che, per evitare una sconfitta, negli ultimi minuti si mimetizzasse fra i tanti calciatori delle due squadre in area avversaria, per provare a raddrizzare un risultato ormai compromesso, provando una gioia superiore anche alla parata d’un rigore, quando gli riusciva di mettere la palla in rete. Ogni minimo particolare di una partita è ben custodito nella mente; l’unico che mi sfugge, pur sforzandomi, è il ricordo del pubblico; mi viene a galla soltanto una macchia multicolore indistinta sugli spalti, che in tre occasioni mi ha anche fatto paura, costringendoci a restare assediati negli spogliatoi sino alla mezzanotte, salvati dalle forze dell’ordine, accorse da centri vicini. Altamura, Sannicandro e Castellana furono i tre campi che ci videro chiusi negli spogliatoi; località in cui, per puro caso, il risultato era stato sempre lo stesso, 3 a 2 in nostro favore (nda per la cronaca, la squadra in cui giocavo che conseguì le tre vittorie esterne era la Pro Inter Bari, che cambiò nome in San Paolo Bari, che poi si fuse col Palese). Non ho mai giocato per il pubblico, ma solo per l’unica bellezza in campo che ti esalta sino alla gioia massima, la vittoria. Non c’è mai stato nel calcio un giocatore che, entrando in campo, qualsiasi avversario avesse di fronte, anche di categoria superiore, non mirasse a vincere. Almeno io l’ho sempre pensata così, anche quando ragazzino, in allenamento a Milano, avevo di fronte grandi campioni della massima serie. No, state tranquilli, non ho dimenticato il momento più trepidante prima della gara, l'incontro col pallone. L'oggetto dei desideri di ogni calciatore, o meglio di ogni amante del calcio. Domenicalmente il signor Pallone si presentava nella sua veste nuova, e strapazzarlo o mazzolarlo, come alcuni ruoli richiedono, non era per giocatori di fino; personalmente accarezzavo la sfera di cuoio come si può accarezzare la pelle vellutata di un bella rotondità femminile. Un tocco e via, un lancio e il pallone, come cometa, si posava preciso sui piedi del compagno più libero a illuminargli la porta avversaria. Non so se fosse un mio limite, ma mi han sempre fatto rivoltare dentro alcuni allenatori fortemente disturbati; per la verità ne ho incontrati pochissimi fortunatamente, e solo in lega giovanile, che mi gridavano da bordo campo “Petino, dall all gamm a cudd!!!” Io avrei dovuto picchiare un mio avversario solo perché mi aveva tolto il pallone. Mai! Ho sempre prediletto il gioco pulito, anche quando mi toglievano la palla in contrasti irregolari. Persa la palla, inseguivo l’avversario sino a togliergliela in maniera netta e senza fare fallo. Prova del mio giocare corretto è la sola espulsione in vent’anni di carriera, a dire il vero ricevuta più per un abbaglio dell’arbitro che per scorrettezza mia e dell’avversario. Campo di Carbonara, tackle robusto a centrocampo con Zezza mediano del Carbonara; finiamo entrambi seduti sul terreno con la palla che ballonzola fra i quattro piedi, ognuno prova a calciarla verso un compagno, l’arbitro fischia convinto che ci stessimo scalciando e ci espelle. Uscimmo dal campo abbracciati, io e Zezza, convinti della nostra innocenza. Ma a nulla valse; saltammo la partita successiva. E torniamo al signor Pallone. C'è qualcuno che possa dire di non averlo mai accarezzato a inizio gara per ingraziarselo? Quanti di noi usavano con lui il "lei" e ne avevano il massimo rispetto. Che dire dell'emozione del prepartita, che non prendeva solo gli incerti di far parte dell'undici titolare. Io stesso, che pure avevo il posto fisso nella squadra in cui ho giocato i miei ultimi undici anni di calcio ufficiale, io stesso ero preso dal batticuore da stress dell'attesa, che si scioglieva solo al fischio del calcio d'inizio, lasciandomi dentro soltanto la sana carica agonistica per affrontare al meglio la gara. E dopo il lancio della monetina che l'arbitro effettuava per la scelta del campo, seguita dallo sguardo interessato dello stesso arbitro e capitani (ruolo quello del capitano che avevo in uggia, ma che per una sola volta ho dovuto ricoprire per motivi di forza maggiore); segnalata dai capitani la metà campo prescelta, ecco i 22 schierarsi, e al fischio d’inizio molti, gli occhi rivolti al cielo, si segnavano con la Croce. Il 9 che mi passa il pallone in avanti (deve essere cambiato il regolamento; non solo la numerazione è da gioco del lotto, ma vedo che oggi il pallone dal dischetto di centro campo lo si può dare anche all'indietro), dicevo, il 9 che mi passava la palla in avanti verso sinistra e via a corrergli dietro per 90 minuti e oltre, con la più grande gioia nel cuore, che si trasformava in sublimazione estatica quando gli occhi seguivano il tiro, e dall'evidenza si capiva subito che il portiere non l'avrebbe mai presa; attimi di felicità indescrivibile che imprimeva al cuore sobbalzi di esaltazione massima nel vedere la sfera di cuoio scuotere la rete nell'orgasmo che dà il gol, sensazione che solo chi l'ha provata può capirla. Percezioni dell'anima, che la giovinezza e lo sport più bello del mondo soltanto sanno dare ⚽️❤️🤝❤️⚽️️...


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