Allenare i piccoli calciatori, Diliso: «Trasmettere i valori tra creste e doppio passo»
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mercoledģ 11 settembre 2013
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di Francesco Sblendorio
Da 4 anni fa l’allenatore: fino a qualche mese fa seguiva i Giovanissimi provinciali del Bari, mentre ora si dedica unicamente ai piccoli calciatori dell’A.S.D. Palese, società in cui lui stesso tirò i primi calci e che insieme con sua moglie ha rilevato 2 anni fa. Lo incontriamo una mattina di inizio settembre nel centro sportivo Torricella, nel quartiere San Pio di Santo Spirito (vedi galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mister Diliso, da ex giocatore di serie A, com’è allenare oggi degli aspiranti calciatori?
Oggi ci sono strutture attrezzatissime e ai ragazzi viene messo a disposizione tutto ciò di cui necessitano. Ma l’importante è fare capire che le cose più importanti sono la forma fisica e il divertimento. Il mio obiettivo non è quello di creare campioni, ma quello di vedere i ragazzi, a fine allenamento, stanchi e soddisfatti. Poi è chiaro che se c’è qualcuno più valido, gli offro la possibilità di andare a fare dei provini per qualche squadra importante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Che differenza rileva rispetto ai suoi tempi?
Quando ho iniziato io, 25 anni fa, non c’erano le strutture che ci sono oggi. Io per esempio sono cresciuto su un campo di terra battuta, senza doccia e senza spogliatoio. A quei tempi si era più portati al sacrificio e di conseguenza la crescita umana avveniva molto più velocemente. Eravamo noi ragazzi che dovevamo adeguarci alle situazioni, mentre oggi le società vengono incontro alle necessità dei giovani giocatori. Attualmente ci sono più distrazioni e i genitori non fanno mancare nulla ai propri figli, per cui è più difficile educare un ragazzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In un’epoca in cui i grandi campioni sono soprattutto fenomeni mediatici, chi inizia a giocare a calcio lo fa desiderando di diventare calciatore o personaggio?
È vero che oggi i giovanissimi sono attratti dai personaggi. Lo dimostra il fatto che per esempio alcuni puntano a imparare a fare il doppio passo piuttosto che a diventare difensori forti. A volte copiano le mode, magari adesso si fanno i capelli con la cresta. Ma l’importante è che finiscano gli allenamenti sempre stanchi e soddisfatti. Determinanti sono poi le famiglie, che nel caso della nostra società provengono da quartieri e comuni diversi e quindi hanno origini sociali diverse. Si vede qual è il bambino cresciuto per strada e quello cresciuto davanti alla play-station. Al primo devi inculcare la retta via, al secondo i valori del sacrificio e della sopportazione del dolore. Personalmente, comunque, ho a che fare con genitori che pensano davvero all’attività motoria e al divertimento dei propri figli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel settore giovanile c’è concorrenza tra le società?
Sì, un po’ di concorrenza esiste. Alcune società prendono solo ragazzi selezionati. Ma l’importante è infondere prima di tutto dei valori. Molti dei miei ragazzi per esempio potrebbero avere la possibilità di raggiungere il calcio professionistico, ma la vera soddisfazione mi è data dal fatto che, da quando ho iniziato ad allenare, non ne ho perso neanche uno. Ero partito con circa 60 giocatori, ogni anno si sono sempre confermati quelli dell’anno precedente e se ne sono aggiunti altri. Adesso ne ho circa 200.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In Italia si parla sempre più di crisi dei settori giovanili. Che ne pensa?
Molte società preferiscono andare a prendere un giocatore già formato dall’estero, piuttosto che crescerlo in casa propria. Prevalentemente per una questione di costi. Del resto il calcio italiano ormai è sceso al terzo o quarto posto in Europa. Oggi dobbiamo guardare agli esempi provenienti dalla Spagna o dall’Inghilterra. Credo ci sia una relazione tra lo scarso impiego di ragazzi provenienti dai nostri settori giovanili e la crisi del calcio italiano.
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