Quando la pubblicità era arte: «Cartelloni come un dito nell'occhio»
Letto: 25345 volte
venerdì 14 novembre 2014
Letto: 25345 volte
di Eva Signorile
Cos'è il cartellonismo?
Inutile cercare questa parola sul vocabolario: non esiste, tanto che se si prova a digitarla sul computer, il correttore segnalerà l'errore. Però si tratta di un termine molto usato dagli esperti e indica sostanzialmente l'arte pubblicitaria, tutto il periodo artistico direttamente collegato alla produzione di réclame. I "cartellonisti" erano gli operatori di questo settore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quando nasce il cartellonismo?
Alla fine dell'800, con la seconda rivoluzione industriale. Si tratta di una conseguenza diretta della produzione seriale. In questo periodo nasce infatti l'esigenza, da parte delle case produttrici, di proporre i propri prodotti alle masse. Si realizza così una rivoluzione nella comunicazione pubblicitaria. All'inizio è un fenomeno un po' improvvisato e si utilizza ciò che si ha più a portata di mano, come ad esempio l'arredo urbano. Così, nascono le prime rappresentazioni murali pittoriche sulle facciate di alcuni palazzi: alcune di queste sono ancora conservate in diverse città della Francia o del Belgio. Ma quasi contemporaneamente, appaiono le prime inserzioni sui quotidiani e i manifesti. Le réclame sui giornali sono inizialmente in bianco e nero: i colori iniziarono ad apparire nei primi anni del 900 e comunque non si diffusero rapidamente a causa dei costi piuttosto elevati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A proposito dei manifesti, è possibile ancora ritrovarli su qualche muro, come avvenuto in via Nicolai?
No, il caso di via Nicolai è una felice eccezione. Ormai i manifesti sui muri stanno scomparendo. Gli esperti si rivolgono direttamente a istituti specializzati, come il museo dell'Affiche a Parigi o anche alla Bibliothèque Nationale, sempre a Parigi: qui c'è un ricco archivio della réclame. In Italia possiamo ricorrere al Mart di Rovereto, che è specializzato nel Futurismo e contiene una ricca collezione di Fortunato Depero, artista futurista che ha legato il suo nome alle campagne pubblicitarie del Campari. Un archivio importante è costituito dalla collezione Ferdinando Salce a Treviso, ora di proprietà dello Stato: consta di 25mila manifesti raccolti tra il 1895 e il 1962. Quando invece cerchiamo manifesti per acquistarli e non solo per studiarli, allora in generale ci rivolgiamo a internet, oppure al classico "mercatino".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quali sono stati i “cartellonisti” che hanno fatto epoca?
Posso nominare il già citato Depero, oppure Marcello Dudovich per La Rinascente o ancora Federico Seneca per la Buitoni. E poi ci sono cartelloni che sono diventati veri e propri “loghi”. Chi non ricorda il manifesto della crema solare Coppertone, quello dove compaiono una bambina e il cane che le tira il costumino? Un'immagine potente che ha fatto il giro del mondo. Ma sono solo esempi: stiamo parlando di milioni di manifesti creati nel corso di decenni. (Vedi foto galleria)
Come esperto di cartellonismo cosa la attira maggiormente?
Personalmente mi piace indagare sugli "anonimi", quegli artisti che hanno magari fatto anche tanti bei lavori, ma che per qualche motivo o non compaiono come autori perché non hanno firmato i propri lavori o perché magari sono proprio scomparsi dalla storia. Una storia che trovo affascinante è quella di Georges Favre: un artista originario di Lione che ebbe un successo folgorante negli anni 30 come pubblicitario, ma del quale all'improvviso si sono perse completamente le tracce. Al punto che, quando ho scritto al museo dell'Affiche di Parigi, chiedendo di lui, gli unici materiali che sono stati in grado di fornirmi sono stati due articoli. I francesi hanno praticamente dimenticato Favre: non si sa neanche quando e dove è morto. Il sospetto è che sia deceduto in guerra. E poi c'è "Bob", pseudonimo di Robert Picart: un cartellonista talmente minore che nella biblioteca "Forney" sono riuscito rintracciare appena 10 sue immagini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma si può ancora parlare di cartellonismo oggi?
Personalmente, ritengo che la fine del cartellonismo sia arrivata in un giorno ben preciso: il 1° gennaio 1977, cioè quando la Rai trasmise l'ultima puntata del Carosello. La televisione si rivelò subito uno straordinario strumento di comunicazione, tanto che molti cartellonisti a un certo punto "migrarono" dal mondo della réclame cartacea al Carosello. Il Carosello si dimostrò un contenitore culturale senza precedenti e, purtroppo, senza eredi: ogni puntata aveva musica, teatro, cartoni animati e coinvolgeva tutti, dai nonni ai bambini. L'arrivo della tv moderna ha aperto una nuova era pubblicitaria dove non c'è più spazio per il cartellonismo. Una differenza fondamentale sta nel fatto che per la nuova pubblicità non si utilizza più il disegno dell'artista, ma si impone la fotografia. E comunque nella pubblicità di oggi manca generalmente l'arte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Eppure ci sono state campagne pubblicitarie anche moderne che hanno fatto storia...
Sì, mi viene in mente anche una pubblicità, a firma di Oliviero Toscani, quella dei jeans Jesus: l'immagine del "lato b" di una ragazza, inguainato in un paio di pantaloncini con sopra la scritta "chi mi ama mi segua". Pubblicità sicuramente riuscita, ma come avviene in molte pubblicità moderne, il successo è fondato principalmente sulla provocazione e sull'impatto emotivo. Si è generalmente persa quella potente arma di persuasione che era tipica invece del cartellonismo e degli artisti che vi lavorarono: l'ironia. Più che di artisti, oggi parlerei di "creativi" e le due cose non sempre coincidono. Tendenzialmente la pubblicità dell'era del cartellonismo si è persa: oggi non ha più generalmente un valore dato dal lavoro concettuale dell'artista, ma si è trasformata in uno sterile atto di marketing.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ecco, ma cosa fa di un manifesto un'opera d'arte? Qual è il segno distintivo dell'artista?
Secondo una teoria che si è sviluppa a partire dagli anni 20, un cartellone deve essere "un dito nell'occhio", deve cioè colpire. Raymond Savignac, un cartellonista francese della seconda metà del 900, amava dire: “Il nostro dev’essere un linguaggio universale: lo deve capire il bianco, il giallo e il nero. Lo dovrebbe capire di colpo anche un marziano, se capitasse quaggiù”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita