Quando Bari aveva un suo Carnevale: tra grida e falò si celebrava il "funerale di Rocco"
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martedì 2 febbraio 2016
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di Katia Moro
“Funerale” sì, perché di fatto veniva messa in scena la morte di un pupazzo di paglia bruciato su un falò dopo essere stato portato in processione. La precuatùre de Rocche fu celebrata regolarmente da tutti i baresi fino agli anni 30/40, per poi pian piano perdere d’interesse fino a scomparire del tutto una ventina di anni fa. Anche se saltuariamente nel barese viene riproposta qualche rievocazione: quest’anno si terrà a Carbonara e anche nel borgo antico nell'ambito della manifestazione “Carnevale a Bari vecchia”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Si trattava dell’unica vera tradizione carnascialesca barese ed è un peccato che si sia persa – sottolinea il presidente dell’Accademia della lingua barese, Felice Giovine - . C’è chi continua a propinare e millantare come maschera barese un certo “Marcoffie”, un contadino semplice e sciocco con lunga giacca bianca e rossa a maniche larghe e pantaloni alla zuava. Ma si tratta di una pura invenzione tratta da un personaggio inserito in una poesia del poeta barese Francesco Saverio Abbrescia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Del resto anche a Bari Vecchia solo i più anziani ricordano questa vecchia tradizione. Tra questi, colei che è stata l’ultima creatrice di zii Rocche, come lei chiama il fantoccio. Si tratta della 60enne Anna Massari, una donna che ci accoglie nella sua dimora al pian terreno situata nei pressi di piazza San Pietro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Io ho ereditato questo ruolo da mia madre, che ha “vestito” il pupazzo per tanto tempo – afferma Anna -. "Zii Rocche" veniva preparato dalla mattina. Mia madre prendeva una tuta tipo quelle da meccanico e la riempiva di tanta paglia, così da farla rimanere rigida e ben tesa. Poi con una calza, sempre piena di paglia, creava la testa e vi metteva sopra la maschera di un politico del momento, completando il tutto con cappello e sigaretta. Sulla tuta si metteva una camicia, i pantaloni e le scarpe allacciate ai piedi. Ma la cosa più importante era la bastenàche, una lunga e grossa carota con tanto di filamenti appesi come peli, messa ben in evidenza sui pantaloni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si trattava quindi di una celebrazione all’insegna della licenziosità, dello sberleffo e della sana goliardia, nel più puro spirito carnevalesco. Attorno al simbolo fallico ruotava tutta la messinscena del funerale celebrato per il malcapitato Rocco, morto di dolore a causa dei continui tradimenti perpetrati dall’allegra mogliettina. Un’allegoria del tradimento coniugale e quindi del peccato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel corso della mattinata, terminata la vestizione, il fantoccio veniva issato sulla “bara”, in realtà travi in legno come quelle usate per trasportare le statue dei santi e si dava vita al corteo funebre che aveva il compito di attraversare le strade e i palazzi più importanti del centro storico sino ad arrivare al punto dove era allestito il falò. Di solito davanti all’Arco Alto o in largo Albicocca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In tanti seguivano il corteo vestiti con gli indumenti più disparati. Si fingeva di piangere il morto con grida e lazzi lascivi e ammiccanti intervallati dal ripetersi della fatidica battuta: Ah! Rocche, Rocche e mmò, ce l’av'a chiandà la bastenàche? (Ahi Rocco, chi pianterà la carota?”) cui seguiva la risposta O la chiànda tu o la chiàndo io, O in gasa tua o in gasa mio (“O la pianti tu o la pianto io, o in casa tua o in casa mia”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Era divertimento puro, ci facevamo davvero tante risate e tutti partecipavano con piacere – ricorda Anna - . Mia madre si travestiva da prete e guidava il corteo fingendo di benedire la gente con un vaso da notte e uno spazzolone da bagno. Una volta facemmo addirittura uno scherzo: telefonammo alla Questura dicendo di accorrere perché della gente si stava picchiando. Al suo arrivo la polizia fu accolta da grida e scherzi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Arrivato il pomeriggio il povero Rocco, con tutto il suo sgangherato seguito, raggiungeva il rogo preparato per lui e appeso come un impiccato veniva bruciato, mentre tutto intorno continuavano i canti e le facezie, fin quando non risuonavano mesti nell’aere i cupi rintocchi che segnavano l’inizio della Quaresima. E quindi Rocco moriva, così come il Carnevale, che lasciava il posto alla penitenza e alla purificazione dei propri “misfatti”.
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Scritto da
Katia Moro
Katia Moro
I commenti
- filomena palumbo - Ho 65 anni e vivo fuori dalla Puglia da quando ne avevo 7;ho però ricordi vivissimi di quando ad Andria si bruciava il fantoccio e lo ricordo con forte emozione Grazie Katia