Ago, filo e macchine da cucire a pedali: a Martina le sartorie che sfidano il progresso
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lunedì 11 luglio 2016
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di Katia Moro
«Questi sono da sempre considerati veri e propri templi della mascolinità: le donne potevano al massimo svolgere qualche lavoro di cucito, ma sempre rimanendo a casa», ci spiega la 38enne designer martinese Ida Chiatante, che nel Palazzo Ducale del paese ha realizzato (in collaborazione con il fotografo Alessandro Cirillo) una mostra sul “fenomeno” sartorie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Non solo – continua Ida - era qui che veniva improntata l’educazione dei bambini. Alla tenera età di 6 anni i maschietti venivano “messi a bottega” per imparare il mestiere e i più bravi proseguivano l’attività. Ma questo sistema è venuto meno con il subentrare dell’obbligo dell’istruzione scolastica sino ai 14 anni: da allora i sarti si rifiutano di accettare apprendisti d’età avanzata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«È venuto a portarci il suo curriculum un giovane appena laureato all’Accademia delle belle arti, convinto di essere subito accettato per il titolo presentato – racconta uno degli anziani sarti martinesi, il 79enne Giuseppe D’Ignazio -. Ma quando l’abbiamo messo alla prova ci siamo resi conto che non aveva imparato nulla se non a livello teorico. L’esperienza si acquisisce solo lavorando concretamente in bottega e gradualmente, un passo alla volta. Ecco perché è indispensabile iniziare sin da piccoli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel suo negozio alla periferia del paese Giuseppe lavora insieme con il fratello, il 69enne Egidio: da soli svolgono tutto il loro lavoro. «Abbiamo ereditato l’attività da mio padre che ha iniziato nel 1922. Eravamo 12 figli e ognuno ha aperto una propria sartoria – spiega Giuseppe –. Poi tutti hanno chiuso e cambiato mestiere, solo io e Egidio resistiamo ancora».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Chiaramente di questo passo le botteghe così come le conosciamo oggi moriranno, non essendoci quel ricambio generazionale che possa permettere di continuare la tradizione. Una ha già chiuso i battenti qualche tempo fa in seguito al pensionamento dell’anziano proprietario.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Del resto anche volendo sarebbe difficile riuscire a imparare a utilizzare antichi attrezzi quali la mezzaluna, detta anche “pizz du case” (pezzo di formaggio), utile a dare forma ai vestiti. I tempi che si adattano a questi mezzi sono infatti molto lunghi: si impiegano minimo quattro giorni per imbastire un abito a mano. E i due fratelli cuciono su misura abiti, pantaloni, gonne, cappotti e vestiti da sera. Il tutto per almeno due clienti alla settimana, gli affezionati della sartoria artigianale che giungono da tutta la Puglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Io vesto solo abiti cuciti su misura non amo quelli confezionati industrialmente, non c’è paragone», dichiara uno più longevi clienti, il 92enne Michele Iacovazzi. «La gente pensa di risparmiare andando ad acquistare in un negozio ma non è così - aggiunge un altro avventore, il 69enne Achille Scialpi -. Qui spendi un po’ di più inizialmente ma hai un prodotto che dura molto a lungo nel tempo e non si rovina al primo lavaggio, come accade con gli abiti confezionati».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Achille ha portato con se anche il suo giovane nipote 22enne, che dice di volersi iscriversi all’Accademia. Giuseppe e Egidio non commentano, ma nel loro sguardo c’è tutta la consapevolezza di sapere che dopo di loro non ci sarà più nessuno a proseguire l’antica arte della sartoria manuale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Katia Moro
Katia Moro