Dagli anni 30 si stagliano sul lungomare di Bari: sono i monumentali complessi "Incis"
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giovedì 31 ottobre 2019
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di Marianna Colasanto - foto Valentina Rosati
Progettati dall’ingegnere barese Domenico Minchilli, riprendono le forme tipiche del secondo rinascimento romano, caratterizzato da forme semplici e linee sobrie utili a conferire ordine e “decoro”. Non mancano però elementi architettonici quali capitelli e mascheroni che regalano eleganza e raffinatezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo dunque andati a visitare questi palazzi, presenti da novant’anni nei quartieri Madonnella e Libertà. (Vedi foto galleria)
L’Incis di Madonnella – Il primo complesso, fresco di una ristrutturazione avvenuta nel 2018, si nota percorrendo il Lungomare Araldo di Crollalanza: è parzialmente nascosto dagli alberi di piazza Diaz, lì dove si affaccia uno dei cinque lati di cui è composto. La pianta dell’edificio ha infatti una forma irregolare: un marchio di fabbrica dell’Istituto, presente in modo invariato anche in altre città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Progettato nel 1928 e inaugurato il 28 ottobre del 1930, si presenta con un color rosa chiaro che si alterna al bianco dei balconi, dell’ingresso e della parte inferiore in bugnato.
L’entrata è posta sulla più interna via Goffredo di Crollalanza: una soluzione adoperata per riparare le abitazioni dal vento che arriva dal mare. E qui è da subito ben evidente la monumentalità del complesso, il cui cancello d’ingresso è preceduto da otto colonne bianche con capitelli in stile ionico, caratterizzati dalla presenza di piccole maschere apotropaiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sulla scritta I.N.C.I.S. che campeggia sulla facciata è poi disposta una balaustra contraddistinta dal susseguirsi di piccole colonnine. Impreziosiscono la facciata le decorazioni in bugnato in stile manierista, le bifore in stile romanico, e all’altezza del terzo piano, l’emblema dello stemma sabaudo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso il cancello decorato, entriamo nello splendido atrio, contraddistinto dal soffitto con volte bianca a cassettoni da cui pende un lampadario in ferro e da otto colonne che riprendono lo stile di quelle dell’ingresso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superato l’androne ci ritroviamo nel cortile interno: un giardino comune caratterizzato dalla presenza di alte palme. L’interno è dipinto di color ocra e qui si affacciano i quattro portoni che permettono l’accesso ai 66 appartamenti. Anche qui non mancano delle decorazioni, come le conchiglie che sormontano gli ingressi e gli scudi e i mascheroni posti sotto le finestre del vano scale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’Incis di Libertà - Gli altri due complessi Incis, anch’essi da poco ristrutturati, si trovano dalla parte opposta del lungomare: su corso Vittorio Veneto, separati tra di loro dalla stretta via Maffeo Pantaleoni. Il primo lotto (quello corrispondente al civico 6 del corso) fu realizzato tra il 1930 e il 1932, il secondo (al numero 8) tra il 1932 e il 1934.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il numero 6 è il più sobrio: possiede una facciata giallo ocra, scandita in modo alternato da balconate con colonnine in bianco. Ciò che però inevitabilmente colpisce è la presenza dei grandi quattro fasci littori che fungono da semi colonne posti ai lati dell’ingresso dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul lato che affaccia su via Pantaleoni è ancora visibile una freccia con all’interno una R in stampatello: durante la Seconda guerra mondiale indicava il rifugio antiaereo più vicino, lì dove ci si poteva riparare in caso di bombardamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varcando l’ingresso accediamo al cortile interno, oggi adibito a parcheggio, ma un tempo concepito come giardino condominiale. Qui compaiono i quattro portoni, impreziositi da un timpano triangolare, che danno l’accesso ai 48 appartamenti. Il complesso residenziale negli anni 50 fu ingrandito con la costruzione di altri edifici e con un ulteriore ingresso posto su via Gioacchino Murat 51/A.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’altro Incis, quello collocato al civico 8 di corso Vittorio Veneto, presenta elementi architettonici più particolari. Di color rosa chiaro, è costituito da due corpi di fabbrica simmetrici, collegati tra di loro da un terzo corpo centrale che accoglie l’ingresso. Quest’ultimo è caratterizzato da una “accesa” volta a botte in rosso mattone con i costoloni in giallo, al cui incrocio centrale fa bella mostra di sè una scultura decorativa a forma di fiore.
Lungo tutto il perimetro si trova poi una zoccolatura in pietra bianca che va a incorniciare le bucature del piano seminterrato, lungo le quali scorre una fascia di colore grigio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la peculiarità di questo edificio è data dalle balconate situate al piano terra protette da un cancello in ferro a semicerchio: si affacciano una su via Pizzoli e l’altra su via Pantaleoni. In entrambi i casi il balconcino, formato da piccole colonne, è racchiuso da due pilastri che alternano cilindri e parallelepipedi leggermente bugnati. Una preziosa struttura che si va poi a congiungere con la balconata del primo piano.
Anche in questo palazzo si trova un cortile (in parte giardino in parte parcheggio) che permette l’accesso ai 40 appartamenti. Area che comunica con l’altro ingresso presente in via Murat 51/F, aperto negli anni 50 dopo la costruzione di un’ulteriore palazzina di color rosso su cui campeggia la scritta INCIS.
Chiudiamo con una curiosità. Nel 2018 accanto all’ingresso di via Murat è stata apposta una targa: ricorda che Aldo Moro ha vissuto in questo lotto tra il 1934 e il 1939. Si tratta però di un errore: il politico ha sì abitato all’Incis, ma nell’edificio adiacente, quello di corso Vittorio Veneto 6.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Marianna Colasanto
Marianna Colasanto
Foto di
Valentina Rosati
Valentina Rosati
I commenti
- Fiorella - Articolo particolarmente interessante perché ha aperto un mondo fino ad oggi, a me sconosciuto. Ho scoperto con grande meraviglia che dietro quelle facciate austere si celano spazi che accomunano pur preservando la privacy dei tanti abitanti. Grazie
- xnaxa - Molto meglio un regime che, oltre a lavoro e sanità, costruisce milioni di case per i propri cittadini, rispetto a uno che non solo non le costruisce, ma le fa in modo pessimo, e fa morire la propria gente per mancanza di welfare e sanità.
- paolo minchilli - Grazie e complimenti alle autrici .
- Vito Petino - L’INCIS DI VIA DI CROLLALANZA In un momento le immagini del reportage delle vostre gentili signore Mariangela Colasanto e Valentina Rosati sugli edifici INCIS (penso che l’acronimo del ventennio di lutti significhi Istituto Nazionale Case Impiegati Statali; e meno male che all’epoca vi erano anche uomini così illuminati da progettare capolavori eterni, per fortuna non altrettanto per il deprecato regime); quelle immagini dicevo, mi hanno con violenza impensabile sbattuto indietro negli anni, sino ai miei primi mesi di vita, quando per la prima volta mi hanno portato a casa di zia Chella Traversa, che abitava nell’Incis di via di Crollalanza 3, nell’appartamento centrale al piano rialzato della scala B. Era la sorella di Elvira, la mia nonna paterna che non avevo conosciuto, morta quando mio padre aveva poco più di 8 anni. Zia Chella aveva sposato Ferdinando Belviso, direttore del Dazio per tutto il ventennio fascista, in seconde nozze, e dovette accudire i quattro figli piccoli che il marito aveva avuto da Carmela, sorella di zia Chella, dunque zia dei piccoli Belviso. Zio Ferdinando e zia Chella ebbero poi altri quattro figli. Nell’Incis sin dai miei primi mesi di vita mi portava quasi giornalmente un’altra sorella di mia nonna, Zia Mamma, presso cui i miei abitavano da molti anni, in un modesto bivani di via Carulli, a un paio di isolati distante dal complesso popolare degli impiegati statali che s’affaccia sulla Pineta del Lungomare. L’Incis aveva un enorme cortile interno con due aiuole, dove i bimbi si scatenavano nei giochi di movimento, provocando spesso l’intervento del burbero Raffaele per tenerci a freno. Raffaele, un armadio di portiere, aveva alloggio con la propria famiglia nell’appartamentino a piano terra che fungeva da portineria. Appena entrati a destra, subito dopo le bibliche otto colonne che, quattro per lato, erano poste a guardia dell’androne d’ingresso. Vi erano altre otto colonne, poste a metà androne e sul limite del cortile interno, a coppie di due, a sinistra e a destra. Fra le coppie delle colonne di destra vi era la portineria. Nel cortile s’affacciavano quattro scale. Zia Chella, come ho spiegato, abitava nella scala B, nella A e nella C abitavano figli sia del primo che del secondo matrimonio di zio Ferdinando. Nella D ricordo che abitava l’ex ministro Araldo di Crollalanza con la figlia Perla. Zio Ferdinando era molto amico con di Crollalanza, e mia madre mi raccontava spesso che lui era riuscito a sistemare i suoi tanti figli grazie a questa influente amicizia. Perla sposò poi il giudice Frate. In quel cortile, oltre che con i miei pro cugini della stessa mia età, giocavo con i figli del giudice, anche loro miei coetanei, Michele e Anna. Da piccolo non ci facevo caso, ma anni dopo ho capito la malcelata antipatia dei cugini di mio padre nei miei confronti. Vi ho trascorso quindici anni in quel cortile. Da piccolo non potevo naturalmente farci caso. Un po’ più grandetto però cominciai ad accorgermi che Raffaele il portiere rivolgendosi ai figli dei tanti cugini di mio padre, che noi per educazione chiamavamo zii, anteponeva sempre il titolo “signorino”, a me invece soltanto l’“ehi, tu”. Un giorno mi capitò, non visto, di ascoltare alcuni dei miei parenti adulti scambiar chiacchiere con vicini di casa che apprezzavano la mia bellezza infantile. - Ma che bel bambino, che lineamenti dolci. E loro del tutto fuori tema, e indispettiti per avere come figli dei veri “scarrafoni”, denigravano l’onesto mestiere di mio padre. - Sì, ma è figlio di ferroviere. Probabilmente miravano a un futuro marito per le loro tante figlie, ma faceva da freno la “mia condizione sociale”, che poi tanto mia non lo era. Ma le poco sagge parenti non mettevano in preventivo che potessi avere un domani migliore del proprio, come in realtà è avvenuto. Infatti, esclusi un paio di cugini-zii laureati, tutti gli altri erano maestri di scuola elementare. Ma questa misera disponibilità d’animo, questa loro presunta superiorità, me l’hanno sempre dimostrata apertamente sino a quando non frequentai più l’Incis …