Gusti, dimensioni, ricette e locali storici: tutto cio che c'è da sapere sul panzerotto barese
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venerdì 3 luglio 2020
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di Gaia Agnelli e Mattia Petrosino - foto Sonia Carrassi
Tra ricette, varianti regionali, tradizioni secolari e famosi “panzerottari”, abbiamo ripercorso la storia di questo “must” della cucina (vedi anche foto galleria).
Storia e varianti regionali – Si presuppone che le sue origini risalgano al XVI secolo, in concomitanza con la diffusione del pomodoro in Italia. Sono Bari e Napoli a contendersi la paternità dell’invenzione culinaria, chiamata però nelle due città in maniera diversa: “panzerotto” nel capoluogo pugliese e “pizza fritta” in quello campano.
La preparazione e gli ingredienti dell’impasto sono comunque gli stessi della pizza, per entrambe le città: acqua, farina, olio, sale e lievito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A cambiare sono il condimento e la forma. Se a Bari assume l’aspetto di una mezzaluna dorata, sottile e croccante, a Napoli invece si presenta più spesso e tondeggiante. Se poi nel barese è solitamente farcito con pomodoro e mozzarella, carne o rape, i partenopei inseriscono al suo interno svariati ingredienti, spesso tutti insieme, come ricotta, provola e ciccioli di maiale.
Dimensioni e gusti – Ma qual è la dimensione “giusta” del panzerotto? «La lunghezza tradizionale equivale a quella di una mano: né troppo piccola né troppo grande – spiega il gastronomo Sandro Romano –. C’è però chi si è orientato verso dimensioni maggiori, quasi fossimo in presenza di una pizza ripiegata su se stessa. Quelli mignon invece sono utilizzati più che altro per i buffet».
Per ciò che concerne i gusti invece, quelli “storici” sono: pomodoro e mozzarella, recott’asckuànd’ (ricotta forte) e carne macinata. «Quest’ultimo è al centro di un acceso dibattito – sottolinea l’esperto –: si aggiunge la salsa rossa o si lascia “in bianco”? Secondo me hanno ragione i secondi: la ricetta classica non prevede infatti l’utilizzo del pomodoro».
Nel corso degli anni è comunque partita una vera e propria “sfida” per rendere questo prodotto il più originale possibile e così la sua pancia è divenuta un “contenitore” in cui metterci di tutto: rape, cipolla, cacio e pepe, gorgonzola, mortadella e provolone, brasciola e addirittura nutella.
I “panzerottari” storici – Per carpire i segreti nella preparazione del panzerotto siamo andati alla ricerca dei locali cittadini che friggono da più tempo, focalizzando però la nostra attenzione solo su quelli che lo vendono anche e soprattutto da asporto.
Perché è questo il modo più “barese” di mangiarlo: per strada, facendo attenzione a non sbrodolarsi. Infatti, soprattutto se ancora bollente, il rischio è sempre quello di sporcarsi con il ripieno che immancabilmente verrà fuori dalla massa fritta.
Sono dunque cinque i “panzerottari” storici della città, quelli che vantano almeno cinquant’anni di attività: Qui si gode, Nonno Marcello, Di Cosimo, Pazzeria Dregher e Il Fornaccio.
Il più antico di tutti è il bar “Qui si gode”, che si affaccia sul porticciolo di Santo Spirito dal 1944. Il locale, dalla grande insegna blu, si presenta come un piccolo chiosco.
Nato su iniziativa dei coniugi Serafino Selvaggio e Anna Finetti, all’origine vendeva anche i biglietti per la linea del tram che collegava Santo Spirito a Bitonto. I suoi clienti erano proprio i passeggeri che, scendendo dal mezzo affamati, si fiondavano soprattutto sui panzerotti esclamando “Qui si Gode!”.
«Il chiosco è stato dei Selvaggio fino a 15 anni fa – spiega la 54enne Elena Colapinto, attuale titolare insieme con il marito Michele Florio –. Noi seguiamo la ricetta tramandataci dal fondatore, che aggiungeva ai normali ingredienti un pizzico di zucchero. Abbiamo però ampliato il menù della rosticceria proponendo ben 24 tipologie diversi, che vanno dal peperone grigliato sino alla brasciola».
Per quanto riguarda quello fatto con la carne, qui si preferisce aggiungere la salsa. «Ne mettiamo una “velata” per dare sapore all’impasto, che altrimenti risulterebbe asciutto», conclude Elena.
Ci spostiamo ora a San Marcello, area compresa tra i rioni San Pasquale e Carrassi. Qui, all’inizio di via Fanelli, si trova “Nonno Marcello”, uno dei baluardi della zona dal 1962. L’insegna, dai caratteri cubitali rossi, anticipa la funzione del locale: tavola calda e rosticceria. L’attività nacque come bar aperto da Marcello Rosiello per poi ampliarsi negli anni Settanta con l’offerta di prodotti come i panzerotti.
«Il trucco per prepararli in modo leggero e genuino sta nella pulizia della friggitrice e nella lievitazione – spiega il 37enne Eugenio Mistretta, attuale titolare nonché nipote del fondatore, scomparso nel 2006 –. Noi lasciamo crescere la massa, coperta naturalmente dal canovaccio, dalle 9 del mattino fino a sera, in un ambiente caldo che agevola il procedimento».
Anche Nonno Marcello prevede l’inserimento della salsa con la carne, ma le dimensioni per tutti i gusti rimangono quelle classiche. E questo a differenza di un altro antico “panzerottaro” di Bari: “Di Cosimo”, situato dal 1967 in via Giovanni Modugno, quasi ad angolo con via Giulio Petroni.
Qui infatti la lunghezza del prodotto è enorme, il doppio di quella normale, tanto da farlo definire “a orecchia di elefante”. Purtroppo però non riusciamo a saperne di più: il proprietario ci riferisce infatti di non voler rilasciare dichiarazioni perché non interessato all’articolo.
Siamo ora nel centro storico cittadino, tra via Corridoni e piazza Chiurlia, lì dove si trova la “Pazzeria Dregher”, dal nome della birra preferita del fondatore Andrea Signorile. Sul marciapiede, all’interno di un gazebo, vi sono numerosi tavoli, sebbene il locale sia famoso più che altro per i suoi prodotti d’asporto.
Nato nel 1958 come circolo ricreativo, si trasformò in pizzeria nel 1969, anno in cui si specializzò anche nella “pancia fritta”. «È grazie ad Andrea se ancora oggi è il nostro pezzo forte – ci dice il 46enne Giancarlo Capriati, proprietario dell’attività da ormai 20 anni –. Per ottenere croccantezza e colorazione perfette è necessario combinare bene gli ingredienti, lievitare l’impasto non meno di otto ore e aggiungere un po' di zucchero per la doratura della massa».
E mentre frigge tre panzerotti alla temperatura di 180 gradi, ci dice che tra i gusti più amati dai suoi clienti ci sono quello con la recott’ asckuànd’ e quello con la carne. Quest’ultimo, però, a differenza dei locali precedentemente visitati, è senza l’aggiunta di pomodoro. «Preferiamo non metterlo perché sarebbe paradossale non rispettare la tradizione proprio qui, a Bari Vecchia», dichiara risoluto il titolare.
Concludiamo il nostro giro in via Crispi, nel quartiere Libertà, lì dove affonda le sue radici dal 1972 “Il Fornaccio”. Fondato da Angelo Ficarella, figlio di Domenico (il primo pizzaiolo di Bari) il locale è passato dal 1999 nelle mani dei coniugi Francesco Marchitelli e Vincenza Sassanelli.
«La nostra caratteristica è quella di inserire una “giusta” quantità di ripieno all’interno – spiega il 52enne Francesco –. Quest’ultimo non deve essere né sovraccarico né vuoto. Oltre alle solite tipologie lo farciamo con cacio e pepe, cipolla da calzone e mortadella e provolone».
Il titolare ne approfitta per mostrarcene due, facendoci notare come la dimensione non superi mai i 16 centimetri. «Riteniamo che sia questa la grandezza perfetta, l’ideale per non appesantire il cliente – commenta –. Anche perché se il panzerotto è troppo grosso diventa difficile mangiarlo per strada, il luogo classico dove assaporare questo prodotto dorato, croccante e gustoso».
(Vedi galleria fotografica)
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