Terlizzi: l'imponente e abbandonata Villa Ilderis, rifugio dei cavalieri diretti in Terrasanta
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lunedì 7 giugno 2021
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di Daniela Calfapietro - foto Christian Lisco
Deve il suo nome all'omonima famiglia di origine boema che ne volle la costruzione nel lontano XI secolo. A inaugurarla fu Giovanni Antonio Ilderis, che portò così a compimento il progetto del padre di realizzare un'immensa azienda agricola di 90 ettari, avviata con 182 braccianti: agricoltori del posto, ma anche schiavi catturati in Medio Oriente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il complesso faceva infatti parte della commenda di Sovereto: praticamente un'area al servizio del Priorato gerosolomitiano, ordine religioso cavalleresco nato nel periodo delle crociate. Non è un caso che al suo interno vigeva l'obbligo di ospitare i confratelli di passaggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo una serie di rifacimenti strutturali (l’ultimo dei quali avvenne nel 1755), nel 1848 la villa fu teatro di alcuni incontri segreti volti a sabotare il Regno delle due Sicilie: riunioni presto scoperte dalle autorità borboniche, che di conseguenza esiliarono Giovanni Antonio Ilderis (discendente dell'omonimo fondatore della proprietà), condannando il podere a un inesorabile declino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per visitarlo occorre partire dall'abitato della “città dei fiori” e percorrere la strada Provinciale 22 Terlizzi-Mariotto sino a incrociare sulla sinistra una malmessa sterrata che ricopre l'antichissimo tragitto della via Appia Traiana. Dopo 3 km ci appare la destinazione, con l'ingresso delimitato da due pilastri di pietra e un apposito cartello indicatore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo così l'entrata, accorgendoci subito che ci sarà da scarpinare parecchio: il viale che porta all'edificio principale, delimitato da muretti a secco, è lungo addirittura 300 metri. Attorno a noi, come spesso capita nelle campagne baresi, è un tripudio di ulivi, anche se decenni fa lo scenario era ancora più affascinante: la strada era infatti affiancata da due file di maestosi pini, dei quali sono sopravvissuti solo tre esemplari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo il lungo cammino arriviamo finalmente nell'ampio atrio semicircolare della villa. Circondato da un muro alto un paio di metri, presenta due ingressi laterali ed è facilmente esplorabile, in quanto quasi del tutto spoglio di erbacce. Sul lato destro avvistiamo una colonna a base quadrata, una delle due che un tempo reggevano la carrucola per il secchio del pozzo. L'accesso alla cisterna è sbarrato proprio da quei massi che costituivano la seconda colonna, andata distrutta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Volgiamo quindi lo sguardo alla facciata principale, interamente in bugnato. Il piano terra presenta tre entrate: quello principale è sormontato da due rampe laterali, piuttosto malconce, che conducono al piano superiore. I due sottoscala, visti di lato, creano un pittoresco gioco di archi, impreziosito sullo sfondo da uno dei pini "superstiti". Sulla parete spiccano quattro buchi, alloggiamenti per gli anelli ai quali venivano legate le briglie dei cavalli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Decidiamo di visitare gli interni oltrepassando l'ingresso occidentale, quello che immette nella cappella gentilizia. Nella chiesetta sono evidenti gli spazi vuoti lasciati dall'acquasantiera, da alcune mensolette e da una tela (forse raffigurante San Giovanni): tutto è stato trafugato, eccetto i ruderi di un altare in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'incuria e il vandalismo hanno per ora risparmiato parte della pavimentazione, costituita da mattonelle esagonali grigie e cerulee. Stesso discorso per la volta a vela del soffitto, i cui stucchi riproducono la croce patente, simbolo gerosolomitano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dalla cappella è possibile muoversi agevolmente verso la parte est del piano terra, in quanto tutte le stanze che scandiscono l’ambiente sono comunicanti. La prima, ben illuminata, ripresenta lo stesso disegno di pavimento, reso quasi invisibile dalle macerie. Una situazione simile a quella della stanza successiva, che insiste sull'entrata principale e fungeva da refettorio: desolazione rotta dal soffitto, che conserva una decorazione dorata, testimonianza di una gloria ormai lontana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Completano il pian terreno un vano con un camino di impianto medievale e la cucina, riconoscibile da due forni posizionati uno di fronte all'altro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per esplorare il piano superiore è necessario recarsi sul retro della struttura. Usciamo quindi sull'atrio e circumnavighiamo esternamente il muro orientale dell'emiciclo. Subito ci imbattiamo in un camerone a ingresso indipendente, annerito senza pietà da un incendio appiccato al suo interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Giungiamo così dinanzi alla facciata posteriore della villa, puntellata da feritoie medievali e da un finestrone centrale affrescato con una pittura color zafferano, sul quale sono ancora riconoscibili le sagome di due uccelli. L'apertura sovrasta un'ampia entrata, dalla quale è possibile in pochi passi imboccare la scala a chiocciola che porta al piano nobile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In cima alla rampa ammiriamo un ampio salone, nel quale si calpesta di nuovo un pavimento a mattonelle esagonali, stavolta grigie e rosse. L'ambiente è ricoperto da una volta a padiglione che mantiene ancora una parte del ricco affresco originale, caratterizzato da un azzurro intenso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E un altro spettacolo si apre quando ci si incunea nei piccoli ambienti laterali, dotati di finestre e terrazzini: da qui infatti scrutiamo il panorama circostante, individuando le stalle del complesso e il verde degli ulivi che circondano questa grande e solitaria masseria.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Daniela Calfapietro
Daniela Calfapietro
Foto di
Christian Lisco
Christian Lisco
I commenti
- Salvo Molina - Questa località mi ricorda molto il luogo dove sono nato, un masseria fortificata normanna, ora nel comune di Mesagne. Non è la prima struttura del genere descritta da Barinedita. A chi appartiene ora questa di Terluzzi? A chi appartengono i terreni circostanti? Esistono dati catastali certi? Vi sono in proposito iniziative, o soltanto progetti istituzionali? E privati? Barinedita potrebbe creare una sorta di associazione, che abbia come fini, la valorizzazione, il recupero, le proposte di riutilizzo, i contatti con gli organi istituzionali, etc. etc
- francesco d francesco - https://ibb.co/8j8xSpQ Questa foto fu eseguita nel 1910 e rappresenta com'era il viale d'ingresso in quell'epoca. ci lavoravano , per coltivare , quasi 90 ettari di uliveto circa duecento persone. stupendo era il refetorio con i lunghissimi tavoli per le maestranze. ora la proprietà è stata unita in un unico blocco, apaprtenente alle sorelle Elia, Già grandi proprietari terrieri di Bitonto. Nel 2013 fu fatta una proposta di finanziamento regionale per il recupero ma poi è finita li. la foto fu scattata da un certo Tempesta che ne rimane proprietario ma non so dove sia. Potreste pubblicarla??