Da Stoppani a Risorgimento, la storia delle caffetterie baresi: simbolo della "belle époque"
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venerdì 25 marzo 2022
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di Giancarlo Liuzzi
Nati decenni prima dei vari Sica, Motta, Mokador o Saicaf, questi “salotti buoni” hanno segnato un’epoca (quella “d’oro” a cavallo dei due secoli), ma furono spazzati via dalle rigide disposizioni del Fascismo, che vietava gli “assembramenti” di persone e dalla successiva devastante Guerra Mondiale. In realtà uno di loro è riuscito a sopravvivere sino ai giorni nostri, ovvero lo Stoppani, il quale però si è dovuto arrendere nel 2017, anno in cui chiuse per problemi finanziari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così dopo aver parlato delle antiche osterie, abbiamo ripercorso la leggenda delle caffetterie (nel 1915 se ne contavano 161 in tutta la città), aiutati dal volume “I tabernacoli baresi dell’onesto peccato” scritto nel 1972 dallo storico della gastronomia Luigi Sada. (Vedi foto galleria)
Le prime “botteghe del caffè” aprirono a Bari nella seconda metà del 700, dove gli avventori, principalmente mercanti, consumavano bevande corrette e liquori seduti su panche e sedie in legno. Inizialmente si trattava di luoghi spartani, che però con il tempo si trasformarono in eleganti posti arredati con divanetti, specchi e tende nei quali, a servire i clienti, c’erano camerieri vestiti in frac.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra questi il “Cafè de Sacchètte” di Giuseppe Marino, situato in piazza del Ferrarese. Al principio si trattava di una bottega oscura con tavolini impolverati e sedie mal imbottite, ritrovo preferito dei pescatori che di notte si recavano lì a “barattare” una tazza di caffè per un po’ di pesce. Nel tempo divenne un punto di riferimento cittadino e rimase aperto sino agli anni 30 del 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1836 Domenico Marzano diede invece vita in via San Domenico al “Turco”, che si specializzò nella vendita di liquori “curativi” offrendo ai clienti lo stomatico di Santa Scolastica, la tintura anticolica, il centerbe e l’amaro febbrifugo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Altre caffetterie erano il “Mercantile” di Lorenzo Turi, al 19 dell’omonima piazza, frequentato dagli ufficiali borbonici che alloggiavano nel vicino convento di Santa Teresa dei Maschi e il “Cafè de la Trudde” di Nicola Bellomo che si trovava nell’ex battistero (la Trulla) della Cattedrale di San Sabino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma i due luoghi più rinomati di quegli anni furono “Stoppani” e “Risorgimento”. Il primo venne fondato nel 1860 dal cioccolatiere svizzero Gaspare Stoppani con suo genero Fausto Poult e i fratelli Giacomo e Gaspare Lenzi. Si trovava ad angolo tra la centrale via Sparano e l’allora corso Ferdinandeo (attuale corso Vittorio Emanuele). Definito come “il più bel caffè dell’Italia meridionale”, accoglieva i clienti con le sue grandi vetrine che riportavano il nome dell’attività.
I proprietari portarono dalla Svizzera una pasticceria sofisticata e variegata e all’interno le eleganti sale affrescate con scene classiche, erano finemente arredate con tavolini in ferro battuto e marmo, divanetti e specchi dorati. Il ristorante del primo piano era poi scandito da snelle colonne che sorreggevano eleganti archetti da cui pendevano tende. Dal soffitto scendevano invece larghi candelabri che davano luce ai tanti tavoli sottostanti.
Qui si fermarono il re Nicola I del Montenegro, per ospitare i festeggiamenti di sua figlia Elena che nel 1896 abiurò la fede ortodossa per sposare il re d’Italia. E fu lo staff dello Stoppani a preparare il buffet per l’inaugurazione della ferrovia Bari-Brindisi e la celebrazione dei 100 anni della città nuova nel 1913. Dopo la Seconda guerra mondiale traslocò prima in via Abate Gimma e poi in via Roberto da Bari: quella che fu la sua ultima sede, chiusa mestamente nel febbraio del 2017.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sull’odierno corso Vittorio Emanuele, ad angolo con via Andrea da Bari, aprì invece le sue porte nel 1864 il “Risorgimento”, che contava un bar, un ristorante e un albergo. Il locale era di proprietà di Eugenio Liguori, Nicola Albanese e Luigi Vope. Quest’ultimo, che assunse la direzione, si recò a Parigi per raccogliere idee innovative e oggetti d’arredamento così da rendere la nuova attività unica in tutti i sensi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E già l’apertura ne dimostrò la diversità. Venne infatti inaugurato il 9 febbraio di quell’anno con un gran ballo al quale parteciparono nobili, autorità, dame e ufficiali che festeggiarono fino all’alba tra danze e banchetti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le sue raffinate sale, scandite da esili pilastri e col soffitto in cristallo a cassettoni, erano illuminate da candelabri con otto lampade e arredate con ornamenti dorati e decine di grandi specchi, vasi e statue di bronzo. Il tutto tra divanetti di velluto rosso e tavoli rettangolari di marmo. Il bancone e le credenze in legno finemente lavorati, custodivano poi vassoi, servizi di porcellana e posate d’argento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A completare la struttura vi era un giardino interno con alberi di agrumi, frutta e fiori disposti attorno a una fontana tra statue di terracotta che raffiguravano le quattro stagioni. Il Risorgimento restò in attività per quasi mezzo secolo, chiudendo nel 1910.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Altri locali da ricordare sono quello di Felice Lippolis che, aperto nel 1894 in piazza Luigi di Savoia, divenne noto il celebre “gelato al forno”. Come il caffè pasticceria “Gambrinus” di via Argiro, che fu inaugurato sempre alla fine dell’800 sulla scia di altri bar che prendevano il nome dal famoso liquore veneto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi c’era l’“Adriatico” di Giuseppe Petruzzelli, all’incrocio tra corso Cavour e via Cognetti. Il titolare, già proprietario di un bar omonimo di via Sparano, accoglieva gli habitué del teatro Petruzzelli con l’aiuto di quaranta lavoratori tra camerieri e personale di cucina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come detto queste istituzioni cittadine non sopravvissero agli anni bui del fascismo e della guerra, durante i quali ogni assembramento di persone veniva segnalato come un possibile e pericoloso “complotto”. Tra controlli quotidiani della polizia e paura, le storiche caffetterie baresi che avevano ospitato le conversazioni di Armando Perotti, Guglielmo Marconi, Benedetto Croce, Giovanni Laterza e Paolo Lembo, chiusero così per sempre i battenti, dando addio ai gloriosi anni della “belle époque”.
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Paolo Marturano - puntuale e ricca di immagini ...ottimo
- Mariano Argentieri - Su corso Cavour angolo via Dante c'era il palazzetto che ospitava la caffetteria di Beniamino Cipparoli "Gran Caffè Savoia” con annessa terrazza denominata “Ariston” dove si facevano concerti serate danzanti e proiezioni cinematografiche sullo schermo apposto sulla parete del palazzo a fianco. Beniamino Cipparoli assieme al genero Leonardo Lorusso costituì la SAICAF nel 1932.
- Alfredo - Il Gambrinus era di proprietà di Gaetano Michetti e fra le tante novità aveva una sala dedicata solo alle signore e una sala frequentata da un bordino merci degli albanesi
- Marcella Saracino - Il caffè Guerrieri Partenopea in corso Cavour risaliva ad un epoca più recente? Forse anni 50 /60?