Anche Bari ha avuto il suo Meroni: si chiamava Cesarino Grossi
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martedģ 12 novembre 2013
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di Francesco Sblendorio
Si chiamava Cesare Grossi, detto Cesarino per la sua corporatura “tascabile”: solo 166 centimetri di altezza. Giocava in attacco e nella seconda metà degli anni 30 era considerato il fenomeno del calcio barese, un Cassano ante litteram. Era il Bari del presidente Giambattista Patarino, allenato da Tony Cargnelli prima e dall’ungherese Giuseppe Ging poi, e guidato in campo da Raffaele Costantino, primo biancorosso della storia a vestire la maglia della Nazionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Grossi (nella foto con la maglia bianca) era nato a Bari, nel rione Carrassi, il 22 gennaio del 1917 e a soli 20 anni debuttò in serie A: il 18 aprile 1937, in un Ambrosiana – Bari che finì 2-2. Grazie ai numeri messi in mostra durante quella partita, “mezzo Balilla”, come era soprannominato a Bari, divenne titolare e iniziò a farsi desiderare dalle grandi squadre della serie A. Proprio l’Ambrosiana, nome dell’Inter tra il 1931 e il 1945, arrivò a offrire per lui la cifra record (per l’epoca), di 400mila lire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«A vederlo così piccolo e minuto – scrive in uno dei suoi libri Gianni Antonucci, storico del calcio barese - non gli si dava un soldo di fiducia. In campo invece era tutt’altra cosa: roba da spellarsi le mani per gli applausi». I tifosi accorrevano allo stadio della Vittoria per tifare Bari e soprattutto per ammirare Grossi. Per i ragazzi era un mito. Le sue foto in formato cartolina venivano vendute a 20 centesimi l’una e usate a scuola come segnalibri. Quando se lo trovavano di fronte le difese avversarie ammattivano. Il 27 febbraio 1938 “Cesarino” riuscì a superare in elevazione i laziali Viani e Piola, alti 20 centimetri più di lui. Il 6 novembre 1938, durante un Bari – Juve, l’esperto difensore bianconero Monti arrivò a implorare pietà. «Ragazzino – gli disse - butta via la palla dai piedi altrimenti mi metti in mezzo a una strada».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A differenza di Meroni, Grossi fuori dal campo era un campione di sobrietà e di modestia. Informato delle parole di ammirazione che i campioni della serie A avevano per lui, commentò: «Quelli vogliono prendere in giro la gente. Lasciamo perdere: loro sono campioni sul serio». Ammirava e invidiava Costantino, bandiera del calcio barese di quegli anni, al quale un giorno confidò: «Ah, quanto vorrei avere le tue gambe e quel distintivo». (della nazionale, ndr).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quella nazionale che per Grossi restò un sogno. All’inizio dell’aprile 1939 venne informato che il giorno 9 di quel mese avrebbe dovuto partire come soldato per l’Albania, poco prima occupata dalle truppe italiane. Avrebbe potuto farsi esonerare, ma decise di partire lo stesso. Animato dallo spirito patriottico che il regime fascista era solito infondere nei giovani dell’epoca, ma pare anche come manifestazione di disappunto nei confronti della società del Bari che non l’aveva ceduto all’Ambrosiana. A mezzanotte di quel 9 aprile, domenica di Pasqua, Grossi s’imbarcò con le truppe di fanteria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Passarono 13 giorni e in città fu diffuso il seguente comunicato militare: “Il soldato Cesare Grossi, di anni 22, partito col suo reggimento 48.mo Fanteria per l’Albania, è stato colpito da un fulmine”. Cesarino Grossi non c’era più.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La salma di Grossi tornò da Valona a bordo di un motopeschereccio molfettese e il 25 aprile si svolsero i funerali con corteo partito da via Putignani, a quei tempi sede dell’Unione Sportiva Bari. Con Grossi in campo il Bari aveva ottenuto 3 salvezze in serie A, grazie anche ai 18 gol di Cesarino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Rimane il dubbio sulle circostanze della sua morte. Si è sempre sospettato infatti che non fu provocata da un fulmine, ma da un’imboscata tesa da un gruppo di ribelli albanesi. Una versione questa che sarebbe stata nascosta dalla stampa del regime, che era solita fornire resoconti “ritoccati” degli eventi delittuosi e che in quel periodo cercava di trasmettere un’immagine di accoglienza festosa degli albanesi nei confronti delle truppe italiane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Che sia stato un fulmine o un omicidio, il calcio italiano perse in Albania uno dei suoi più grandi talenti. Un giovane (aveva solo 22 anni, due in meno di Meroni), una promessa, che come scrisse il giornalista Eugenio Danese «dava la sensazione di poter essere mantenuta».
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