Colosseo, Torre di Pisa e Arena di Verona: nel barese c'è un'Italia in miniatura
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venerdì 17 novembre 2017
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di Nicola Imperiale
Negli anni 80 il signor Stefano Schettini, sarto di Putignano, dedicò tutto il suo tempo libero alla costruzione in pietra e cemento di copie dei più famosi monumenti italiani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il motivo? L’uomo non aveva mai viaggiato e giunto alla fine della sua vita (morirà nel 1987), decise di edificare con le sue mani i simboli dell’architettura del Belpaese, inserendoli poi all’interno dei suoi terreni, situati in Contrada Marchione, nell’agro di Conversano. Raccogliendo pietre e materiali di risulta dalla strada, riuscì così a donare un tocco di romanticismo e incanto a quelle terre che amava e dove viveva a fianco dell’adorata moglie.
Siamo andati a scovare questa “Italia in miniatura”, in realtà molto poco “mini”, visto che si tratta di veri e propri edifici addirittura visitabili. (Vedi foto galleria)
Per trovare il sito dobbiamo percorrere la Provinciale 101 Conversano-Putignano: a 3 km dal “paese del Carnevale” troviamo una strada sterrata introdotta da due trulli che ci porta davanti a villa S. Maria, il cui ingresso ad arco presenta un piccolo trenino che pare un esplicito invito a viaggiare con la fantasia.
Qui incontriamo il 25enne Achille, figlio dell’attuale proprietario della villa, che ci introduce all’interno della sua casa. Ed ecco che in un prato verde molto curato possiamo ammirare il primo dei monumenti: il “Colosseo”.
Si tratta di una costruzione circolare alta due metri e mezzo e con un diametro di cinque che riproduce perfettamente il più grande anfiteatro del mondo, con tanto di arcate, finestre, paraste e lesene. Al centro si trova una porticina metallica e sopra di essa delle pietre circolari che segnano due “S”: le iniziali del suo creatore.
Il piccolo Colosseo è stato ultimato nel 1982 e al suo interno si trova un agrumeto con alberi di limoni, arance e mandarini: un giardino impiantato da Schettini, che voleva che le sue opere “vivessero”.
Alquanto sopresi per quanto appena visto, usciamo dalla villa per andare a incontrare una signora che abita in una casa vicina. Vogliamo sapere qualcosa in più sul signor Stefano e la donna ci accontenta, svelandoci un retroscena inquietante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Schettini – ci dice - alla morte di sua moglie trafugò i resti dal cimitero e li portò qui, nelle sue terre, affinchè la sua amata riposasse nei posti che avevano condiviso in vita. Ma le forze dell’ordine lo vennero a sapere e perquisirono le sue proprietà. Alla fine fu proprio Stefano a indicare il luogo di sepoltura, visto che il magistrato minacciò che se non avessero trovato la “tomba” avrebbero fatto abbattere tutti i suoi cari monumenti».
Increduli decidiamo di continuare il nostro tour alla scoperta di ciò che resta del “magico” mondo di Schettini. Proseguiamo così lungo un vialetto posto sulla sinistra rispetto all'ingresso della villa, fino a quando tra gli alberi, in aperta campagna, vediamo spuntare un’alta costruzione. Percorriamo qualche decina di metri e ci ritroviamo davanti a un edificio biancastro che si erge maestoso sul territorio circostante: è la “Torre di Pisa”.
A differenza della precedente opera la torre è però in stato di abbandono e pericolante. Nonostante ciò mantiene un grande fascino: è pendente come l’originale, alta 7-8 metri e circondata da finestre, archi ciechi e loggiati esterni. Peccato che non sia stata ultimata: doveva raggiungere i cinque piani ma la sopraggiunta morte di Stefano non permise il suo completamento.
Varchiamo a questo punto l’entrata posteriore dove si trova una scala in pietra priva di ringhiera che ci permette di salire. Al primo piano ci ritroviamo in una stanza circolare, mentre il secondo livello è quello mai terminato, che funge da terrazza. Dall’alto, fra terreni e abitazioni, possiamo avvistare il precedente colosseo.
Non ci resta ora che scendere per dirigerci a pochi passi dall’ingresso della torre, dove quasi nascosto dagli alberi si trova il terzo monumento: “l’Arena di Verona”. A dire il vero questa costruzione è meno monumentale rispetto alle altre, pur molto simile all’originale con i tanti archi e finestre, è all’incirca la metà dell’anfiteatro romano.
Al suo interno, a causa del prolungato abbandono, è ormai cresciuta dell’erba alta. Chissà, forse è proprio qui che Stefano seppellì sua moglie, per il suo ultimo “viaggio”.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
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Nicola Imperiale
Nicola Imperiale
I commenti
- giuseppe - sono di quelle parti e......non lo sapevo. mi farò un giretto!!!
- Luciano - Conosco benissimo il luogo pur essendo di Martina Franca... circa 21 anni fa per un bel Po di mesi sono passato di lì... io lavoravo al rifacimento del palazzo Marchesale di Turi.. stupende riproduzioni.. e la storia della moglie è vera..
- carmela - sempre posti interessanti.....complimenti!!!
- Mimmo - Sorprendentemente interessante.
- saverio colaianni - Come contatto il proprietario? Nn vorrei trovare le porte chiuse. Vorreiandarci domenica 22/11/17 o lunedì 23
- Maria Dina Liotino - Ho conosciuto personalmente il Sig. Schettini, una persona davvero singolare, spendeva l'intera sua pensione per le sue costruzioni, come modello aveva una cartolina, una stampa, una pagina di una rivista. Sono andata a trovarlo più di una volta insieme ad un gruppo di ragazzi nelle nostre uscite da scout. Era davvero un uomo straordinario, un visionario, un artista. Lo abbiamo ascoltato per ore nei racconti della sua vita compreso il trafugamento della salma della sua cara moglie, dalla quale pare non volesse separarsi e così la portò sulla sua bicicletta dal cimitero fino a quel luogo dove insieme alle sue miniature le costruì un posto speciale dove custodire i suoi resti. Sotto una panca credo avesse custodito i suoi resti. Speciale anche il contenuto della lettera indirizzata a sua santità papa Giovanni Paolo II. Tanti ricordi straordinari raccontati da un uomo appassionato e che ad oltre 80 anni, curvo e magro costruiva le sue opere per conservare l'idea di eternità che tutti vorremmo avere.
- Maurizio Pansini - La morte interrotta 13 gennaio 2010 alle ore 12:19 Si diventa loquaci a un certo punto della vita. Quando s’invecchia e gli sguardi attorno si fanno estranei. Quando ci si rinchiude in ostinati silenzi che anticipano quel sonno eterno, verso cui tutti siamo diretti. Si diventa loquaci ma in un modo tutto particolare. Loquacità che ha bisogno del sequestro dei rari ascoltatori disponibili. Tra i molti monologatori che mi è capitato di incontrare, uno dei più curiosi aveva una scelta dei tempi così teatrale e perfetta, che tratteneva quasi fisicamente, alla fine, la sua platea di ascoltatori. Si trattava di un vecchietto, contadino da sempre, che, in un campo di sua proprietà aveva cominciato a costruire, a secco, pietra su pietra, come si usa nel sud, una sorta di Italia in miniatura, ma di proporzioni un po’ più grandi. Mi spiego meglio. Aveva eretto col tempo, e in sostanza da solo, il Colosseo in miniatura, ma alto circa tre metri, San Pietro, ma soprattutto una Torre di Pisa, già a tre piani quando la visitai, che rischiava di crescere ancora. Erano tre piani abitabili, quando sarà stata alta almeno una decina di metri. Perfetta, con le scale interne, le colonne, tutto. Una volta terminato il giro turistico che dedicò a me e alla mia compagna, durante il quale il vecchio si era gongolato di giusto orgoglio per l’opera faticosa ed ambiziosa a cui si era dedicato negli anni e che ancora continuava da solo, si affrettò a farci entrare in una buia stanzetta dove ci stipò, mettendosi quasi a guardia sulla porta. Cominciò a raccontare, accompagnando le parole con gesti secchi e bruschi. All’inizio il racconto è noioso come mi aspettavo. Lettere e poesie inviate al Papa. Un invito ad ammirare le sue creazioni in pietra. Messaggi che pian piano si trasformano in lamentele sempre più pressanti e addirittura minacciose. Ci parlò minuziosamente d’innumerevoli messaggi inviati e delle poche lettere cortesi di risposta dal Vaticano. Analizzate per anni in tutti i possibili sviluppi, parola per parola. Insomma una tipica personalità paranoide che ci aveva incastrato e ci sfruttava come spettatori obbligati e costretti all’ascolto. Poi...venne fuori l’insolito racconto. Quando il Signore mi ha portato via la moglie, volevo morire. Impugnai il fucile, ma i figli mi fermarono. Allora presi l’accetta, ma anche quella mi tolsero. Per tre giorni ho pianto, urlato, mi sono strappato i capelli. Dopo. Me l’hanno portata via un’altra volta. Mi sono aggrappato al carro, alla bara, ma non c’è stato niente da fare. L’hanno interrata come un cane. Il primo giorno i miei figli non mi hanno lasciato solo un attimo, se non quando mi sono finalmente addormentato. Passata una settimana, venivano a salutarmi solo la sera. Dopo un mese ho preso la decisione. Una notte di luna piena, con la bicicletta sono andato al cimitero. Il muro era più alto di come lo ricordavo. Dovetti prendere una scala a casa e tornare lì. Scavalcato il muro, all’inizio non riuscivo a orizzontarmi. Poi la trovai. Scavai piano con la pala che mi ero portato. Tirare su la bara per poterla aprire fu lo sforzo più terribile che abbia mai fatto. Pensavo di doverci rinunciare, ma, ululando come un lupo, trovai le energie per farlo. Schiodata, con cautela la cassa, sollevai il coperchio. Alla luce fredda ma intensa della luna mi apparve. Era girata su di un lato per metà immersa in un liquido che non seppi distinguere. Era bellissima. La mia dolce moglie era sempre mia, nessuno doveva osare togliermela. Aveva ancora gli orecchini, l’occhio immerso nel liquido era chiuso, l’altro aperto, sembrava approvare la mia decisione. La difficoltà, dopo, non fu di richiudere la cassa, ma di trovare le pietre che raggiungessero il suo peso. Era piccolina, anche se con un bel seno ancora sodo, nonostante tutto quel tempo lì sotto. Trovare pietre per cinquanta chili in un cimitero, e far si che non si notasse nulla, mi portò via molto tempo. Mi sembrò di aver, con questo sforzo, già quasi finito. Ripristinai alla perfezione la terra e la lapide. Mi accorsi, una volta sul muretto con mia moglie in braccio, che non ce la facevo più. Allora, lasciandola lì stesa, scesi a cercare una tavola, un asse, insomma qualcosa che mi servisse a farla scivolare lungo la scala, senza scossoni. Aveva già sofferto troppo per darle quest’ultimo fastidio. Una volta sulla bicicletta, con mia moglie sulla canna, come capitava qualche volta, e la scala e gli attrezzi sotto braccio, ripercorsi per la quarta volta la strada dal cimitero a casa mia. Nessuno mi vide. La sistemai sul mio letto, cambiandole i vestiti tutti bagnati. Le misi la biancheria bella, quella di appena sposati. Le baciai la bocca. Fu la notte più bella della mia vita. Avevo interrotto la morte. Nei giorni successivi il mattino la sistemavo sotto il letto, chiedendole scusa, ma come se stessimo giocando a nascondino. La notte le parlavo. Ho parlato come mai prima. Le ho detto tutto di me, di quanto la amavo, dei figli. Poi puzzò. Prima poco, riuscivo, con un profumo da donna, che rubai a mia nuora, a rendere quasi piacevole l’aria di casa. Un triste giorno però, tornando dai campi, notai due cani che annusavano sospettosi le finestre. Allora decisi. La portai di notte, con il vestito da sposa indosso, in questo podere. Una volta scavata la fossa cominciai a costruirle i monumenti che le renderanno in eterno il senso del mio amore. Il momento peggiore fu quando, dopo molti anni, nell’aprire la bara si accorsero che mancava mia moglie. E allora mi hanno messo sotto torchio per una settimana. Ed io: -Non so nulla! – Il giudice aveva capito tutto, e quando minacciò di scavare nel mio campo, a costo di buttar giù tutto, anche la Torre di Pisa... a quel punto gli ho detto - Lì sotto! Ve la prendo io!- Insomma ora non vado nemmeno a trovarla nel cimitero. La sua casa è qui. Lo dirò anche al Papa quando verrà, perché deve venire. E lui lo chiederà. -Fatela stare con il marito, perché lui la ama.->> Era finito lo spettacolo. Ci alzammo e senza dire nulla, passando vicino alla sua testa china e camminando di lato per uscire dalla porticina, ci allontanammo, io e la mia donna, mano nella mano. Una volta fuori, restammo abbagliati. Il buio e quel racconto avevano inghiottito la luce per cacciarci in una tenebra ostinata. Il profilo scuro della Torre, del Colosseo e degli altri monumenti, ci apparve allora come una lugubre cornice alla morte interrotta. Abbracciati stretti stretti, corremmo via da lì. Maurizio Pansini © 1998
- Lara - Ciao Nicola, grazie per l'articolo che hai condiviso! Mi piacerebbe visitare il parco delle miniature, nel rispetto della volontà e della disponibilità dei proprietari della villa. Per questo motivo, credi sia possibile fornire il contatto di Achille o di un membro della famiglia, per concordare un appuntamento? Ti ringrazio ancora :)
- Mariangela - Grazie per l informazione. Ma l ingresso al parco è libero? Oppure dovremmo metterci d accordo con il proprietario per accedere? Nel caso della seconda opzione sarebbe possibile avere un recapito per accordarci per entrare a visitare il giardino? Grazie
- BARINEDITA - Allora Mariangela. La Torre di Pisa e l'Arena di Verona sono visitabili liberamente: basta seguire le indicazioni dell'articolo. Per il Colosseo invece bisognerebbe chiedere il permesso ai proprietari della villa, visto che è inserito all'interno del loro giardino.
- angelica - domenica vorremmo andare a visitare questo parco, chi posso contattare? non ho trovato nessun riferimento in merito. Grazie
- Vincenzo d'Acquaviva - BRAVO!