Dialetto, alla scoperta del "barivecchiano": «Parlato solo dalle donne». Il video
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giovedì 16 maggio 2019
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di Marco Montrone e Salvatore Schirone
Ci sono perlomeno due tipologie di pronunce. La prima, diffusa nella stragrande maggioranza di Bari, è asciutta, pulita e comprensibile ai più. La seconda invece presenta parole più “trascinate”, suoni più gutturali e sicuramente meno decifrabili. È caratterizzata dalle cosiddette “vocali turbate”: le vocali toniche in sillaba aperta sono infatti espresse con un prolungamento, arrivando spesso a costituire veri e propri dittonghi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Questo tipo di barese lo si ascolta prevalentemente nel centro storico o in quartieri di stretta derivazione “barivecchiana”, come il San Paolo.
«E rappresenta il “vero” vernacolo, quello più fedele alla tradizione - sottolinea l’esperto di storia locale Gigi De Santis -. Tutti i dialetti delle grandi città infatti, a partire dal Dopoguerra, sono stati costretti a un certo punto a “confrontarsi” con l’italiano, lingua imposta innanzitutto dalla scuola. I centri urbani poi si sono ingranditi, accogliendo anche persone che provenivano da fuori. Il risultato è stato così una sorta di “italianizzazione” dell’idioma, divenuto più comprensibile ed edulcorato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli ultimi decenni quindi i baresi si sono allontanati da un certo modo di esprimersi, più fedele alla propria storia. Con una grande eccezione però: le donne di Bari Vecchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le signore del centro storico, casalinghe, poco emancipate, con un grado di scolarizzazione molto basso, “chiuse” tra le mura della città antica, hanno infatti continuato a parlare come volevano, incuranti delle novità che arrivavano da “fuori”. E questo a differenza degli uomini, che da un certo momento in poi hanno dovuto fare i conti con l’italiano, soprattutto per ragioni lavorative.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un fenomeno che si è poi accentuato quando migliaia di “barivecchiane” si sono traferite negli anni 60 nel neonato ed estremamente periferico quartiere San Paolo. Un rione situato lontano da tutto e da tutti, lì dove hanno potuto continuare a comunicare in barese “stretto” senza interferenze esterne.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«E ancora oggi del resto, coloro che parlano così sono quasi esclusivamente donne - conferma il poeta vernacolare Emanuele Zambetta -. Chiaro che quelle di nuova generazione, giovani e più aperte, se ne sono in parte distaccate, ma le anziane no: sono rimaste fedeli ai vocaboli primitivi. Tanto che ora sono presenti numerosi “sottogruppi” del dialetto più arcaico, con variazioni di suoni e dittonghi a seconda se ad aprire bocca siano le nonne o le ragazze».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Pare evidente comunque come ad esprimersi ancora in “barivecchiano” siano rimaste in poche: è quindi facile presagire che in futuro non molto lontano questa “lingua” scomparirà definitivamente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel frattempo noi abbiamo affidato ad Emanuele Zambetta il compito di mostrarci la differenza tra i due diversi tipi di “barese”. Godetevi il video (di Gianni de Bartolo):
Foto di: Nicola Imperiale
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Emanuele Zambetta - Per quella che è la mia esperienza di ragazzo classe ’81, vorrei sottolineare il fatto di non aver mai sentito parlare il “barivecchiano” (che preferisco chiamare “barese minoritario”) da un maschio eterosessuale. Sì, nel “minoritario” esistono vari sottogruppi, varie sfumature di pronuncia (anche in uno stesso parlante; può influire il contesto, lo stato d’animo ed ovviamente l’età). Ma varie sfumature esistono anche nel “barese maggioritario” (il dialetto che parlo io, il più diffuso a Bari). Sostanzialmente però si può affermare che esistano due grandi famiglie, entrambe comunque con identica sintassi. Nel “minoritario” sono evidentissimi gli schwa aventi accento tonico. L’amico linguista Giovanni Manzari, ricorrendo alla trascrizione fonetica, ha saputo catalogare le molteplici pronunce presenti in città.
- Emanuele Zambetta - Aggiungo: sulla pronuncia influisce molto anche la posizione che la parola occupa nella frase. Ed inoltre molto dipende dal carattere della persona (se signorile o cafona).
- Pascale Vito - Come si può dire che questo è la parlata del barese, questo è il dialetto, che questo è giusto e quello è sbagliato, che magari il dialetto di Alfredo Giovine è migliore o peggiore di quello di Vito Maurogiovanni... Io dico sempre quando scrivo e quando parlo, questo è il mio dialetto.... esiste una grammatica riconosciuta da tutti??? Esiste un vocabolario serio e ben preciso?? Io so solo che esiste una grossa ANARCHIA DIALETTALE dove ognuno di noi custodisce il proprio dialetto con presunzione e arroganza volendo imporre il suo dialetto... E' solo vergognoso da parte di tutti coloro che si definiscono dialettologi, che poi sono solo conoscitori, che non riescono a fare una grammatica semplice fluida e che si capisca... Il dialetto non è solo del barese, ma è e deve essere di tutti e senza fare un dialetto dei balbuzienti con doppie triple vocali e consonanti.... speriamo che uin giorno si raggiunga ad una seria conclusione.
- Felice Alloggio - Non è solo questione di diversa inflessione dialettale ma, come tutte le lingue, anche evoluzione linguistica dialettale. I termini in dialetto cambiano o ce ne sono delle nuove con il tempo. Es: le fasuline (ieri) le fagioline (oggi); u feldùre(ieri) u tappe(oggi); le donzèlle(ieri) le tonzìlle(oggi); u stendìne(ieri) l'indestìne(oggi), e tanti altri termini.