Foto, dipinti, libri e cimeli: alla scoperta del Museo Civico, lì dove si racconta la storia di Bari
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lunedì 28 novembre 2022
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di Adele Rosa Lo Izzo - foto Francesco De Leo
Dal 1977 la collezione (che sino al 2015 si chiamava Museo Storico) è posta all’interno di un complesso fortificato di epoca medievale in strada Sagges, all’ingresso di Bari Vecchia. La sua prima sede fu però il piano terra del Teatro Margherita, lì dove il 26 gennaio 1919, per celebrare la vittoria conseguita dagli italiani sugli austriaci nel primo conflitto mondiale, si sfoggiarono trofei di guerra, cimeli e ricordi dei caduti locali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Col tempo l’esposizione si arricchì di ulteriori pezzi, alcuni tuttora conservati e altri andati dispersi dopo il 1943, quando il politeama venne requisito dagli angloamericani e convertito in circolo ricreativo militare. Tra la fine degli anni 50 e gli inizi dei 60 il materiale fu dislocato in alcuni locali di largo Urbano II, dove attualmente si trova il Museo Nicolaiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fino come detto al 1977, quando il Museo trovò la sua sede definitiva. Per visitarlo entriamo a Bari Vecchia da largo Chiurlia, passiamo sotto gli archi che si stagliano sulla piazza e dopo aver affiancato la Chiesa di San Giuseppe giriamo a destra in strada Sagges.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui si erge l’edificio che ospita la collezione, risalente al periodo tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Il nucleo centrale del complesso fortificato, tipico delle case palazziate, è costituito da due case-torri nate con la doppia funzione di dimora civile e fabbricato difensivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Accanto al portone di ingresso è posta una grande epigrafe che ricorda che nell’800 qui visse Giandomenico Petroni, avvocato e sindaco di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo e incontriamo Francesco Carofiglio, vicepresidente del Consorzio Idria (Informatizzazione, Documentazione e Ricerca per l'Arte e l'Archeologia), al quale dal giugno 2015 è stata affidata la gestione del Museo. È con lui che visitiamo la galleria partendo dagli spazi al piano terra, adibiti solitamente a sala conferenze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Notiamo innanzitutto una serie di negativi su lastre di vetro e fotografie apposte sulle pareti laterali della sala, in maggioranza scattate da Liborio Antonelli Matteucci, che ritraggono l’espansione del centro storico fino all’ingresso del quartiere Murat. Tra queste spiccano l’immagine della vecchia ubicazione del museo nel Margherita, con i vecchi lampioni dell’epoca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Saliamo ora una scalinata di legno e raggiungiamo il primo piano, dove ci sono i “pezzi forti” della collezione. Tra questi le matrici in legno e zinco utilizzate per la stampa litografica delle “mitiche” Carte Murari, di cui nel museo sono conservati anche i bozzetti originali e alcune riproduzioni. La poligrafica di Guglielmo Murari è l’industria in cui dal 1905 al 1930 furono create, prodotte ed esportate in tutta Italia le carte da gioco. Perché in pochi lo sanno, ma le “carte napoletane” nacquero proprio a Bari.at
Altra chicca dell’esposizione permanente è il primo libro stampato a Bari: le “Operette” del letterato napoletano Partenopeo Suavio, pubblicate dal tipografo itinerante Gilbert Néhou nel 1535. Il volume è prezioso anche in quanto testimonianza del tentativo barese di partecipare al mercato tipografico: un’impresa che si rivelò sfortunata, visto che i torchi locali dopo questa opera prima tornarono al lavoro solo nel Seicento.
Entriamo in un’altra sala e ammiriamo un dipinto del 1835 raffigurante piazza del Ferrarese con il mercato coperto (opera del pittore locale Michele Pepe), oltre a una planimetria tridimensionale che rappresenta la Bari bizantina.
C’è poi tutta l’area dedicata alle opere donate dalla nobile famiglia Tanzi nel 1935. Si tratta di armi, documenti antichi e dipinti ottocenteschi che ritraggono alcuni componenti della illustre famiglia lombarda giunta a Bari con Isabella d’Aragona e stabilitasi in uno dei più preziosi palazzi del centro storico, ancora oggi abitato dalle loro eredi.
Ulteriore cimelio è la preziosa culla del marchese di Montrone, Giordano de’ Bianchi Dottula, intagliata nel XVIII secolo su legno di noce in argento meccato con il motivo di un’aquila a due teste. Qui sono anche conservate molte sciabole e armi da fuoco del periodo borbonico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Salendo al secondo piano facciamo il nostro ingresso nella biblioteca che conserva 300 volumi. «Raccontano la storia pugliese e italiana a cavallo tra Otto e Novecento, in particolare della Prima guerra mondiale, con donazioni da parte della famiglia di orgine tranese De Grecis, finanziatrice della nascita del museo», spiega Carofiglio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo in un’altra sala nella quale vengono raccontate le vicende della società di navigazione a vapore “Puglia”, con l’elenco delle motonavi affondate. La nostra guida ci indica anche la copia della “Domenica del Corriere” dell’agosto del 1918 nella quale è illustrata la cattura dell’idrovolante austroungarico Lohner 127 al largo delle coste baresi. «Probabilmente avvenne per mano di due ufficiali istriani disertori – ci dice –. Il mezzo fu collocato nel Margherita ma, dopo l’armistizio del 1943, gli vennero asportati il motore e le parti in ferro. Ora si trova a Bracciano, nel Lazio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il primo conflitto mondiale è protagonista in questo piano con diversi tipi di elmetti e con la sezione dedicata alla sanità di guerra in cui vengono ricordati Lorenzo Bonomo, che riorganizzò il sistema sanitario e incentivò l’utilizzo delle radiografie per l’individuazione dei proiettili nel corpo, e Francesco Campione di cui è conservato il saggio dal titolo “La guerra e la maternità violenta”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Concludiamo il nostro tour con un oggetto molto singolare: l’altare di guerra del cappellano militare Antonio Bellomo, esposto con la lettera di donazione da parte della sua famiglia. «Si tratta di un altare “mobile” - evidenzia Carofiglio prima di salutarci -. La mensa e gli arredi liturgici erano infatti trasportati all’interno di una valigetta, pronti per essere allestiti ed utilizzati sul campo durante le celebrazioni eucaristiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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