1656: quando la peste arrivò a Bari, uccidendo tre quarti della popolazione
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giovedì 20 aprile 2023
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di Gianluigi Columbo
Una malattia che aveva già fatto capolino in Italia nel corso dei secoli, non lasciando però mai il segno in Puglia. Purtroppo alla metà del 600 la peste arrivò anche nel tacco d’Italia, uccidendo nella sola Bari 12.462 persone a fronte di una popolazione pari a 16mila anime.
Tutto ebbe inizio nel 1652 in Spagna, Paese dal quale la malattia si spostò prima in Sardegna e in seguito a Napoli. In Campania si trovavano numerosi baresi per motivi commerciali, i quali ignari di ciò che stavano facendo, portarono nella propria città la “morte nera”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Agli inizi del luglio 1656 cominciarono i primi contagi, che si estesero poi anche in altri paesi vicini a Bari come Modugno, Casamassima o Corato. La diagnosi originaria fu effettuata dal medico Giuseppe Verzillo dopo aver visitato tre bambini. Purtroppo il dottore non fu creduto: fuggì prima a un linciaggio, per venire addirittura imprigionato nel Castello per “procurato allarme”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma bastarono pochi giorni ai baresi per comprendere che l’esperto aveva ragione: la peste era arrivata e stava infettando la popolazione. Prima a decine e poi a centinaia al giorno, i cittadini iniziarono a manifestare i sintomi della pestilenza: eccessive vampate di calore o di freddo accompagnate da grossi bubboni che spuntavano sull’inguine o sotto le ascelle. Il corpo era anche cosparso di vescichette color rosso sangue o di petecchie scure.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Naturalmente i baresi si rivolsero a Dio e ai santi per chiedere di essere salvati dalla disgrazia. «L’arcivescovo – racconta lo storico Vito Melchiorre nel suo libro “Note Storiche su Bari” – organizzò una processione per le vie della città. Il chierico decise di guidarla vestito di un rozzo saio e con una croce sulle spalle, preceduto da un nutrito gruppo che presentava funi legate al collo e alla vita, piedi scalzi, capo cosparso di cenere e fronte cinta di spine. Altri invece si trascinavano con grosse catene e portavano grandi croci, oppure si flagellavano a sangue le spalle con le corde. In migliaia, ricchi e poveri, si unirono a questo triste corteo, sul quale campeggiava l’immagine della Madonna di Costantinopoli, molto venerata dai baresi e alla quale fu chiesto il miracolo di liberarli dalla malattia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La medicina del resto poteva fare ben poco. Fra le cure tentate ci fu quella a base di teriaca, un antico farmaco composto da diverse erbe, che in realtà alleviava solo il dolore ma non debellava certo il morbo. In quel biennio non era infrequente vedere aggirarsi per strada dottori mentre correvano qua e là in soccorso di più persone, col viso coperto da una maschera e abiti e guanti cosparsi di pece.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Per arginare il dilagare delle infezioni – racconta Melchiorre - fu vietato nelle chiese l’uso delle pile con l’acqua benedetta e gli usci delle case degli appestati vennero segnati con una croce bianca sull’uscio. L’amministrazione comunale ordinò poi di serrare tre porte su quattro delle antiche mura che cingevano la città, consentendo l’entrata e l’uscita nell’abitato solo attraverso la Porta nuova, che si trovava nell’attuale piazza del Ferrarese. Infine si decise di murare i magazzini e di liberare i prigionieri dalle carceri».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Man mano che i morti e i contagiati aumentavano, per le strade si vedevano sempre più becchini, che raccoglievano i cadaveri e si riconoscevano per aver disegnata una croce rossa sul petto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questo drammatico scenario si manifestarono anche forme di sciacallaggio, con qualche approfittatore che, sfruttando tutti i disordini, saccheggiò le case e depredò dei loro averi gli appestati. Il governatore di Bari decise di arginare il fenomeno prevedendo la fucilazione come pena per questi atti deplorevoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E i mesi passavano ma il morbo non voleva saperne di andarsene. Furono nel frattempo predisposti dei lazzaretti all’interno dei monasteri situati fuori città, precedentemente svuotati dai religiosi che vi vivevano. Strutture che furono istituite anche nel centro abitato, ad esempio nella chiesa di San Vito (all’epoca nei pressi del Castello), in quella di Santa Barbara (un tempo in largo Chiurlia). Mentre l'osteria di Marco Bressani e l’osteria della Gatta erano i locali in cui venivano serviti i forestieri che provenivano da luoghi infetti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fin quando finalmente, agli inizi del 1657, arrivò la luce. Gradualmente i casi diminuirono, sino a cessare del tutto il primo martedì di marzo, proprio nel giorno dedicato alla Madonna di Costantinopoli (o dell’Odegitria) che da quel momento fu proclamata patrona della città.
Il 17 aprile 1657 furono celebrate due messe per ringraziare il Signore con il Te Deum, nella Basilica di San Nicola e nella Cattedrale di San Sabino. E a fine giornata l’arcivescovo, seguito dal clero e dal popolo, si recò a benedire i 12mila morti seppelliti nelle quattro fosse comuni nelle vicinanze della città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E a Bari non restò che rialzarsi e andare avanti, con 4mila, fortunati, superstiti.
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I commenti
- Carmine Panella - Sintetico e puntuale. Peccato manchino immagini d'epoca dei luoghi descritti ed i nomi delle personalità citate.