Tra extramurale e Quartierino, le affascinanti e decadenti antiche industrie di Bari
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venerdì 3 giugno 2016
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di Katia Moro
Già su via Capruzzi, ad angolo con con via Albanese, è possibile ammirare in tutta la sua maestosità il primo relitto industriale della città. Quest’edificio a due piani in pietra ormai annerita dal tempo, domina dall’alto il cavalcavia di via Quintino Sella e si erge per un intero isolato. E’ uno stabilimento delle Ferrovie dello Stato in disuso. Sulla facciata finestre e porte sono state tutte murate e rese cieche quasi a simboleggiare il silenzio a cui è stato oramai sottoposto. L’interno, invaso da alberi ed erba, è diventato un’aria scoperta che si affaccia sui binari ferroviari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo verso nord su via Capruzzi, che abbandoniamo a un certo punto per inerpicarci a sinistra sulla stretta salita di via Pietrocola. Dopo basse palazzine e prima che l’incrocio sfoci nel primo tratto di via delle Murge, rintracciamo un'elegante ma fatiscente struttura a due piani, con porte arrugginite e stipiti tristemente pencolanti. La facciata in pietra chiara con eleganti rifiniture e ampio portale marmoreo, mostra un’oramai quasi illeggibile insegna in ferro erosa dalla ruggine che tenta di occultare la dicitura “Lampo benzina Superiore, Comune di Bari”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’edificio è fronteggiato dall’ampio e inconsueto isolato che occupa l’incrocio tra via Cimmarrusti e via Pietrocola, costituito da ex opifici disposti a corte e stretti tra il Teatro Purgatorio da un lato e il Conservatorio Piccinni dall’altro. Circondato da basse mura in pietra interrotte saltuariamente da colonne, l’agglomerato lascia intravedere un interno oramai sventrato e affollato selvaggiamente da alti arbusti oltre che da cumuli di immondizia. Gli ingressi sono per lo più murati e le finestre prive di infissi si aprono sul vuoto incorniciando sprazzi di cielo e fogliame. Si trattava di stabilimenti adibiti ad attività artigianali distribuite attorno a un cortile interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Su via Cimmarusti, di fronte all’Auditorium Nino Rota anch’esso tristemente noto per il suo destino di implacabile chiusura che sino ad ora l’ha caratterizzato, si trovano alberi secolari che rendono ombrosa la silenziosa strada allietata dalle note provenienti dal Conservatorio. Qui ci imbattiamo in un alto muro rimasto isolato, privo del suo contesto originario, con tanto di monumentale portale ad arco chiuso da mattoni, sormontato da uno stemma ad alto rilievo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riaffacciandoci sull’incrocio possiamo proseguire lungo via Pietrocola e attraversare il ponte che sormonta le Ferrovie Appulo Lucane, sopra il quale scorgiamo un’altra imponente struttura in pietra che fa capolino sulla strada. Si tratta di un’ex cartiera costituita da un edificio centrale a due piani ed altri più bassi che occupano un lungo tratto delimitato da mura. La pietra, di cui rimangono tracce di un rosa pastello, le finestre finemente incorniciate e aperte sul vuoto e i portali murati, sono ora ricoperti da graffiti e da una selvaggia vegetazione rampicante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso dei gradini ci si immette dal ponte alla parte sottostante in cui troviamo una struttura in pietra più piccola, con un portale sui cui sono incise le iniziali F. G. e la datazione 1911. Chi l’ha attualmente adibita a deposito e falegnameria, ci racconta che rispondono al nome di Giuseppe Favia proprietario dell’ex cartiera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ritorniamo ora sull’extramurale, nel punto in cui lascia il nome di via Capruzzi per diventare via Cifarelli, all’altezza del Conservatorio. Sulla sinistra si erge un ampio edificio che occupa un intero isolato: è a un piano, dal colore giallognolo, con le finestre murate e graffiti che lo ricoprono. Solo spiando attraverso un arrugginito cancello laterale è possibile scorgere la sbiadita scritta a caratteri cubitali dipinta su una delle facciate: “Società italiana petrolifera Nafta. Deposito”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E qui termina il nostro percorso tra l’affascinante e decadente archeologia industriale della città di Bari. (Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Katia Moro
Katia Moro
I commenti
- Anna Maria Lupo - Rivelazioni eccellenti.