Pantheon, grattacieli e gallerie commerciali: ecco la Bari che non è mai stata realizzata
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lunedì 29 luglio 2019
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di Antonio Giannoccaro
Nel secolo scorso infatti tecnici e amministratori furono ossessionati dalla voglia di rendere Bari una città più moderna, “ariosa” e monumentale, adeguata insomma alla crescente importanza che andava acquisendo nell’Adriatico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un desiderio che spinse i più importanti nomi dell’architettura locale e nazionale a proporre grandiosi programmi, che però rimasero perlopiù irrealizzati. Mancanza di fondi, problemi nelle autorizzazioni e difficoltà nell’espropriare e acquistare suoli estremamente frammentati, non permisero l’attuazione di questi rivoluzionari progetti.
Oggi quei disegni sono rintracciabili negli archivi di architetti e istituzioni e in alcuni casi persino su internet. È così possibile ammirare ad esempio lo schizzo pubblicato in occasione della Mostra agricola del 1913: nello spazio adiacente al Teatro Petruzzelli, dove oggi sorge la Banca d’Italia, viene rappresentato un fabbricato con uno scenografico ingresso porticato di forma semicircolare che dava accesso a un susseguirsi di padiglioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Probabilmente risalente agli anni 20 è invece l’ampliamento del vecchio Hotel Astoria in via Bozzi, nel quartiere Umbertino: prevedeva un’elegante struttura in stile eclettico a più livelli conclusa in due angoli da raffinate cupole, che avrebbe preso il nome di "grand hotel ristorante Miramare".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fra i più attivi nel voler adottare nuove soluzioni urbanistiche fu indubbiamente Saverio Dioguardi, assoluto protagonista dell’architettura novecentesca barese. Ne è testimonianza il Palazzo degli impiegati statali del 1922, elaborato assieme all’ingegnere comunale Luigi De Paolis. Il piano interessava gli isolati delimitati da via Cognetti, via Bozzi, via Imbriani e corso Cavour e prevedeva due edifici con torri angolari cupolate uniti da una grande galleria in ferro e vetro introdotta da un arcone a tutto sesto. Fu però portato a termine solo uno dei due blocchi, ancora oggi visibile di fronte al palazzo dell’Acquedotto.
Sempre di Dioguardi, nel 1926, è la proposta per la sistemazione di Piazza Roma (oggi piazza Aldo Moro). Ideata due anni dopo la realizzazione del palazzo della Gazzetta tragicamente demolito nel 1982, prevedeva la costruzione di due imponenti e simmetrici porticati disposti “a imbuto” a contrassegnare l’imbocco di via Sparano, asse centrale della città nuova.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proprio per enfatizzare l’importanza di questa via, l’architetto pensò anche di inglobare l’ottocentesca chiesa di San Ferdinando in una sorta di “pantheon ai caduti” dai forti richiami classici, conclusa da una grande cupola poggiata su un tamburo colonnato. Il tempio sarà poi effettivamente modificato dallo stesso Dioguardi negli anni 30, ma con esiti estetici ben differenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sempre al 1926 risale una proposta a dir poco “estrema” fatta dall’architetto Aldo Forcignanò e dall’ingegnere Gaetano Palmiotto, la quale prevedeva la completa demolizione della città vecchia fatta eccezione per Basilica, Cattedrale e Castello. Il resto sarebbe stato sostituito da edifici residenziali disposti a scacchiera come nel murattiano e da un’immensa galleria in ferro e vetro affacciata su corso Vittorio Emanuele. Un’idea tanto discutibile quanto irrealizzabile visti gli enormi costi e la complessità di tale operazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nello stesso anno Dioguardi presentò un progetto relativo al cruciale punto in cui si incontrano le due arterie cittadine corso Cavour e corso Vittorio Emanuele. L’architetto suggerì di demolire il Teatro Margherita sostituendolo con un belvedere arricchito da un monumento ai caduti, per poi creare una parziale colmata del vecchio porto così da ricavarne una nuova piazza, aree verdi ed edifici rappresentativi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Arriviamo così negli anni 30, quando il regime fascista avvia un programma di lavori pubblici che vedrà la costruzione di molti stabili, lasciando però al contempo su carta svariate idee. Una di queste è la “casa del fascio” in piazza Chiurlia pensata da Concezio Petrucci. Il fabbricato, che avrebbe sostituito l’attuale sede dell’Oratorio dell’Arciconfraternita di San Giuseppe, sarebbe stato la conclusione prospettica di via Sparano e aveva l’ambizione di risolvere lo storico dilemma di regalare un ingresso monumentale alla città vecchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel secondo Dopoguerra il sogno di una “grande Bari” ritorna, ma in termini decisamente diversi. Nell’immaginario dei professionisti il capoluogo pugliese doveva diventare un efficiente e moderno centro del terziario, con grattacieli che avrebbero svettato sullo skyline cittadino. Tra le “ispirazioni” più radicali quella di Marino Lopopolo, che 1949 voleva piazzare un palazzo di dimensioni colossali in piazza del Ferrarese, andando a demolire Mercato del pesce, Sala Murat e Margherita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mentre di Marcello Piacentini è il piano del 1951 che prevedeva un ponte di attraversamento della ferrovia sul prolungamento di corso Cavour: un ampio passaggio sospeso sui binari circondato da quattro enormi grattacieli. Un cavalcavia (il XX Settembre) che poi verrà effettivamente costruito nel 1970, ma senza abbattere, come avrebbe voluto l’architetto, palazzi storici come le sedi del liceo Scacchi e dell’Istituto Pitagora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Antonio Giannoccaro
Antonio Giannoccaro