Gescal e Maresciallo, i campi da calcio di via Caldarola: «Giocavamo tra le siringhe»
Letto: 23615 volte
venerdì 28 ottobre 2016
Letto: 23615 volte
di Marco Montrone
Ma oggi non vi vogliamo parlare di “quella” via Caldarola, ma della parte di strada che va dal ponte di via Magna Grecia al Canalone, dove si trovavano e si trovano ancora oggi decine di case popolari abitate da persone “normali” che nulla avevano a che fare con lo spaccio, pur essendo quotidianamente a contatto con pusher, eroinomani e sirighe gettate per strada. Insomma pur non facendone parte, in questa zona si viveva “all’ombra della 45”, accettando la presenza ingombrante di tutto ciò che essa rappresentava. (Vedi foto galleria)
Anzi, proprio qui avveniva una specie di “miracolo”: questo era il posto dove bravi ragazzi e borseggiatori, piccoli spacciatori e figli di papà si incontravano e si mischiavano. Per fare cosa? Semplice: per giocare a pallone. In questa parte di via Caldarola si trovavano infatti due mitici campi da calcio di “breciolina”, con tanto di porte, spogliatoi e panchine. Denominati “Gescal” e “Maresciallo”, assieme ad acuni cortili nascosti tra le palazzine erano il luogo dove tutti i ragazzini di Japigia si riunivano per sfidarsi in accaniti tornei di calcio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«E il tutto avveniva in modo tranquillo, nonostante vivessimo a due passi dal mercato della droga - sottolinea l’oggi 42enne Emanuele, nato e cresciuto in via Caldarola -. I “topini” scippavano lontano dalla nostra zona e non c’erano né sparatorie né omicidi. A dirla tutta era anche difficile vedere una pattuglia delle forze dell’ordine dalle queste parti. Pensava a tutto Savinuccio Parisi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Già Parisi, il boss ancora oggi considerato al vertice della malavita barese. «Ricordo benissimo quando a un torneo che facemmo sulla “pista” venne a giocare quello che tutti dicevano essere il fratello di Savinuccio – ricorda il 42enne Paolo -. Eravamo alla fine degli anni 80. Non ricordo il suo nome, ma aveva suppergiù la nostra età, 13-14 anni ed era famoso perché “impennava” con il tre ruote».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La “pista” era appunto una pista di pattinaggio che si trovava sull’odierna via Padre Pio, una strada parallela a via Caldarola che si affaccia sulla campagna. Lo spiazzo esiste ancora, anche se nessuno ha mai visto una bambina sulle rotelle scivolare sulle sue mattonelle. La pista appena creata fu di fatto “requisita” per farci un campo da calcetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proprio su quella stessa via si trovava il celeberrimo “Campo Gescal”, che prendeva il nome della case popolari che sorgevano nella vicinanze (Gescal è proprio l’acronimo di “Gestione case per i lavoratori” ed erano appartamenti assegnati a determinate categorie di lavoratori come postini, ferrovieri, poliziotti). Qui i più forti giocatori del rione si incontravano per dar vita a sfide 11 contro 11. Addirittura la domenica mattina vi si svolgevano tornei tra rappresentative dei quartieri di Bari, con tanto di arbitro e reti montate per l’occasione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Accanto al campo poi si trovava un “pilone”, una struttura da cui usciva acqua sorgiva atta a irrorare i campi - rammenta il 40enne Gigi -. Noi la utilizzavamo per dissetarci. D’altronde c’era sempre bisogno di bere, visto che le partite duravano minimo tre ore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi il campo Gescal non esiste più: le porte sono state smontate e al posto della breciolina si trova tanta erbaccia. E’ un’area inutilizzata (nella foto). Sì perché i ragazzini di oggi giocano sui campi sintetici a pagamento oppure vanno ad allenarsi nella scuole calcio. Negli anni 80 invece il pallone si giocava in strada e solo i “campioni” riuscivano a entrare in qualche squadra tipo la Pro Inter, ma si trattava di pochi fortunati. Per gli altri c’erano a disposizione questi spiazzi liberi dove poter dar sfogo alla propria passione per il calcio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il secondo campo del quartiere si trovava su via Caldarola, accanto all’allora abbandonato “Teatro Tenda”. Era denominato il “campo del Maresciallo”. «Il maresciallo era un finanziere in pensione che abitava nelle vicinanze e che aveva le chiavi degli spogliatoi – precisa Maurizio -. Era a lui che si doveva chiedere il permesso per giocare: c’erano dei turni prestabiliti». Pure qui si svolgevano tornei “ufficiali”, «che immancabilmente venivano vinte dalla squadra della 45», scherza Gigi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche questo campo è ormai un ricordo: da anni ci hanno costruito sopra alcune palazzine. E lo stesso Teatro Tenda è diventato un piccolo parco comunale dal nome “Arena Giardino”. «Il Tenda era un teatro scoperto che però nessuno di noi ha mai visto funzionante – dice Paolo -. Di fatto era utilizzato dai tossicodipendenti per andarsi a bucare. All’interno giocavamo di tanto in tanto qualche partita, quando gli altri campi erano occupati. Praticamente giocavamo tra le siringhe».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La droga all’epoca era d’appertutto e stava cominciando a fare le prime vittime di overdose e Aids. «Noi rimpiangiamo la spontaneità e la semplicità di quegli anni – conferma Emanuele -, ma c’è da dire che molti di coloro con cui giocavano a pallone sono stati uccisi dall’eroina o fagocitati dalla malavita. C’erano ragazzini che avevano il destino segnato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come Vito Misceo. Lui era il più grande organizzatore di partite del quartiere, un ragazzino che probabilmente meglio di tutti rappresentava l’anima della via Caldarola “normale”. Era un bulletto, ma non spacciava, non rubava e non si bucava. Un bravo ragazzo che per sopravvivere in quel posto aveva però imparato ad atteggiarsi a “boss”. Il suo regno era un’altra “pista”: uno spiazzo con le mattonelle che si trova ancora oggi tra i palazzi di via Vittorio Maggiore, una strada chiusa ubicata tra via Caldarola e il campo Gescal.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ogni gruppo di palazzine aveva una squadra – spiega il 40enne Marco -. E spesso venivano identificate con il nome del capitano, tipo la “squadra di Fabio Bruno”, quella di “Massimo-p”, o quella di “Vito Misceo”. Io giocavo in quella di Vito. Lui era un’istituzione: capitano, giocatore, presidente, allenatore, direttore sportivo, nonché dittatore, visto che decideva come, quando e perché dovevi giocare. Affibiava un soprannome a tutti e conosceva tutti: dal bambino più piccolo al più famoso dei topini. Purtroppo è scomparso nel 2009 mentre ritornava in auto dal lavoro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi Via Caldarola è rimasta praticamente la stessa. Una zona di Bari con pochi servizi e formata più o meno dalle stesse palazzine di 30 anni fa. C’è sempre la chiesa della Resurrezione, vero simbolo della zona e i pochi negozi esistenti soprattutto sulla vicina via Salapia (il minimarket “Assisi”, la pasticceria “Bice”, l’ambiguo “Bar Dino”) hanno cambiato nome, proprietari e magari tipo di prodotti venduti, ma hanno le loro vetrine sempre presenti nello stesso punto. La “piazza” all’aperto di via dei Caduti Partigiani poi si è spostata un po’ più avanti ed è diventata un mercato coperto. E il quartiere è ancora pieno di campi incolti, su cui a volte vanno a pascolare pecore e capre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Insomma a prima vista non è cambiato nulla, tranne una cosa: quei ragazzini che armati di pallone squarciavano il silenzio della via con le loro grida. Non ci sono più, sono cresciuti e se non sono finiti male hanno messo su famiglia. E ora di tanto in tanto cercano di spiegare ai propri figli armati di playstation cosa voleva dire giocare a pallone in mezzo alla strada, lì, all’ombra della zona 45.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
* Con la collaborazione di Katia Moro e Stefania Buono
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Michele - Come ho già commentato, grazie per iluffo nel passatw
- Erminia - Signor Marco la ringrazio di aver dedicato questo articolo al mio papà (Vito Misceo)
- Nico - Grazie per l'articolo, veramente un tuffo nel passato. In quei campetti c'ero anch'io, con mio fratello e i miei cugini. Vito Misceo era mio cugino. Un ragazzo dal cuore grande. Quelle partite, quei momenti, resteranno ricordi indelebili nel mio cuore.