di Pietro Marvulli

Cripte, grotte e affreschi: nelle campagne di Altamura rivive la grandiosa Masseria Jesce
ALTAMURA - Un affascinante e misterioso podere del 1500 abbandonato e riscoperto grazie all'impegno di un cantastorie. È la "favola" della masseria Jesce, complesso immerso nell'agro di Altamura, dotato di una stupefacente cripta sotterranea e in disuso fino a due anni fa: a riportarlo in auge nel maggio del 2015 è stato il 63enne Donato Laborante, carismatico paroliere locale che da allora organizza visite guidate a offerta libera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il sito, di proprietà comunale, è in buone condizioni anche se necessita dell'installazione di finestre al primo piano per impedire l'ingresso di uccelli e la formazione di nidi al suo interno. Lo sa bene Donato, che oltre ad accogliere i turisti dà vita nei suoi spazi anche a diversi eventi culturali: per lui la struttura è come una "sorella". «La masseria sente che la stiamo curando - ci confida infatti l'artista - e più la accudiamo e più tornerà al suo splendore originario».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il motivo di un simile attaccamento è da ricercare nella ricchissima storia dell'edificio: a raccontarcela è Emma Capurso, giovane archeologa del posto. «La costruzione sorse come azienda agricola su un terreno sfruttato in precedenza sin dal I millennio a.C. - spiega la dottoressa -. Qui infatti in epoca romana era presumibilmente ubicata una stazione per il cambio dei cavalli, praticamente un'antenata degli "autogrill": la posizione era strategica visto che da queste parti passava la via Appia, la strada che collegava Brindisi con Roma». E in effetti i terreni circostanti questo tesoro restituiscono in continuazione resti di tombe antiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il primo atto di acquisto risale invece al 600 - prosegue la giovane - e risulta firmato dai Verricelli di Matera, che poi lasciarono il posto a tutta una serie di famiglie. L’ultima fu quella dei Maiullari, che nel 1987 preferirono disfarsi dell'immobile: i danni riportati durante il terremoto dell'Irpinia infatti li avevano messi di fronte a spese di riparazione insostenibili. Alla fine fu il Comune ad accollarsi l'acquisto, anche se fino all'intervento di Laborante lo stabile è stato lasciato a sè stesso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È la stessa Emma ad accompagnarci alla scoperta di questo gioiello (vedi foto galleria). Dalla circonvallazione di Altamura imbocchiamo la strada provinciale 41, l'arteria che "perdendosi" tra i colori della Murgia e lambendo il confine con la Basilicata si dirige verso Laterza. Dopo quasi 11 chilometri la masseria appare ben evidente sulla sinistra, adagiata su una modesta altura e preceduta da un viale sterrato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La masseria, realizzata in pietra, ha l'insolita forma di una nave ed è chiaramente il risultato di più restyling effettuati nel corso dei secoli. Il primo accesso che varchiamo è un cancello marrone posto a poca distanza dalla facciata laterale: quest'ultima presenta due "alette" che un tempo reggevano le garitte e dalle quali era possibile gettare pentoloni di liquido bollente sulle teste di eventuali "ospiti" indesiderati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'ingresso porta nell'atrio, uno spazio che a fatica resiste all'avanzata della vegetazione spontanea e ci pone dinanzi alla facciata principale. Davanti a noi è visibile il tetto spiovente e l'ingegnoso sistema di gronde oblique sovrapposte che convogliano l'acqua a terra in caso di precipitazioni. Ciò che attira più l'attenzione è però la presenza di tre massicci archi a tutto sesto, il primo dei quali a partire da sinistra costituisce l'entrata principale del complesso ed è sormontato da una statua acefala di San Michele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Passiamo sotto l'arco e stazioniamo per un attimo nel piano terra, un tempo usato come deposito di attrezzi agricoli e sede di diverse stalle. Poi sulla destra imbocchiamo la scala che porta al primo piano, dove la pavimentazione in mattoni in cotto è ancora quella originale. Tra le stanze, tutte vuote e disabitate, la più ampia è quella patronale, contraddistinta da un volta a padiglione affrescata: il disegno ritrae il dio Nettuno con un tridente e il simbolo dei de Mari, quasi un "promemoria" della famiglia e del suo legame con il mare di Genova.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendiamo quindi la rampa che porta al piano terra e di lì ci dirigiamo verso il retro della stuttura. Qui Emma ci fa notare delle piccole costruzioni in pietra, probabilmente usate per contenere i piccioni viaggiatori dediti alla corrispondenza. Due file di damigiane verdi di "abbellimento" precedono poi l'ingresso di una grotta che un tempo ospitava alcune mangiatoie: nella cavità oltre agli spazi per i cavalli troviamo anche un silos interrato, ideato per l'accumulazione del grano che veniva scaricato da un lucernario del soffitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo quindi nell'atrio principale dove oltre ad avvistare un'altra grotta per cavalli ci gustiamo il "pezzo forte" della visita: la piccola cripta sotterranea. Nell'angusto ambiente si accede scendendo alcuni gradoni scavati nella roccia. La rampa termina con un ingresso inserito in una facciata quadrata di tufo, realizzata nel XVI secolo e caratterizzata da una nicchia vuota dove forse in origine era collocata la statua senza testa di San Michele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il luogo sacro potrebbe essere la testimonianza di una probabile permanenza dei benedettini nella masseria. Quel che è certo però è che l'interno è uno spettacolo: quasi tutte le pareti sono adornate da affreschi la cui bellezza è scalfita solo dalla mancanza di un meritato restauro. I dipinti raffigurano essenzialmente scene di vita di Gesù e della Vergine: salta all'occhio quello della Madonna dell'Odegitria, posto sopra l'altare in fondo, in cui Maria con la mano sinistra indica il Cristo benedicente, simbolo di salvezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla parete sinistra è posizionato un altro altare in pietra, installato dalla famiglia de Mari e sovrastato da una statua di San Francesco Da Paola: il santo è scolpito con un paio di zoccoli e un remo in mano. Sulla destra invece c'è quel che resta di una fonte battesimale, dove un tempo i bambini delle campagne circostanti ricevevano il loro primo sacramento e una scaletta che porta direttamente all'interno della masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il fascino della cripta non è solo estetico. A essa infatti sono legate alcune leggende: al tramonto la camera sarebbe luogo di apparizioni, perchè qui al calar del sole i monaci erano soliti secoli fa celebrare i loro riti religiosi. Durante le notti di luna piena poi misteriosi individui incappucciati sfilerebbero nell'atrio, intonando canti arcaici e riunendosi infine nel vano funebre. Per fortuna ci sono loro, almeno loro, ad “abitare” questa grandiosa masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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La facciata principale della Masseria Jesce: ciò che attira più l'attenzione è la presenza di tre massicci archi a tutto sesto, il primo dei quali a partire da sinistra costituisce l'entrata principale del complesso
La facciata laterale presenta due "alette" che un tempo reggevano le garitte e dalle quali era possibile gettare pentoloni di liquido bollente sulle teste di eventuali "ospiti" indesiderati
Tra le stanze del primo piano la più ampia è quella patronale, contraddistinta da un volta a padiglione affrescata: il disegno ritrae il dio Nettuno con un tridente e il simbolo della famiglia de Mari
Ci spostiamo verso il retro della stuttura
Qui la nostra guida ci fa notare delle piccole costruzioni in pietra, probabilmente usate per contenere i piccioni viaggiatori dediti alla corrispondenza
Due file di damigiane verdi di "abbellimento" precedono poi l'ingresso di una grotta che un tempo ospitava alcune mangiatoie
Una delle mangiatoie presenti nella cavità
Qui troviamo anche un silos interrato, ideato per l'accumulazione del grano
Torniamo quindi nell'atrio principale dove oltre ad avvistare un'altra grotta per cavalli...
... ci gustiamo il "pezzo forte" della visita: la piccola cripta sotterranea
Nell'angusto ambiente si accede scendendo alcuni gradoni scavati nella roccia
L'interno è uno spettacolo: quasi tutte le pareti sono adornate da affreschi la cui bellezza è scalfita solo dalla mancanza di un meritato restauro
I dipinti raffigurano essenzialmente scene di vita di Gesù e della Vergine: salta all'occhio quello della Madonna dell'Odegitria, posto sopra l'altare in fondo, in cui Maria con la mano sinistra indica il Cristo benedicente, simbolo di salvezza
Sulla parete sinistra è posizionato un altro altare in pietra, installato dalla famiglia de Mari e sovrastato da una statua di San Francesco Da Paola: il santo è scolpito con un paio di zoccoli e un remo in mano
Sulla destra invece c'è quel che resta di una fonte battesimale...
...e una scaletta che porta direttamente all'interno della masseria



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  • TERESA GALETTA - molto interessante,poi ci sono le grotte di cui nessuno parla


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