Parchi archeologici, chiesette e "canyon": i tesori di Monte Sannace e Monte Rotondo
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martedì 25 luglio 2017
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di Nicola Imperiale
MONTE SANNACE - Per raggiungere la nostra prima meta lasciamo Gioia percorrendo via dei Peuceti, attraversiamo una rotatoria e imbocchiamo la strada provinciale 61 in direzione Turi. Dopo poco più di due chilometri e mezzo il sito appare sulla destra, racchiuso da una cancellata verde e segnalato da un cartello marroncino verticale. Si tratta di un parco protetto dal 1977 da un vincolo dalla Soprintendenza dei beni archeologici della Puglia e aperta al pubblico nel 1990.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo l'entrata e lasciamo alla nostra destra la graziosa masseria Montanaro, punto di accoglienza per i visitatori. Da qui è possibile seguire due itinerari: quello archeologico e quello naturalistico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il primo conduce ai preziosi resti dell'antica Thuriae, uno dei principali insediamenti della Peucezia, il nome con cui veniva indicata la Terra di Bari prima dell'arrivo dei Romani. Fu eretta su un'altura per uno scopo ben preciso: controllare visivamente un vasto territorio che spaziava dal mar Adriatico alla costa ionica e avere quindi il tempo di organizzarsi per affrontare eventuali invasori. Gli studi su questa zona, iniziati nel 1929 e tuttora in corso, hanno addirittura rilevato piccole tracce di frequentazione del posto che risalgono al Neolitico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo nel villaggio attraverso un accesso ricavato tra quel che rimane delle mura difensive: una sequenza di blocchi di tufo, terra, pietrisco e rocce calcaree che un tempo si innalzavano a difesa degli abitanti. Osserviamo una dopo l'altra le case un tempo occupate essenzialmente da contadini: all'epoca infatti i terreni circostanti venivano coltivati grazie alla presenza nelle vicinanze di un corso d'acqua che sfociava nell'Adriatico, oggi scomparso. Non vi sono oggetti d'uso quotidiano, tutti trasferiti nel museo archeologico del locale castello normanno-svevo, ma sono visibili qua e là diverse fosse mortuarie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il percorso naturalistico invece ci porta nel bosco che circonda il sito. Passeggiamo tra querce rovella, olmi campesrti, fragni, calle pugliesi e rose canine, intervallati da alcune panchine in legno dove è possibile rilassarsi ascoltando i suoni della natura. E a un certo punto arriviamo sull'acropoli: si tratta della parte alta dell'abitato, quella all’epoca destinata ad accogliere gli aristocratici e gli edifici pubblici. Qui notiamo alcune colonne in pietra mozze e delle sepolture in muratura decorate con pitture policromatiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da quassù la vista dell'arcaica Thuriae è davvero notevole. Ci soffermiamo sul panorama e poi attraverso una scalinata scendiamo verso la masseria, dove scambiamo due chiacchiere con il guardiano Osvaldo. «Qui non c'è una biglietteria - spiega il custode - e il ticket d'entrata di 7 euro che permette di visitare parco, castello e museo, si può comprare solo in paese: un disagio enorme per chi viene da fuori. Se non altro l'ingresso è gratuito nei giorni in cui la fortezza è chiusa ai turisti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
MONTE ROTONDO – E’ arrivato ora il momento di andare a visitare la seconda destinazione del nostro viaggio. Ritorniamo quindi alla rotonda di via dei Peuceti e da lì imbocchiamo la strada provinciale 106, in direzione Putignano. Dopo circa tre chilometri e mezzo giriamo a destra nella viuzza (ben segnalata) che conduce alla chiesa di Maria Santissima Annunziata, l'edificio che contraddistingue il rilievo di Monte Rotondo. Siamo a pochi passi dal bosco Romanazzi, una delle quattro oasi del Wwf baresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Saliamo così le scale che portano dinanzi all'edificio religioso eretto nel 1309 dall'arcivescovo di Bari Romualdo II, e oggi proprietà della chiesa matrice di Gioia. La facciata in pietra, piuttosto semplice, presenta un rosone e sui lati due colonne con figure umane, mentre sull’apice svetta un campanile a vela.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'austerità dell'esterno stride a sorpresa con la vivacità cromatica degli interni, più volte restaurati negli ultimi decenni. Nell'unica navata del luogo di culto balza all'occhio il rosso intenso delle due colonne laterali e le diverse tonalità di giallo delle decorazioni geometriche visibili sul soffitto a botte. Dietro l'altare non passa certo inosservato un variopinto affresco che raffigura la Madonna con Gesù bambino. Stesso discorso per quello realizzato sulla volta dal pittore Benedetto Colonna nel 1950, raffigurante l'Assunzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul lato sinistro dello stabile si apre un altro ambiente a tinte forti: la Cappella della crocifissione. Dietro un altarino in pietra c'è un disegno del 1694 che rappresenta la lenta e dolorosa uccisione del Messia sulla croce, ai lati invece altri quattro riquadri simili descrivono la passione di Cristo. E oltre ai colori anche la tradizione che "avvolge" questo immobile sacro è insolita: la leggenda vuole infatti che ai bambini basti girare attorno a esso tre volte durante l'Ottava di Pasqua per essere protetti a vita da problemi di ernia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Usciamo dalla chiesetta perchè un centinaio di metri più a sinistra c'è la parte conclusiva della nostra esplorazione: la cava di Monte Rotondo. Ci facciamo largo tra l'erba alta e superiamo un cartello di pericolo: a questo punto possiamo ammirare l'affascinante precipizio. Sembra di essere davanti a un piccolo canyon, le cui rocce calcaree vengono accarezzate dalle ombre della sera e creano un affascinante effetto scenico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un miracolo della natura, creato in realtà dall’uomo. La cava fu infatti utilizzata sin dal 1963 per l'estrazione di materiale calcareo, per poi essere chiusa alla fine degli anni 90 a causa dell’inquinamento causato proprio dall'attività mineraria. Da allora la voragine è diventata “proprietà” di alberi e animali: sulle sue pendici albergherebbero persino falchi grillai, pellegrini e gheppi. Anche se il loro dominio potrebbe durare ancora per poco, visto che c’è chi vorrebbe riutilizzare la fossa per trasformarla ciecamente in un contenitore di rifiuti speciali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Nicola Imperiale
Nicola Imperiale