L'alto e millenario Sant'Eustachio, complesso bizantino sperduto nell'agro di Giovinazzo
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giovedì 6 settembre 2018
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di Antonio Bizzarro - foto Antonio Caradonna
Un triste scenario del quale fa parte anche una struttura imponente, dotata di una torre alta 20 metri e immersa in un mare di ulivi: parliamo del complesso di Sant'Eustachio, sperduto nell'agro di Giovinazzo, quasi al confine con il territorio comunale di Bitonto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il sito ha origine bizantina, ma risulta impossibile stabilirne una datazione certa. Uno storico locale ritiene sia stato consacrato nel 1096 dai vescovi Elia e Pietro, altri studiosi sostengono invece sia sorto nel 1055 su preesistenti edifici medievali per ospitare una comunità greca, poi sparita a causa di una carestia. Di certo si tratta di una costruzione antichissima, quasi millenaria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungerla dalla statale 16 bis imbocchiamo l'uscita Giovinazzo sud e percorriamo la complanare lato monte. Svoltiamo quindi subito in strada comunale Sant'Eustachio, tracciato parzialmente asfaltato che scavalca l'autostrada e in tre chilometri ci porta quasi a destinazione. Superiamo un cartello che segnala la presenza del nostro "obiettivo" e giriamo a destra in una viuzza vicinale sterrata, giungendo finalmente dinanzi alla meta. (Vedi foto galleria)
Davanti a noi si staglia una parete della cinta muraria quadrangolare che delimita il casale, preceduta da un ulivo e rigogliose piante grasse. Muoviamo i primi passi verso l'ingresso principale, circondati dai soli rumori della natura e adocchiamo da lontano l'imponente torre. L'entrata è costituita da un arco policentrico, sormontato da una nicchia che un tempo probabilmente ospitava lo stemma di un ordine monastico: di fatti sulla colonna sinistra è incisa una croce, segno che qui erano attivi alcuni frati del posto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo l'accesso, incontrando sulla destra il primo stabile del sito, sviluppato su due livelli. Il piano terra è un fresco stanzone lungo una decina di metri, probabilmente creato come deposito, dove ignoti hanno gettato buste di plastica e una tanica di ferro. Una scala esterna, in parte ricoperta dalla vegetazione, permette di salire dal lato sinistro al primo piano: ci ritroviamo in due ambienti coperti da volte a vela e ben illuminati grazie al sapiente orientamento delle finestre. Non vi è traccia di arredamento, mentre una bottiglia di birra vuota e inguardabili scritte testimoniano l'inciviltà di alcuni visitatori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una rampa interna conduce al tetto, dal quale ammiriamo un panorama stupendo: la vista è dominata in tutte le direzioni da sterminate distese di ulivi. Volgendo lo sguardo verso il mare si nota Giovinazzo, "segnalata" dall'inconfondibile cupola della sua cattedrale. Suggestiva è anche l'osservazione del complesso stesso e in particolare della torre, solcata da un'evidente crepa verticale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo sui nostri passi, addentrandoci nel frutteto che quasi soffoca la parte centrale del sito. A sinistra riusciamo a individuare l'ingresso della torre, dal quale si accede anche alla chiesetta annessa. Si tratta di un edificio religioso che già all'esterno suscita una certa curiosità, grazie alle due insolite cupolette in pietra che lo ricoprono. La sua storia è incerta: sembra sia stato consacrato nel 1057, mentre una pergamena conservata nell'Archivio di Stato parla della benedizione dell'altare, avvenuta nel 1124.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'interno della cappella mostra inevitabilmente i segni dei secoli che passano. Avanziamo facendo attenzione ai cumuli di pietre e intonaci crollati dai muri e dall'unica navata dell'ambiente, accorgendoci che la pavimentazione è stata completamente rubata. Degli affreschi che un tempo impreziosivano le pareti è rimasto ben poco: qualche decorazione floreale, disegni di ramoscelli di ulivo e raffigurazioni sacre purtroppo irriconoscibili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lasciamo la chiesetta e ci prepariamo a visitare la costruzione più alta, quella che fungeva sia da campanile che da vedetta. Non è un'esplorazione facile: le scale sono pericolanti e ci sono massi ovunque. Cominciamo a salire, approdando in un piano contraddistinto da una nicchia e un affaccio sull'esterno. È invece sparita la rampa che consente di giungere sulla sommità: per arrivarci ci si può solo arrampicare su un malmesso asse di legno poggiato su un muro, che preferiamo però non sfidare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Usciamo dalla torre e proseguiamo dritti verso l'ultimo edificio. Ci addentriamo al suo interno, salutati da una civetta che sbuca all'improvviso dalla penombra e vola via. Siamo in un ampio ambiente, caratterizzato a destra dal vascone quadrato dove veniva spremuta l'uva e a sinistra da uno stanzone che sembra avere le sembianze di una stalla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Termina qui la nostra visita al complesso, sul quale aleggia la leggenda di un tesoro che sarebbe stato nascosto nei dintorni in previsione delle scorribande saracene. Ma di visibile e di prezioso non c'è che questo piccolo angolo di storia abbandonato a se stesso, in preda a un destino comune a decine di antichi gioielli sparsi in Terra di Bari.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Antonio Bizzarro
Antonio Bizzarro
Foto di
Antonio Caradonna
Antonio Caradonna