Il "rinascimentale" palazzo della Banca d'Italia: emblema della Bari più prestigiosa
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martedì 2 aprile 2019
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di Laura Villani
La sua storia parte da lontano. È infatti il 1863 quando la “Banca Nazionale del Regno d’Italia” (questo il vecchio nome dell’ente) apre una filiale in via Cairoli 80. Nel 1909 viene però promossa da succursale a sede centrale e così, in pieno sviluppo economico e urbanistico, si decide il trasferimento nel cuore della Bari borghese: corso Cavour.
Per l’edificazione è scelta un’area occupata da capannoni detti del “Mercato del ferro”, situata tra la Camera di Commercio e il Teatro Petruzzelli, all’ingresso del cosiddetto Quartiere Umbertino. Il progetto viene affidato all’ingegnere Biagio Accolti Gil, che vi lavora dal 1926 al 1932, anno in cui il palazzo è presentato alla città.
Nell’occasione viene anche costruita una fontana monumentale in pietra che ancora oggi fa bella mostra di sé di fronte allo stabile: un’accoppiata “da cartolina” che costituisce una delle immagini più iconiche di Bari.
Siamo quindi davanti alla Banca d’Italia, che si sviluppa su quattro livelli, con una netta predominanza del colore bianco della pietra nella fascia inferiore e del rosso del rivestimento in laterizio in quella superiore. La facciata è caratterizzata da due ordini architettonici, dorico e ionico, uno zoccolo lapideo e un corpo aggettante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con i suoi bugnati, le finestre timpanate del primo piano e il pronao di gusto classico, ci sembra che abbia poco a che fare con le imponenti costruzioni littorie che contraddistinguevano quel periodo. Lo stile architettonico ricalca infatti quello degli edifici civili rinascimentali e manieristi.
I prospetti laterali presentano ciascuno una nicchia vuota in corrispondenza del primo piano: lì erano inseriti i busti bronzei di Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III. «Del primo si sono perse le tracce – racconta la volontaria Fai Giovani Caterina Rinaldo – mentre il secondo, realizzato dallo scultore Vittorio Saltelli, è stato ritrovato nel seminterrato lì dove si trova ancora oggi».
È arrivato il momento di entrare. Abbiamo così l’occasione di avvicinarci al portone d’ingresso: a due ante con specchiature quadrate e sormontato da una lunetta in ferro battuto, è preceduto da quattro colonne con capitelli dorici sulle quali poggia la balaustra del balcone sovrastante. Attraversatolo, superiamo un controllo al metal detector prima di varcare la porta a vetri che immette nel vestibolo.
Ci ritroviamo in un largo spazio rettangolare nel quale una serie di bassorilievi circolari dello scultore Giuseppe Albano si alternano a colonnine ioniche. Di fronte a noi si aprono tre alte serliane che danno accesso al cosiddetto “Salone del pubblico”. Accediamo nell’ambiente, che ci colpisce per la sua impostazione: a dispetto degli sportelli e benché non vi siano croci o santi, pare quasi di trovarsi in un basilica a tre navate con tanto di abside.
Di certo si tratta della stanza più maestosa della Banca: ampia, luminosa, tripartita da archi a tutto sesto, vi predominano i tenui giallo e verde dei marmi pregiati. Anche qui colonne e lesene lasciano spazio a una serie di bassorilievi in marmo di Carrara. Opera di Giovanni Remuzzi, raffigurano momenti di lavoro e allegorie: nei pressi di due delle porte notiamo ad esempio una scena con tre uomini in una fonderia e una di pesca, mentre nella navata sinistra si trova una personificazione femminile dell’Abbondanza seduta in trono con una cornucopia.
Sulla nostra testa ci incantano poi le vetrate dei velari a soffitto di ispirazione liberty: ai due lati presentano disegni geometrici e stilizzati, mentre nell’area centrale si arricchiscono dei tocchi di rosso dello stemma di Bari e di quello sabaudo. Gli sportelli sono invece “coronati” da finestre semicircolari. «Fanno parte dei caratteri dell'architettura imperiale ripresi da Accolti Gil e sono dette “termali” perché erano utilizzate nelle terme romane», evidenzia il nostro cicerone.
Infine è impossibile non notare la scalinata scenografica che si apre nel mezzo del salone, cinta da una grigia balaustra di pietra e di marmo: ai suoi piedi, una porta nera conduce nel piano seminterrato che un tempo custodiva le cassette di sicurezza.
Noi però percorriamo i gradini di un’altra elegante scalone, quello d’onore, grazie al quale saliamo al primo piano. Qui incontriamo lo studio del direttore: rettangolare, da un lato si affaccia sulla piazza antistante il palazzo e dall’altro sul Teatro Petruzzelli. L’arredo è d’epoca, progettato da una ditta romana appositamente per questa sede e ancora una volta ispirato al Rinascimento. Sulla parete alla destra della scrivania fa mostra di sé un dipinto di Leonardo Roda che rappresenta un paesaggio montano con al centro il Cervino.
Raggiungiamo infine la grande sala consiliare, impreziosita da un lampadario in vetro di Murano e da un suggestivo soffitto a cassettoni. «Che in realtà non è di legno, ma di gesso - svela Caterina -, mentre il pavimento è in battuto alla veneziana. Purtroppo non conosciamo gli autori dei busti scultorei raffiguranti Ottaviano Augusto, Scipione e Marco Tullio Cicerone, poiché le notizie che li riguardavano sono andate perdute durante la Guerra».
Conflitto al quale il solenne palazzo è comunque sopravvissuto, divenendo uno degli emblemi della Bari più ricca e prestigiosa.
(Vedi galleria fotografica di Alessandro Palermo)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- michele iannone - un bel servizio, tipico di BARINEDITA ! Complimenti !
- Emanuele Zambetta - Palazzone simbolo di Bari! Elegante ed imponente! Lo amo! Complimenti agli autori dell'articolo!