Chiese, chiostri e conventi: la storia dell'ex orfanotrofio Maria Cristina di Savoia
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lunedì 11 ottobre 2021
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di Federica Calabrese e Mina Barcone - foto Christian Lisco
Realizzato nel 1852 dall’architetto Luigi Castellucci, il “reale orfanotrofio” è stato attivo sino agli anni 80 del 900, retto dall’ordine delle suore Adoratrici. Oggi è adibito a centro diurno per minori, anche se molte sue stanze sono attualmente inagibili a causa di importati lavori di ristrutturazione.
Per visitare il Maria Cristina di Savoia basta imboccare la provinciale 231, per poi entrare a Bitonto attraverso via Modugno. Strada che dopo un chilometro cambia nome in via Ferdinando II di Borbone, pochi metri prima di incrociare sulla sinistra l’ex orfanotrofio, circondato da una scura cancellata in ferro.
Il complesso si affaccia su Lama Balice, che in quel punto è percorsa dal suggestivo Pescara del Carmine, massiccio ponte ottocentesco che conduce al centro storico cittadino.
Il fabbricato, dalle pareti rossastre, è diviso in due ordini sovrapposti. L’inferiore conserva un’apertura centrale a tre archi sorretti da robusti pilastri, il livello superiore invece si presenta scandito da finestrelle rettangolari e coronato da un parapetto dentellato.
Da qui riusciamo anche a scorgere il campanile seicentesco appartenente alla chiesa interna. La sua copertura originaria a cupola fu eliminata nel 1905 per motivi di sicurezza, sostituita da una loggia panoramica, ma ospita ancora due campane bronzee risalenti rispettivamente al 1680 e al 1755.
È arrivato il momento di accedere. Saliamo quindi la grande scalinata in pietra e superiamo l’arco centrale su cui capeggia l’anno di fondazione. Sull’estesa facciata prospettica lunga ben 90 metri si apre un androne coperto in cui spiccano le nicchie contenenti i busti bronzei del re Ferdinando II e della moglie Maria Cristina.
Dopo pochi passi scorgiamo un alto portone in legno, soglia d’accesso dell’istituto. Dinnanzi a noi si allungano così due lunghi corridoi coperti da volte a crociera che poggiano su pilastri quadrangolari, lascito del quattrocentesco convento dei Carmelitani. Le lunette decorate con copie dei dipinti del pittore seicentesco Nicola Gliri ripercorrono le tappe della vita di Sant’Elia.
Accolte nell’istituto le bambine ricevevano vestiti e divisa. Le più piccole frequentavano l’asilo affidato a una direttrice e a maestre diplomate. Col tempo furono aggiunti i corsi di scuola elementare e scuola magistrale per le alunne più predisposte allo studio, mentre alle altre si insegnavano cucito e cucina.
La luce nel corridoio proviene da grandi finestroni a mandorla che si aprono su uno dei tre chiostri interni che appartenevano al precedente monastero. Il più grande è articolato in stretti sentieri in pietra in cui la vegetazione cresce rigogliosa.
Ci rechiamo ora nelle aule che oggi ospitano le attività del centro diurno per minori. Anche se alcune di esse sono solo “custodi” di cumuli di vestiti e vecchi pianoforti dai tasti rotti e ingialliti. Delle immagini in bianco e nero appese alle pareti mostrano però le suore in compagnia delle studentesse.
Non ci è possibile invece accedere al secondo piano per via dei lavori di ristrutturazione. Torniamo adesso nell’androne per entrare attraverso una portone nella vera chicca del complesso: la chiesa di Santa Maria del Carmine, ancora attiva. Fondata assieme al monastero, subì nel tempo diversi rimaneggiamenti soprattutto nel 700 e nell’800.
All’entrata incontriamo delle tracce quattrocentesche: si tratta di due affreschi di cui uno raffigura la Vergine e il Cristo crocifisso. Quest’ultimo appare malmesso a causa dei colpi di piccone subiti nel tentativo di rimuovere lo spesso strato di intonaco con cui era stato ricoperto secoli addietro.
Il luogo di culto si presenta scandito in tre navate divise da otto possenti archi in muratura e terminante in un’ampia abside centrale segnata da eleganti costoloni. Il soffitto è ornato da 15 tele con le rappresentazioni della storia dell’ordine carmelitano realizzate da Carlo Rosa nella prima metà del 600.
I marmi policromi trionfano nella pavimentazione, nella decorazione dell’altare e nelle nicchie poste nelle navatelle. Di queste, la più ricca e composita a destra è quella che custodisce l’edicola dedicata proprio alla Madonna del Carmelo: alla sua icona dipinta sono state applicate una corona d’argento e una collanina dorata.
A sinistra invece a spiccare è il sofisticato reliquiario ligneo del tardo Cinquecento. Distinto in tre registri racchiusi da una cornice finemente scolpita con angeli dorati su uno sfondo color cobalto, conserva altarini e teche contenenti piccole reliquie di santi tra i quali San Magno, San Feliciano e Santa Veneranda.
La zona absidale è composta da un altare marmoreo intarsiato anticipato da una balaustra: opere del 1770 dello scultore Vincenzo Pannone. E infine nella parte retrostante l’altare, alle spalle del crocifisso del 500, si apre l’ultimo tesoro del Maria Cristina: il seicentesco coro in legno policromo. Opera di Nicola Gliri, fa sfoggio di sé con quindici sedute arricchite da spalliere dipinte con le immagini di frati, vescovi, martiri e santi.
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