Barione e Iapige fondatori di Bari? Un falso mito creato ad hoc che continua a generare equivoci
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giovedì 23 febbraio 2023
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di Giancarlo Liuzzi
Ma veniamo alle leggende. Partiamo dal cretese Iapige, che fu figlio dell’architetto Dedalo, celebre costruttore del labirinto del Minotauro. Attorno al 1200/1300 a.C., dopo la morte del re di Creta Minosse, giunse in Puglia attratto dalla bellezza e fertilità del luogo, lì dove edificò la città di Bari dandole il suo nome.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Che Iapige fosse legato alla Puglia è acclarato, ma un suo collegamento diretto con il capoluogo appare come una forzatura operata dallo storiografo Antonio Beatillo nel suo “Historia di Bari” del 1637. Nel testo l’autore cita come fonti autori greci e latini, che però a ben guardare non hanno mai attribuito esplicitamente la fondazione di Bari a Iapige. Ad esempio Plinio il Vecchio, nel I secolo, parla solo di un fiume pugliese chiamato Iapix, che prendeva il nome dal re figlio di Dedalo, senza però citare mai in questo contesto il capoluogo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La “creatività” di Beatillo si fa poi ancora più fantasiosa con il racconto del capitano Barione, il quale partito dalla Dalmazia sbarcò sulle coste pugliesi a capo di un gruppo di giovani nobili chiamati Pedicoli (in greco fanciulli), conquistando la città di Iapige, per poi ampliarla e cambiarne il nome con il suo, ovvero Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Vero è che all’epoca ci fu un popolo (i Peucezi) che arrivò in Puglia mischiandosi ai gruppi preesistenti, ma nessuno prima di Beatillo cita mai il nome di Barione, che di fatto fu deliberatamente inventato dall’autore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Beatillo parla addirittura del ritrovamento di un sarcofago, nei primi anni del 600, sotto una porta del centro storico. Si trattava di un sepolcro di un uomo con armatura ormai ridotto in cenere e ferraglia che l’autore fa naturalmente risalire proprio al mitico capitano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E la Bari dell’epoca, seguendo la tesi di Beatillo e alla ricerca di figure rappresentative della città, trovò un pretesto per dare addirittura un volto a Barione e Iapige, che vennero disegnati sulla sommità della Porta Nuova realizzata nel 1612 in piazza del Ferrarese (effigi che vennero poi spostati su un altro edificio dopo la demolizione della porta). Le figure erano accompagnate dalla scritta Urbem quam Barion auxit, fundavit Iapix (Città fondata da Iapige che Barione ampliò) e raffiguravano un uomo barbuto e un altro con l’elmo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui nacquero una serie di equivoci, i cui strascichi sono giunti sino ai giorni nostri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ad esempio molti libri contemporanei di storia (tra i quali quelli di Vito Antonio Melchiorre) attribuiscono a Iapige e Barione i clipei posti sui portali delle residenze nobiliari cinquecentesche della città vecchia, come Palazzo Zizzi o Palazzo Tanzi. Su questi edifici di strada Palazzo di Città appaiono infatti due medaglioni che mostrano un giovane viso maschile con corona di alloro e un viso con un elmo e folti capelli. Ma non si tratta certo di Iapige e Barione, anche perché l’ultima figura, tra l’altro, fa più pensare a una donna che a un forzuto condottiero venuto dall’Est.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«In effetti la testa maschile laureata pare ispirata a modelli imperiali classici o divinità come Apollo, mentre il profilo femminile elmato raffigura quasi sicuramente la dea Atena», afferma Carmela Roscino, professoressa di Archeologia Classica all'Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
E ai due eroi cittadini non sarebbero nemmeno attribuibili i due profili (di cui uno barbuto) posti su un emblema dell’antica famiglia Calò situato sotto l’Arco Sant’Onofrio. «Non si tratta certo dei fantomatici Iapige e Barione – dichiara la docente –: i volti in questione sono quelli di Apollo e di Zeus, che da sempre è raffigurato in quel modo».
Infine c’è il vecchio stemma di Bari, quello raffigurante un cherubino con un arco su una barca circondato dal mare che si trova disegnato su alcune monete del III secolo a.C. custodite nel Museo archeologico di Santa Scolastica e poi su diversi palazzi cittadini di inizio 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da anni ormai la figura ha assunto il nome di Barione, generando un ulteriore equivoco sulla storia del capitano venuto dalla Dalmazia. La denominazione fu infatti affibbiata solo durante i Giochi del Mediterraneo del 1997, quando si trasformò l’antico nome della città (Barion), in un termine più simpatico e internazionale che poteva anche essere letto come “Bari-one”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’amorino rappresenta invece il tipico Eros alato, come anche scritto nel volume “Archeologia di un città” (1988) dagli esperti Andreassi e Radina. Nulla a che vedere quindi con Iapige e Barione: “falsi miti” che a Bari, probabilmente, non hanno mai messo piede.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
Foto di copertina di Francesco De Leo
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