"Dall'altare alla polvere": Gazzi racconta l'ultimo grande Bari, quello di Conte e Ventura
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giovedģ 24 febbraio 2022
di Claudio Mezzapesa
ALESSANDRIA – «Si trattava di due persone totalmente diverse che avevano un modo differente di vedere il calcio. Però entrambi non si accontentavano mai: volevano sempre che migliorassimo le giocate che facevamo in campo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il 39enne Alessandro Gazzi (nella foto), ex calciatore biancorosso, descrive così i tecnici che hanno allenato l’ultimo grande Bari: quello che tra il 2009 e il 2010 vinse il campionato di serie B per poi raggiungere nell’annata successiva il decimo posto in A. Sulla panchina di quella squadra (messa su dal sapiente lavoro del ds Giorgio Perinetti) si sedettero Antonio Conte prima e Gian Piero Ventura poi: due mister che riuscirono a portare nel capoluogo pugliese risultati e soprattutto bel gioco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alessandro di quel Bari era uno dei centrocampisti centrali. Mediano tuttofare dotato di notevole fisicità e di un buon piede sinistro, veniva definito la “diga” dai tifosi per la sua capacità di frenare le avanzate degli avversari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Disputò 6 stagioni e mezza con i Galletti, totalizzando 225 presenze in campionato condite da 6 reti. Rimase in biancorosso sino all’amarissima retrocessione in B del 2011, contraddistinta anche dallo scandalo del calcioscommesse. Lui fu tra i pochi a non essere accusato di essersi venduto le partite, anche se venne deferito per omessa denuncia patteggiando 3 mesi e 10 giorni di squalifica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo aver intervistato altre “vecchie glorie” del Bari come Bergossi, Perrone, Protti e Garzja, abbiamo parlato con Gazzi, oggi collaboratore tecnico dell’Alessandria e aspirante scrittore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il tuo rapporto con la Puglia nasce nel 2004, quando ad appena 21 anni decidi di trasferirti dalla Viterbese al Bari…
Ma nel 2007, durante il mercato invernale, passasti alla Reggina.
Avvenne nelle ultimissime ore di mercato. Quell’anno la Reggina disputava la A e la mia ambizione era quella di confrontarmi, per la prima volta in carriera, con la massima serie. Così decisi di andarmi a giocare le mie chance in Calabria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel giugno dello stesso anno però la comproprietà fu risolta a favore dei biancorossi: tornasti così in Puglia. E da quel momento iniziò il periodo magico del Bari.
Tutto cominciò con l’arrivo di Conte. Dopo il drammatico derby perso in casa contro il Lecce per 0-4, il 29 dicembre 2007 il ds Perinetti chiamò, in sostituzione di Materazzi, il mister leccese. Lui diede una vera e propria sterzata al cammino della squadra, regalandoci una nuova identità. Iniziammo a praticare sin da subito un modulo molto offensivo, ovvero il 4-2-4, caratterizzato da passaggi smarcanti e gioco di fascia. In poco tempo riuscimmo a ricompattarci e a raggiungere un’ottima intesa che ci portò alla salvezza. E grazie alla sua determinazione e al lavoro sui singoli, io cominciai a migliorare giorno dopo giorno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E veniamo all’incredibile stagione del 2008/2009: quella del ritorno in serie A.
In estate la squadra si arricchì di ottimi elementi come il difensore centrale Ranocchia e gli attaccanti Barreto e Caputo. Inizialmente le ambizioni non erano quelle di vincere il campionato a tutti i costi, ma pian piano ci rendemmo conto che stavamo riuscendo a imporci con tutti: eravamo diventati temibili. E durante il mercato di gennaio arrivarono quei rinforzi che ci diedero la consapevolezza di poter compiere il grande salto. La punta Vitalij Kutuzov e gli esterni Davide Lanzafame e Stefano Guberti aggiunsero qualità alla rosa e ci portarono direttamente ai vertici della classifica. Fu un susseguirsi di successi e alla fine, con un mese di anticipo dalla conclusione del campionato, fummo promossi in A, raggiungendo anche il primo posto e regalando un’enorme soddisfazione ai tifosi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A quella stagione si lega uno dei tuoi più bei ricordi in biancorosso…
Si tratta della partita Bari-Empoli del 4 Maggio 2009. Era decisiva, perché se l’avessimo vinta saremmo stati promossi matematicamente in Serie A. Lo stadio San Nicola era strapieno, una vera e propria bolgia. Quando facemmo il primo giro di campo ci fu un’ovazione incredibile: quasi cinquantamila persone si alzarono in piedi ad applaudire, a cantare e a caricarci. Lo stadio a spicchi rese poi le coreografie meravigliose. La partita però fini 0-0: ci fu delusione, ma alla fine sapevamo che la festa sarebbe stata solo rimandata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Estate del 2009: Conte e il Bari si separano. Perinetti chiama così Gian Piero Ventura per proseguire l’avventura in serie A. Quali differenze c'erano tra questi due allenatori?
Si trattava di due persone totalmente diverse che avevano un modo differente di vedere il calcio. In comune avevano il fatto di non accontentarsi mai: volevano sempre che migliorassimo dal punto di vista tecnico ciò che facevamo in campo. Però Conte era attento ad ogni minimo dettaglio, era maniacale e pretendeva sempre il massimo impegno. Ventura aveva invece nei nostri confronti un atteggiamento più da “padre”, da “maestro” e guardava molto al gioco d’insieme, proponendo un calcio a dir poco spettacolare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Forse quello di Ventura è stato il Bari più “bello” che si sia mai visto.
Il nostro calcio era imprevedibile ed esplosivo, a tratti seduttivo. Anche Ventura adottò un modulo molto offensivo, proprio come Conte. Di solito ci disponeva con il 4-4-2, che spesso nel corso della partita diventava un 4-2-4. C’era grande organizzazione dal punto di vista tattico e questo ci faceva giocare tranquilli anche con le squadre più blasonate. E comunque avevamo una grande rosa. Il presidente Vincenzo Matarrese blindò Barreto, Gillet, Rivas e acquistò gente solida come Almiron e Donati e grandi promesse come Leonardo Bonucci. C’era un mix perfetto tra esperienza e freschezza.
Quell’anno raggiungeste il decimo posto in classifica con 50 punti.
Fu una stagione indimenticabile. Neutralizzammo l’Inter dell’imminente triplete alla prima di San Siro e nella gara di ritorno. E come dimenticare il 3-1 contro la Juventus, in un San Nicola stracolmo con più di 50mila spettatori? Fummo vicini a raggiungere un piazzamento europeo, mai centrato nella storia del Bari. Un sogno che non si avverò a causa di un finale di stagione un po’ sotto tono, condito da quattro sconfitte di fila. Ciò però non tolse magia a quell’incredibile annata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un anno che i tifosi non dimenticheranno mai. Peccato che questa favola si concluse nella stagione successiva nel peggiore dei modi, con la retrocessione e lo scandalo del calcioscommesse. “Dall’altare alla polvere” insomma…
Per quanto riguarda il calcioscommesse preferisco non parlarne: è una cosa troppo grande per poter essere risolta in poche righe. Io comunque non mi vendetti nessun incontro, anche se fui squalificato per omessa denuncia. Per quanto riguarda l’aspetto sportivo, posso dire che la retrocessione fu frutto soprattutto di un problema mentale. Inizialmente sembrava che stessimo cavalcando l’onda del campionato precedente. Partimmo con una vittoria sulla Juventus all’esordio e dopo le prime cinque partite avevamo preso posto nella prima metà della classifica. Poi accade qualcosa: perdemmo qualche match e da lì cominciarono i problemi. Ci trovammo a lottare per la salvezza: non eravamo abituati e la pressione da parte dell’ambiente barese aumentava giorno dopo giorno. Tutti si aspettavano di più da noi: perdemmo un po’ la testa e alla fine retrocedemmo. Fu molto difficile da accettare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La retrocessione segnò il tuo addio definitivo: passasti infatti al Siena. È vero che da allora non sei più tornato a Bari?
Non ce n’è stata mai occasione. Però a Bari sono stato sette anni: rimane parte della mia vita. Un giorno spero di poterci tornare, anche per riabbracciare i tanti amici che ho lasciato in Puglia.
Claudio Mezzapesa