Bari, 50 anni fa l'epidemia di colera: la storia di quel 1973 tra ricoveri, divieti e vaccini
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mercoledì 4 ottobre 2023
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di Francesco Sblendorio
A 50 anni esatti dalla comparsa della malattia, abbiamo così ricostruito la storia di quei giorni, tra paure, ricoveri, divieti e vaccini. (Vedi foto galleria)
L’Italia fu dunque raggiunta dalla pandemia di colera iniziata nel 1961 in Indonesia e poi propagatasi in Asia e in Unione Sovietica, fino a toccare il Nord Africa nel maggio del 1973. Proprio dalla Tunisia arrivò in Campania prima e in Puglia e in Sardegna dopo, la famigerata partita di cozze contaminata che i più ritengono sia stata il vero vettore del vibrione. Quest’ultimo era il batterio che causava la malattia, la quale provocava dissenteria e, nei casi più gravi, morte per disidratazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I primi casi si registrarono dopo il Ferragosto del 1973, quando nel Napoletano furono segnalati diversi episodi di presunta gastroenterite acuta. Il 20 agosto morì la prima persona e altre ne seguirono nei giorni successivi. Il primo a comprendere che ci si trovava di fronte a qualcosa di diverso fu il primario dell’ospedale partenopeo “Maresca” e dopo una settimana, la sera del 28 agosto, fu così data la notizia ufficiale: in Italia era arrivato il temuto colera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mentre ai piedi del Vesuvio si spargeva il panico, le autorità adottarono le prime contromisure: blocco al commercio dei frutti di mare, pulizia delle strade, divieto di balneazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel giro di pochi giorni il batterio si presentò anche a Bari, probabilmente sempre a causa delle cozze arrivate dalla Tunisia, che naturalmente nel capoluogo pugliese si mangiavano crude. Il 1° settembre il Policlinico contò 40 ricoveri nel reparto infettivi, di cui 9 accertati come infezioni coleriche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per frenare la corsa del contagio nelle città colpite, il governo Rumor prese misure drastiche. Il 5 dello stesso mese, tra le proteste della popolazione, a Napoli le forze dell’ordine ebbero l’ordine di distruggere gli allevamenti di cozze, strategia poi adottata pure a Bari, per paura che il vibrione avesse attecchito anche nei mitili nostrani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel capoluogo pugliese, allora amministrato dal sindaco Nicola Vernola, al divieto di vendita e consumo dei molluschi si aggiunse quello imposto a molti prodotti agricoli. Furono anche chiusi cinema, teatri e ristoranti, banditi i gelati di produzione artigianale e i bagni in mare, sia nelle spiagge libere che in quelle private. E schizzò in alto il prezzo dei limoni, ritenuti capaci di contrastare gli effetti del batterio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I baresi si rassegnarono a passare le serate di fine estate davanti alla tv, non potendo neanche andare allo stadio: la partita di Coppa Italia prevista con il Verona fu infatti annullata, perché la squadra scaligera si rifiutò di venire a Bari. «Venne rinviato anche l’inizio dell’anno scolastico e della Fiera del Levante – racconta Nico Velluso, all’epoca 23enne –. Alle famiglie si raccomandava di non mangiare prodotti ittici e di lavare bene la verdura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tuttavia, diversamente dal Covid, il colera non portò alla paralisi dell’intera città: le attività lavorative proseguirono in modo sostanzialmente normale. D’altronde il contagio da colera avveniva e avviene solo se si verificano determinate condizioni, fondamentalmente mangiando o bevendo alimenti e liquidi infetti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In più in quei giorni le autorità avviarono la più grande operazione di profilassi dalla fine del Secondo conflitto mondiale. Furono persino utilizzate le speciali siringhe a pistola fornite dai militari della Nato, che le avevano usate per le vaccinazioni di massa durante la guerra in Vietnam.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A Bari in ogni quartiere fu prediposto un punto dove era possibile farsi iniettare “l’antidoto” contro il colera. «Non posso dimenticare quella sera in cui mi recai anch’io a vaccinarmi, piena di paura come tutti – ricorda Emma Giustiniani, che nel 1973 aveva 22 anni -: trovai una coda infinita di persone, silenziosa e atterrita, che si snodava lungo tutto un isolato del rione Japigia. Nessuno era obbligato a farlo, ma i baresi di ogni livello sociale si presentarono in massa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A inocularle il vaccino fu suo padre, Lorenzo Giustiniani, allora 60enne, medico di professione che si offrì volontario per la campagna. «Era uno specialista del diabete – ricorda Emma -, ma da molti anni si occupava delle schermografie, analisi effettuate in particolare su commercianti di alimentari e bambini delle colonie per prevenire la diffusione della tubercolosi. Curò migliaia di baresi, arrivando ad avere le mani corrose dall’alcool, perché i guanti a disposizione dei medici erano pochissimi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il 12 ottobre del 1973, dopo 110 contagi e 6 morti, a Bari fu posta la parola fine all’emergenza. Ma la parola “colera” rimase nella memoria collettiva della città: minaccia costante nelle paure dei baresi tornata ad affacciarsi nel 1994, per fortuna, in quell’anno, solo con sparuti casi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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