"Polparola", canna di bambù, zampa di gallina, vermara: ecco i mille modi per pescare a Bari
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giovedì 5 novembre 2020
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di Gaia Caprini e Marco Montrone
Con l’aiuto del 42enne Giuseppe Castelletti, fondatore del gruppo facebook “Pesca apnea Bari”, siamo quindi andati a scoprire il mondo della pesca amatoriale barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La pelosa – Il crostaceo in assoluto più pescato e apprezzato a Bari è il favollo. Si tratta di un granchio di medie dimensioni (fino a circa 10 centimetri senza considerare gli arti) di colore marrone e ricoperto da setole, da cui il nome locale di “pelosa”. Vive in prossimità della superficie e nonostante le sue chele robuste che possono anche provocare lesioni abbastanza serie, è ricercato per le sue carni prelibate ottime da fare al sugo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La sua pesca avviene da terra o sotto costa, al massimo nei primi venti centimetri di acqua. La difficoltà sta nel far uscire l’animale dalla sua stretta tana, in cui si rifugia velocemente al minimo segnale di pericolo. L’unico modo per stanarlo è quello di attirarlo fuori con un’esca, di solito un brandello di polpo, legata con un filo di nylon all’estremità di una canna di bambù (o di alluminio).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A quel punto ci si posiziona vicino agli scogli, a volte entrando in mare con delle galosce di gomma, e si individua il nascondiglio avvicinando l’esca al granchio. La pelosa cercherà con le sue chele di tirare il polpo, di fatto attaccandosi alla canna e in quel momento bisogna essere lesti nel tirarla fuori dalla tana, per raccoglierla poi con un retino o servendosi di un piccolo cappio utile a immobilizzarla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il polpo - Il “re” dei molluschi è cacciato sia dalla barca che sott’acqua. A Bari quelli piccoli vengono mangiati crudi, quelli medi arrostiti e quelli più grossi lessi e conditi con olio, aglio e prezzemolo (insalata di polpo). Ma questo cefalopode (chiamato comunemente “polipo”) può essere gustato anche fritto e al sugo.
Vista la sua versatilità in cucina, soprattutto in estate si scatena una vera e propria “caccia al polpo”. Per stanarlo viene utilizzata la cosiddetta “polparola” (nella foto), realizzata legando a una lenza in nylon un’esca che può essere un granchio artificiale, una o più pelose o addirittura (specie se si è in barca) una zampa di gallina. In tutti i casi viene aggiunta anche una busta o uno strofinaccio bianco, utile ad attirare il “curioso” octopus.
A quel punto il segreto sta nel muovere la polparola con un gesto sussultorio, simulando le movenze di un animale. Tutto ciò attira la preda che si attacca all’esca cercando di tirarla a sé e venendo così allo scoperto. Risulta poi un gioco da ragazzi catturarlo (con le mani, con un fucile o con un retino se si è in barca). Attenzione però: il mollusco una volta preso farà di tutto per svignarsela, così è bene ucciderlo subito rivoltandogli completamente la testa o addirittura dandogli un morso al capo.
Il momento ideale per catturare il polpo è di sera, quando esce per andare a cacciare. Così i vecchi pescatori che vanno in mare con i gozzi, utilizzano sempre delle lampare poste sulla poppa che hanno lo scopo di illuminare la barca, ma anche soprattutto di abbagliare i molluschi, rendendoli così più facilmente catturabili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
“Ciambotto” e “pesce bianco” (in barca o da terra) – Per prendere i pesci, che siano da “ciambotto” (ovvero da zuppa come “sciriè” o tordo) o “bianco” (da fare arrostito come saraghi e orate), si utilizza sempre la canna da pesca con mulinello. L’impiego delle reti è invece riservato solo ai marinai che possiedono un’adeguata licenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da terra le canne sono più lunghe, da 3-4 metri, così da “lanciare” la lenza il più lontano possibile, allontanandola dalla costa dove tra l’altro si potrebbe “ingaramare” (incastrarsi tra gli scogli). Dalla barca invece si possono usare canne più corte per la cosiddetta pesca da “bolentino” o più massicce per la “traina” (specifica per tonni e ricciole e più professionale).
Agli ami (di solito almeno tre che vanno a formare il cosiddetto “palamaro”), possono essere attaccate le esche più svariate, a seconda del tipo di animale da catturare. Per il ciambotto è perfetto il “verme coreano”, per il bianco il gamberetto o la costosissima vermara, per i cefali basta invece un semplice pane e formaggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La pesca in apnea – Infine il pesce, soprattutto quello di taglia medio-grande, si può catturare immergendosi in apnea con un fucile dotato di fiocina o arpione. Ce ne sono di due tipi: ad aria compressa o a molla (l’arbalete).
Le due tecniche principali di pesca in apnea sono quella “in tana” e “all’aspetto”. La prima prevede una perlustrazione delle varie cavità presenti tra gli scogli, nella speranza che nascondano una buona preda da infilzare con “armi” non troppo lunghe (massimo 90 centimetri). L’aspetto avviene invece posizionandosi sul fondale e stando fermi, in attesa che un pesce passi così vicino da poterlo colpire e catturare grazie a fucili lunghi almeno 110 centrimetri.
Sott’acqua è poi possibile raccogliere i prelibati (e sempre più rari) “frutti di mare”, che si estraggono spesso con un semplice coltello. Tra questi i ricci, i “musci”, le “noci”. Mentre è ormai vietata la pesca dei “taratuffi” e dei datteri. Per questi ultimi infatti è necessario spaccare con dei martelli la roccia calcarea nella quale trovano posto, andando così a rovinare tutto il fondale. C’è però chi continua illegalmente a prenderli per poi venderli al prezzo di 50 euro al chilo, rischiando però multe pesantissime.
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