Quando a Bari Vecchia giravano i "materassai": «Ridavano vita ai letti imbottiti di lana»
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venerdì 10 settembre 2021
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di Gaia Agnelli
Si trattava di una sapiente ma umile professione, come tante altre che contraddistinguevano un tempo il povero centro storico cittadino. Dal parambrèlle (l’ombrellaio) all’mbagghiasègge (l’acconcia sedie), dalla vammàre (la levatrice) alle fèmmene de le pezze vecchie (le donne che raccoglievano la roba vecchia), vi abbiamo già raccontato dei tanti mestieri, spesso ambulanti, che venivano praticati per “tirare a campare”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lavori che non sono più esistenti. I materassai, ad esempio, scomparvero infatti intorno agli anni 70, quando l’avvento della nuova tecnologia delle molle andò a sostituire la voluminosa lana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nella città antica c’era in particolare una famiglia che si specializzò nella cura del vello su cui dormivano i baresi. Erano i fratelli Capriati: Gaetano, Domenico e Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Gaetano era mio padre – ci racconta la 70enne Antonia –. Lui, come i miei zii, impararono negli anni 40 a usare l’ago saccurale (detto in dialetto sàcrale) da mio nonno Domenico, che cuciva le reti per i marinai. Ma, consigliati anche dal padre, preferirono investire le proprie capacità in un mestiere più richiesto. E divennero le fràte màterazzare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I tre cominciarono quindi a bussare ai sottani di Bari Vecchia per offrire la loro preziosa opera. Sempre nei mesi caldi, perché le alte temperature permettevano all’imbottitura di asciugarsi al sole velocemente. In più era quello il periodo in cui ci si sposava e così nasceva il bisogno per le famiglie di far trovare il corredo pronto e pulito per la sposa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma come si svolgeva il loro lavoro? Il primo passaggio era quello di scucire la fodera del letto per tirarne fuori la lana che, una volta lavata a mano, veniva raccolta in un lenzuolo e stesa sul pavimento, davanti alla porta dell’abitazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«E quando la lana era asciutta per noi bambini diventava perfetta per dei “soffici” tuffi – ricorda la barese Enza –. Anche se i vestiti che indossavamo attiravano i cumuli di batuffoli che cominciavano a prudere. Senza contare, naturalmente, i rimproveri della nonna».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A tuffi finiti aveva inizio la fase della cardatura, ossia il processo in cui separavano tra di loro i batuffoli, così da liberare la lana dalle impurità e districarne le fibre, restituendole il volume e la morbidezza che aveva perso durante l’anno. Un compito eseguito sia dalle padrone di casa che dai materassai, aiutati da strumenti e macchinari utili a pettinare il vello, come i cardacci o le cardatrici.
Il lavoro però si faceva più faticoso quando al posto della lana c’era il crine, un sostituto più economico e maggiormente soggetto alle impurità. «Questo materiale d’altronde era molto fresco – sottolinea Antonia –. E quindi c’era anche chi riempiva il letto sia di lana che di crine: la prima veniva utilizzata d’inverno, il secondo, girando il materasso, nei mesi estivi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La fodera nel frattempo, anch’essa lavata e lasciata asciugare al sole per un giorno, veniva stesa su delle sedie, pronta per essere nuovamente imbottita con la lana appena “rinvigorita”.
«Era la parte più difficile – spiega la donna –. La riempitura partiva dai lati, stando attenti a non lasciare spazi vuoti o troppo pieni. Poi si doveva richiudere la “bocca” ricucendo dal centro verso il perimetro con l’aiuto di uno spago. Quest’ultimo era fatto passare attraverso dei fori per permettere alla lana di non spostarsi più».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così il letto era pronto per essere utilizzato un altro anno. «Il materasso diventava alto, morbido e profumava di pulito – ricorda con nostalgia il 67enne Michele –. Prendevi subito sonno su di esso e dormivi benissimo, per poi svegliarti pronto ad affrontare un’altra dura giornata».
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I commenti
- Giovanni Colonna - Imiei zii materni erano famosi materassai Uno abitava e aveva il laboratorio in via Roberto il Guiscardo e l'altra in via Cardassi. Si chiamavano Ferrarese e operavano fin dalla prima guerra mondiale.
- Vito Petino - A giugno del 48 zio Giovanni prese in fitto una piccola masseria con un fondo coltivabile adiacente. La casa rurale aveva sei stanze tutte a piano terra. Era situata di fronte al lido di San Francesco alla Rena. E con zia Caterina e i loro cinque figli si trasferirono, lasciando l'appartamento nel portone di via Napoli 6. Marietta, la figlia più grande già sposata, abitava con marito e figli per conto suo. Zio Giovanni, originario di Castellana Grotte, pensò di realizzare un suo vecchio sogno. Ritornare a fare il contadino come da giovane, ma con un fondo agreste suo. I primi tempi, con l'aiuto delle braccia dei suoi ragazzi, riuscì a tirar fuori da quel fazzoletto di terra coltivato a ortaggi il necessario per la famiglia, oltre a derrate in sovrappiù, che ogni mattina portava al vicino mercato generale. Il ricavato era sufficiente per sopperire agli altri bisogni casalinghi e personali. Ma dopo quattro anni il terreno, già impoverito dalle precedenti coltivazioni di chi lo conduceva prima di lui, non dava più una produzione sufficiente. Così fu abbandonato. Per vivere, zio Giovanni si inventò fabbricante di sapone in barre lunghe anche mezzo metro; tagliato a pezzi all'occorrenza dalle massaie, che lo utilizzavano soprattutto per il bucato. Andava in giro per macellerie a raccogliere frattaglie, che scioglieva con la soda in un grosso bidone posto su due tufi con in mezzo un fuoco alimentato a legna. Ma i guadagni non erano sufficienti. Era in arretrato con il pagamento dei fitti. Il proprietario della masseria, per andargli incontro, suddivise le sei stanze in tre appartamentini di due vani. Zio Giovanni si tenne il primo a sinistra, riducendone il canone di molto. E a quel punto zia Caterina, con l'aiuto di Felicetta, la più grande dei figli ancora in casa, tirò fuori la serie di aghi lunghi, corti e ricurvi, prese forbici e occhiali, il tutto riposto nel cassettone in fondo all'armadio, comprò spago, fiocchettini e altro per le rifiniture, e tornò al suo vecchio mestiere di materassaia, che già svolgeva con lauto profitto nella vecchia abitazione, andando casa per casa di vecchi e nuovi clienti. Solo così le finanze familiari tornarono in attivo. E fra i suoi e i guadagni di zio Giovanni poterono sposare gli altri cinque figli, e permettersi vita più agiata, ritrasferendosi in città in un grande appartamento al primo piano di via Brigata Regina. Tante volte è venuta a casa nostra a rifare i materassi di tutti noi. Naturalmente soldi non ne prendeva, ma mia madre, sua sorella più piccola, ricambiava con qualche chilo di pasta, un po' di barattoli di salsa e qualche bottiglia di olio. A noi regalava uno dei divertimenti più belli per quell'età. Una volta sventrati i materassi, il crine interno veniva sparso sul pavimento per rifargli prendere volume e aria. Noi ci tuffavamo sopra, scomparendo in quelle montagne di crine. Meno male che a sei, sette anni non soffrivo ancora di allergie...
- Miki - Mio zio Mauro Ferrarese era un "Materassaio" della prima ora, però non ricordo se andasse in giro a confezionare materassi, ricordo però che avevano una attività insieme ai suoi fratelli (Filippo e l'altro non ricordo il nome) a Bari vecchia, poi trasferitisi in Via Carulli vicino alla Madonnella.