I vilipesi tesori archeologici di Ceglie del Campo, la città più antica di Roma
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mercoledì 25 novembre 2015
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di Katia Moro
A testimoniarlo sono gli scritti di storici greci come Erodoto o Strabone che collocano l'approdo degli Illiri in Puglia 400 anni prima della guerra di Troia. E noi oggi ignoriamo che questo ex paese, ora quartiere della periferia sud di Bari, vanta vetuste origini e un passato glorioso. Nonostante le indagini svolte negli ultimi anni dalla Soprintendenza archeologica della Puglia, più di 3000 anni di storia rimangono ancora oggi sepolti dall’oblio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Eppure tre vaste necropoli che vanno dal IX al IV secolo a.C., i resti della più estesa cinta muraria peuceta del barese e numerosi ipogei, documentano ancora oggi l’antichità del sito. Resti archeologici preziosi che qualunque altra città al mondo avrebbe sfruttato come risorsa da promuovere e propagandare e che invece le istituzioni locali continuano a dimenticare. E per alcuni di essi, vilipesi e oramai sepolti e tumulati per mancanza di fondi o disinteresse o ancora dispersi o chiusi indebitamente nelle abitazioni di privati e non più fruibili al pubblico, non c’è più alcuna possibilità di recupero.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Promotore di un tentativo di valorizzazione e riscoperta si sta rendendo al contrario un giovane abitante del quartiere, il presidente dell’associazione culturale “Kailia”, il 38enne Giuseppe Laricchia. Abbiamo quindi accolto volentieri il suo invito di andare alla scoperta dei segreti nascosti e abbandonati dell’antica Ceglie del Campo. (Vedi foto galleria)
Il nostro viaggio parte dal castello costruito intorno al II secolo a.C, che presenta ancora un’imponente torre normanna con base romana in pietra e tufo. Tra il castello e un palazzo settecentesco, si apre la via Minucia, parallela e precedente alla via Traiana, che costituiva la strada romana interna che collegava Modugno, Ceglie del Campo, Capurso, Rutigliano, Noicattaro e Conversano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questa stessa zona vi era anche la Piazzetta Piscina, così chiamata perché presentava un ampio vascone di epoca romana. «Ma purtroppo sorge in un terreno privato ed è stato tutto interrato – racconta Giuseppe - . Stessa sorte ha subito un altro clamoroso ritrovamento di epoca peuceta emerso in via Francesco Rubini: nel 2011 sono stati effettuati degli scavi per rifare le tubature dell’acquedotto e per puro caso è stata rinvenuta una tomba di 2500 anni fa con ancora i resti di un bambino. Ma operati i necessari rilievi da parte della Soprintendenza, portate via le ossa e il corredo funebre, è stato sepolto nuovamente ciò che è rimasto (compreso un mosaico romano) per non interrompere i lavori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un altro esempio di importante testimonianza persa per sempre è costituito dalla preziosa fornace del IV secolo d.C. ritrovata tra via San Nicola e via De Candia. «Una volta scoppiata una diatriba tra il Comune e l’Opera Pia proprietaria di quel terreno, su chi avrebbe dovuto assumersi l’onere dei necessari lavori di studio e manutenzione, si è ben pensato di risolvere la questione facendola scomparire per sempre sotto cumuli di terra e bitume», afferma sempre la nostra guida.
Amareggiati, proseguiamo il nostro percorso questa volta alla scoperta della più antica necropoli del luogo. La cerchiamo a ridosso di una delle due lame su cui Ceglie del Campo sorge: lama Fitta. Quando i Peuceti, sottotribù degli Illiri, pervennero in questa terra, infatti si imbatterono in una civiltà non dissimile dalla Mesopotamia, cioè collocata tra due fiumi: lama Fitta e la lama Picone, le cui abitazioni erano ricavate nelle grotte.
Il vecchio sepolcreto sorge su una via di collegamento che giungeva sino a Taranto. Detta strada è riemersa in parte nel corso di scavi operati sotto l’attuale cimitero, ma anche questo tratto è stato sepolto per sempre. L’antica necropoli risalente al IX/VIII secolo a.C, ha trovato la luce in seguito ai lavori di ampliamento del cimitero moderno intorno al 2000: si tratta quindi di una necropoli nella necropoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Vi accediamo tramite un cancello semichiuso da una catena che oppone una debole resistenza. Giuseppe ci avverte che sono state apposte delle telecamere sulla zona ma non c’è neanche un cartello che vieti l’accesso. E soprattutto neanche un cartello che indichi l’incredibile viaggio nel passato che si effettua varcando il vecchio cancello in ferro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo i primi passi, ci imbattiamo subito in alcuni basamenti con dei piccoli crateri che servivano a far fuoriuscire il fumo prodotto dall'accensione dei fuochi nelle stanze ricavate nella roccia. In quest’area infatti in antichità oltre alle sepolture vi erano anche delle abitazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo il nostro cammino e scopriamo un sepolcreto che per estensione è almeno il doppio di quello ben più noto e frequentato di Egnazia. Vi sono tombe a fossa, grandi e piccole, raggruppate o isolate, tutte ricoperte da erbaccia, abbandonate e prive di insegne o didascalie. Ogni tanto emergono cartellini con numeri che svelano il precedente passaggio della Soprintendenza che ha iniziato a studiare e catalogare le sepolture intorno al 2000 ma che poi, per interruzione di fondi o semplice disinteresse, ha abbandonato il tutto a un incomprensibile destino di silenzio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Passeggiando ci capita di pestare anche piccoli reperti: manici e frammenti di vasi in terracotta bianca o nera. «Ogni tomba poteva arrivare a contenere un corredo funebre di almeno 60 vasi – sottolinea Giuseppe –. Immaginate, data la facilità di accesso e lo stato di abbandono, quanti ne sono già stati trafugati e quanti oggi costituiscono il corredo ornamentale di famiglie locali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la guida ci assicura che le sorprese non sono terminate e ci invita a scoprire un’altra necropoli che raggiungiamo proseguendo idealmente il tracciato delle mura innalzate dai Peuceti quando si stanziarono in zona intorno all’VI–V secolo a.C, delle quali è rimasta oramai solo qualche traccia. Si trattava di più di cinque km di mura con uno spessore di cinque metri che abbracciavano tutta la zona che si estende da lama Fitta al lama Picone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E mentre siamo nel vasto vallone della prima lama, tra decine di ulivi secolari, Giuseppe non manca di farci notare un complesso di case popolari in via Manzari su cui spicca una palazzina spostata in avanti rispetto al rettilineo seguito dalle altre. «Mentre la costruivano – sottolinea - hanno scoperto una chiesa rupestre sottostante, contemporanea a quella più nota di Santa Candida a Bari e risalente all’VIII secolo d.C.. Non potendo abbatterla ci hanno costruito sopra costretti a far avanzare il prospetto dell’edificio e lasciandola al possesso dei condomini. Ma oggi non è più visitabile perché in forte stato di degrado e impraticabile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E questo è lo stesso destino che ha accomunato i numerosi ipogei del IV secolo a.C. presenti in via Gorizia (e via Corticelli), strada centrale che parte dalla torre normanna del castello e arriva sino alla lama Fitta. «Sono tutti sepolti dalle signorili abitazioni costruite a partire dalla seconda metà dell’800 – sostiene un altro appassionato di storia locale, Gaetano Di Monte -. Oggi non sono più visitabili perché gelosamente custoditi da cittadini che temono un intervento della Soprintendenza archeologica che possa costringerli a abbandonare la propria abitazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Giungiamo così in una zona più “nuova”: le due necropoli del IV secolo a.C. in via San Gaspare del Bufalo, al confine con Carbonara e ci troviamo di fronte all’istituto scolastico superiore: l’“Elena di Savoia – Calamandrei”. Nel 1990, in occasione dei lavori per l'edificazione della scuola, sono state ritrovate tombe a fossa collocate oggi nel cortile esterno del plesso e recintate. Questa rilevante scoperta portò a proseguire gli scavi e furono ritrovate altre tombe di grande spessore archeologico: una necropoli e resti di abitato del IV e III secolo a.C. oggi visibili all'interno dell'edificio scolastico, nei suoi sotterranei. Vi sono tombe a semicamera, a sarcofago e a fossa con tanto di illuminazioni, passerelle e indicazioni. Parte di ciò che è stato rinvenuto durante gli scavi (anse, anfore, piatti e ossa umane), è stato catalogato e ora è visibile in teche all’interno dell’istituto. Le due necropoli sono però chiuse al pubblico nonostante le continue richieste del dirigente scolastico rivolte alle istituzioni per aprire un museo didattico di grande valore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sono tante le ricchezze non ancora visitabili o andate irrimediabilmente perse – conclude amaramente Giuseppe -. Sappiamo che Ceglie aveva coniato monete già nel 350 a.C. ma di esse non è rimasta nessuna traccia nel territorio, sono tutte disperse, così come i vasi, tra i musei di Londra, Berlino e Boston. Recentemente per puro caso ho scoperto che era stata allestita una mostra, visitabile sino al mese di maggio, al Getty Museum di Los Angeles in cui erano esposti vasi di Ceglie del Campo. Le nostre autorità cittadine erano ignare di tutto. Nei depositi dell’ex museo archeologico di Bari sono del resto ancora sepolti e abbandonati 700 reperti catalogati e mai esposti. Quando ci riapproprieremo di tutto questo?».
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
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Katia Moro
Katia Moro
I commenti
- Anna Sciacovelli - Nei sotteranei della scuola Calamandrei puoi ancora trovare i reperti di una città funeraria.
- SAVERIO. - recuperiamo al piu' presto questo tesoro,non e' giustificato un comportamento negativo da parte delle istituzioni,in primis il dicastero statale dellebelle arti.attivare un controllo sull'amministrazione locale di bari per salvare il patrimonio di ceglie e non solo.
- Giacinto Sciacovelli - L'Associazione Nazionale Carabinieri e nello specifico il Nucleo di Volontariato di Bari Carbonara, viistante la mancanza di fondi, offre la propria disponibilità per garantire servizio di vigilanza visiva presso i siti archeologici dell'Istituto Calamandrei durante le visite guidate. Ciò allo scopo di valorizzare un patrimonio archeologico sconosciuto ai più. Il Presidente C.re Giacinto Sciacovelli
- annamaria - io sono una guida turistica del territorio,formata con un corso triennale proprio in quell'istituto,alcuni dei reperti in vetrina li abbiamo puliti noi,catalogati.....ma tutto ad un tratto chissà per quele magia,la cooperativa formata da tanti ragazzi è sparita nel nulla,ed ad oggi io aspetto ancora risposte di dove siano finiti quei soldi che servivano per creare un'impresa di guide...non finirò mai di gridarlo...è tutta una vetrina per certi personaggi che oggi si riempiono la bocca di territorio e che quando potevano fare qualcosa....non hanno mai aperto bocca nelle giuste sedi...