Ipogei, chiese e affreschi: è la grande, antica e dimenticata masseria Torre Reddito
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mercoledì 29 novembre 2017
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di Luca Carofiglio
La struttura fu eretta nel 1501 per volere dell'energica Isabella d'Aragona, prima donna della storia al governo del capoluogo pugliese. Fu concepita per gestire i fondi agricoli confinanti e allo stesso tempo allevare gli animali posseduti della sovrana. Pochi anni dopo venne donata ai Tanzi, la famiglia più ricca della città prima dell'Unità d'Italia, che la amministrò addirittura fino al 1878 realizzando diversi ampliamenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da allora per “il castello” cominciò un lungo periodo di oblìo, fino a quando all'alba del nuovo millennio venne rilevata da Nino Battista, imprenditore triggianese, con l'intento di ristrutturarla e trasformarla in un agriturismo. Il progetto però è stato finora fermato dalla Soprintendenza per i beni culturali, tant'è che il proprietario è stato costretto a limitarsi a una semplice messa in sicurezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi insomma la tenuta rientra nel malinconico elenco delle 14 masserie in disuso sparse nella Terra di Bari. Noi però abbiamo contattato Battista per farci spalancare le porte del suo podere, avendo così il privilegio di visitare questo gioiello dimenticato. (Vedi video)
Per raggiungerlo partiamo dal parcheggio dell'Ikea, l'ipermercato che caratterizza la zona industriale del quartiere barese di Mungivacca e imbocchiamo strada Crocifisso. Procediamo lungo la stretta arteria per circa un chilometro e mezzo, costeggiando anche la graziosa chiesetta della Madonna del Carmelo ed entrando nel territorio comunale di Triggiano. Svoltiamo quindi a sinistra in una viuzza che si fa largo tra estesi campi coltivati. Dopo averla percorsa per 200 metri giungiamo così dinanzi all'ingresso monumentale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'accesso è incastonato nella cinta muraria che funge da perimetro del sito. È costituito da un cancello in ferro grigio inglobato in un arco a tutto sesto in pietra: quest'ultimo ha una chiave di volta decorata con un giglio, lo stemma dei Tanzi. A schiudere l'inferriata ci pensa Giovanni, amico del padrone, che ci fa da guida.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Muoviamo i primi passi nel cortile, dove spuntano qua e là dei fichi d’india. Di fronte a noi svetta la facciata dell'edificio principale: si sviluppa su due livelli ed è contraddistinta da un colore grigio sfumato a tratti dal verde del muschio. Le finestre del secondo piano, di cui una parzialmente murata, sono puntellate da assi di legno e sovrastate da timpani abbelliti da altri gigli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo la soglia, ritrovandoci in un grande ambiente illuminato da un'apertura rettangolare. Qui un tempo c'era presumibilmente un frantoio: in un angolo dello stanzone spiccano infatti tre macine usate per ottenere l'olio dalle olive. Sulla parete opposta si aprono due nicchie: una piccola, contentente un'edicola votiva e una decisamente più spaziosa, dove secoli fa era forse in funzione un forno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo in un vano attiguo da dove è possibile addentrarsi nei sotterranei. Muniti di torcia scendiamo una piccola rampa che sbuca in un ipogeo: riadattato su cavità naturali preesistenti, pare fosse parte di un'antica via che correndo sotto la superficie collegava Bari e Triggiano. Il passaggio inoltre si intersecava probabilmente con altri due sentieri che portavano a Noicattaro e a San Giorgio, formando quindi un sistema a tre vie chiamato in latino Trivianum, termine da cui deriva il nome di Triggiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attorno alla cavità ci sono diversi corridoi, tutti da percorrere facendo attenzione a non battere la testa sul basso soffitto: li scandagliamo osservando alcune vasche in pietra, dove in origine venivano conservati al fresco i prodotti agricoli raccolti nei dintorni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Facciamo quindi il percorso a ritroso per tornare di sopra e ammirare i piani nobili dell'immobile. Per raggiungere il primo percorriamo una scala in legno allestita nel frantoio in sostituzione di quella originale, andata purtroppo perduta. «Qui qualcuno ci abita - ci avverte sorridendo Giovanni -. Una volpe si aggira tra queste stanze: io l'ho incrociata diverse volte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Approdiamo quindi in un ambiente che ospita i resti di un forno adoperato per cuocere il pane e confina con il salone principale. Le pareti di quest'ultimo sono tutte affrescate con motivi floreali, la cui bellezza è però messa alla prova da alcuni scarabocchi lasciati da alcuni vandali. Una scritta tracciata con una bomboletta spray blu in particolare deturpa una parte di muro che un tempo ospitava un dipinto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Capita che alcuni scavalchino la recinzione esterna per ripararsi qui dentro e drogarsi lontano da occhi indiscreti - evidenzia Giovanni -. Qualche gruppo di ragazzini addirittura tra queste mura ha trascorso la Pasquetta: lo si scopre leggendo ciò che hanno inciso sulle pareti». E laddove non arriva la mano degli "ospiti" interviene l'inesorabile trascorrere del tempo: il soffitto, impreziosito da raffigurazioni di coppe e di ulivi e fregi rossi sta andando in rovina a causa di visibili crepe e pezzi di volta che pian piano si staccano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da un grazioso ballatoio in pietra piazzato su un terrazzino saliamo le scale per il secondo piano. Qui la costante è il colore giallo dei vari muri: un dominio cromatico contrastato solo da coppe, ghirlande e piante dipinte di rosso. E’ adornata allo stesso modo quella che sembra essere la "zona notte”, segnalata da un avvallamento del pavimento dove probabilmente erano piazzati accessori per l'igiene intima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scarpiniamo quindi su un'altra rampa che porta al terrazzo: da quassù il panorama sull'agro di Triggiano con i nuvoloni che avanzano minacciosi è davvero suggestivo. Facciamo poi retrofront e torniamo nel cortile dove era cominciato il nostro viaggio per visitare due interessanti edifici secondari. Su lato sinistro dello stabile principale c'è infatti un fabbricato con diversi accessi. «Erano delle stalle - spiega il nostro accompagnatore -. Qui i vecchi proprietari accudivano i propri animali».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul lato destro ammiriamo una piccola cappella dedicata alla Madonna Addolorata, i cui interni sono completamente affrescati. Un altare in pietra è posizionato davanti a una parete che un tempo accoglieva un quadro della Vergine: ai lati dello spazio vuoto sono ancora visibili però due angeli. La volta a botte ha invece un colore bruno, intervallato da sottili decorazioni in marmo bianco che formano delle semplici figure geometriche. La chiesetta è insomma la parte meglio conservata del complesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Usciamo dal luogo di culto e in lontananza udiamo il guaito della volpe: decidiamo così di andar via, evitando di disturbare ulteriormente quello che probabilmente è l'ospite più civile che si sia mai rifugiato in questa grande, antica ma dimenticata masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
Nel video (di Gianni de Bartolo) la nostra visita alla masseria Torre Reddito:
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Luca Carofiglio
Luca Carofiglio
I commenti
- egidio - Un vero peccato vedere l'abbandono in cui versa la masseria. l'agriturismo l'avrebbe salvata dallo sfacelo. gente ottusa.