I videogames diventano uno sport: giocatori di ''Fifa'' come i calciatori
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giovedģ 4 dicembre 2014
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di Stefania Buono
A parlare è Michele Bertocchi, il responsabile nazionale del neonato settore Gec (Giochi elettronici competitivi) dell’Asi, che raggruppa le associazioni “sportive e sociali” italiane. L’Asi è riconosciuta ufficialmente dal Coni e in quanto tale è in grado di fornire un tesserino ufficiale da atleti a tutti coloro che ne fanno parte, compresi gli ultimi arrivati: i “professionisti del videogioco”. Perché di questo stiamo parlando: dallo scorso novembre anche un giocatore professionista di “Fifa” è ora considerato uno sportivo, proprio come un calciatore vero.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La decisione, a detta dell’Asi, sarebbe stata presa con l’obiettivo primario di elaborare regole volte a disciplinare le attività dei giocatori. «Se un torneo non è regolare, non ha alcuna chance di essere preso in considerazione né dai player né dagli altri organizzatori di eventi – sottolinea il responsabile del Gec - . Per questo motivo uno dei nostri obiettivi principali è stata la creazione di una serie di regole universalmente riconosciute in Italia da chi organizza e da chi partecipa a tornei di videogiochi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sarà, ma come può un videogame essere considerato alla stregua di uno sport? «Per noi il videogioco competitivo è uno sport – risponde Bertocchi -. La passione, la dedizione, la concentrazione mentale, la soddisfazione e la delusione sono le stesse sia in un nostro torneo che in una gara di uno sport tradizionale. Il gameplay è un’attività competitiva al pari di quelle sportive per eccellenza».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Questa idea deve aver incontrato evidentemente anche i favori del Coni, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che forse per aumentare il numero dei suoi tesserati, senza battere ciglio ha deciso di elevare il videogioco a un livello più alto, come del resto aveva già fatto con discipline quali il bridge, gli scacchi e la dama. Una decisione che però fa storcere il naso a chi lo sport, quello vero, lo insegna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Per definizione l’atleta è colui che si mette in campo con delle abilità motorie e mentali – dichiara il professore e coordinatore della facoltà di Scienze motorie di Bari, Francesco Fischetti - . Il videogioco di fatto è invece solo un grande business, che può aiutare il mercato ma non produce nulla sul piano del benessere. Non fa altro che favorire una nevrosi da stress legata alla voglia di vincere, ma rimanendo seduti e ciò non c’entra nulla con l’essere sportivo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In effetti la sedentarietà dovrebbe essere l’esatto contrario dell’attività fisica e spesso i videogiochi diventano vere e proprie “droghe” che costringono a rimanere ore ed ore davanti alla tv o al pc, non accorgendosi del tempo che passa. C’è anche chi diventa dipendente dai videogames.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma l’Asi butta acqua sul fuoco. «E’ vero, un ragazzo in camera sua, lasciato da solo, può giocare anche 14 ore di fila davanti al computer. Ma noi, avendo i suoi dati e le sue statistiche possiamo dirgli che se lo fa, non partecipa ai nostri tornei. Il nostro motto è "giocare meno e giocare meglio"», afferma Achille Sette, responsabile della segreteria generale dell’Associazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma il dubbio rimane. A prescindere da quanto tempo si passi accanto alla consolle, non è pericoloso far passare il concetto che “videogioco è uguale sport”? «Certo, soprattutto per i ragazzi – sottolinea Serena Pompilio, insegnante di Scienze Motorie -. Invece di spingerli a uscire di casa, a fare del movimento e ad alzarsi dal divano, con questa decisione si arriva quasi a lodare il fatto di restar seduti a giocare davanti al televisore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla fine tutta la questione rimane però legata a una parolina, usata anche da Bertocchi: “competizione”. Se è la competizione l’anima dell’attività sportiva allora a quel punto anche una gara di videogame o di dama o di bridge può e deve essere considerato sport.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sì ma il termine “competizione” ha un significato molto ampio – risponde Fischetti – e non bisogna comunque dargli un’accezione sbagliata. Il competere è il misurarsi con abilità motorie e mentali. Ma se manca la motricità, se si sta fermi come quando ci si sfida a un videogames o si gioca a carte, rimane solo l’agonismo, di tipo non sportivo. Se passa il concetto per cui l’agonismo o la competizione in senso ampio è sport, a quel punto anche lo scrivere il più velocemente possibile a un computer può diventare una gara olimpica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E allora da questo momento in poi aspettiamoci di tutto. Magari un giorno alle Olimpiadi guarderemo un giocatore di “League of Legends” salire sul podio più prestigioso con la medaglia d’oro al collo mentre canta l’inno di Mameli. Visti i presupposti, non pare così improbabile.
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Scritto da
Stefania Buono
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