Gioia del Colle, il Mulino Pagano: lì dove durante la Guerra furono internati 59 ebrei
Letto: 10607 volte
lunedì 8 aprile 2019
Letto: 10607 volte
di Nicola Imperiale
Questo “luogo della memoria” si trova alla fine di via Paolo Cassano, la strada che diventa provinciale 235 e porta a Santeramo in Colle. Provenendo da Gioia del Colle il fabbricato appare sulla sinistra, con il suo prospetto neoclassico completamente ricoperto da un ponteggio in ferro protettivo, che gli regala un aspetto ancor più solenne. (Vedi foto galleria)
Sul timpano della facciata, caratterizzata da finestre ad arco e tetto a falde, si impone la scritta a caratteri cubitali: “Molino a cilindri e pastificio a vapore”. Perché come detto questa era prima di tutto un’industria, costruita nel 1902 dalla famiglia Pagano, di origine turese. Lo si capisce anche dalla ciminiera che appare sul lato sinistro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fu solo dopo l’emanazione delle famigerate leggi razziali del 1938 e l’entrata in guerra dell’Italia, che il Governo fascista scelse l’edificio come campo di prigionia per gli ebrei. L’industria, seppur isolata, si trovava infatti a due passi dal centro abitato di Gioia: una posizione geografica ideale. E così nell’aprile del 1940, ben 59 persone, quasi tutte italiane, furono internate nello stabile messo a disposizione dall’allora proprietario Angelo Lattarulo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel cortile erano posti i servizi igienici, mentre al piano terra si trovavano la mensa, gli uffici del direttore e il presidio dei Carabinieri. Il primo livello era quello adibito a dormitorio, invece il secondo veniva utilizzato come zona di ricovero per eventuali ammalati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per fortuna, durante il loro periodo di permanenza forzata in Puglia, gli ebrei trovarono nella popolazione locale un valido alleato contro lo sconforto e l’umiliazione. I rapporti con i paesani furono da subito basati su cordialità e collaborazione: i residenti fornivano vestiti e cibo fresco, dando così un mano a persone innocenti che si trovavano lì solo a causa di aberranti disposizioni razziste.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«E gli “ospiti” riuscirono anche a ricambiare le cortesie ricevute - sottolinea Francesco Giannini, esperto di storia locale -. Tra di loro si trovava un medico, il polacco Marco Halpern, che per tutta la durata della reclusione curò di nascosto i gioiesi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A differenza di altri centri di prigionia, come la “Casa rossa” di Alberobello, il mulino operò solo per pochi mesi: nel dicembre del 1940 infatti il ministero decise la soppressione del campo per motivi di sicurezza, vista la sua vicinanza con il nascente aeroporto militare. Dal gennaio al giugno dell’anno successivo gli internati lasciarono quindi Gioia per essere trasferiti nei disumani campi di concentramento tedeschi, lì dove 12 di loro troveranno la morte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi, a testimonianza di questi dolorosi avvenimenti non rimane che il grande mulino. Struttura che dopo un periodo di abbandono e successivo utilizzo come deposito da materiali di costruzione, è stata acquistata da alcuni imprenditori per farne un albergo. Ma i lavori sono stati interrotti subito dalla Soprintendenza, che ne ha riconosciuto il valore culturale e storico. Perché questa non è una storia che può essere dimenticata facilmente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Nicola Imperiale)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Nicola Imperiale
Nicola Imperiale