Le storie della "Casa rossa", triste campo d'internamento caduto nell'oblìo
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lunedì 29 maggio 2017
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di Antonella Liuzzi - foto Nicola Imperiale
Costruita alla fine dell’Ottocento dal sacerdote Francesco Gigante, alla morte del prelato fu adibita a scuola di agraria, destinazione che ha mantenuto fino al 1939, per poi diventare dal 1940 un carcere fascista. I primi prigionieri furono 18 indiani con cittadinanza italiana ma passaporto inglese, catturati poiché diventati “nemici” dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Gran Bretagna. A questi si aggiunsero, nel periodo tra il 1940 al 1943, centinaia di ebrei italiani, polacchi e cecoslovacchi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo la caduta del regime però, tra il 1944 e il 1946, gli “ospiti” della Casa mutarono. Ad essere internati questa volta furono proprio i fascisti pugliesi che avevano ricoperto alte cariche all’interno delle istituzioni mussoliniane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E arriviamo al 1947, quando a essere chiuse nella masseria sono alcune donne “indesiderabili”: ex collaborazioniste di tutta Europa, ma anche prostitute e sbandate. Tra di loro mamme che porteranno all’interno della struttura anche i propri figli. La Casa Rossa cesserà il suo ruolo di campo di internamento solo nel 1949, dopo aver “accolto” anche clandestini, ladri e vagabondi provenienti dall’Europa centrale e dell’est.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Trasformata per una ventina d’anni in Centro di rieducazione minorile maschile (di fatto un altro carcere) e in seguito in istituto scolastico e addirittura sede di un’emittente televisiva, dagli anni 90 è praticamente caduta nell'oblìo. Nel 2007 la Regione Puglia l’ha dichiarata bene di interesse storico-artistico e qualche anno fa è stata anche acquistata da una cordata di privati con l’intento di recuperarla, ma nonostante tutti questi bei propositi la masseria continua a rimanere abbandonata, in balia di vandali e agenti atmosferici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo andati a visitare la Casa Rossa (vedi foto galleria), che sorge su un’altura in contrada Albero della Croce, a circa 3 km dal centro di Alberobello. A guidarci Luca De Felice, presidente dell’associazione Sylva Tours and Didactics, che ogni anno ad agosto mette in scena nei campi adiacenti la struttura la rievocazione storica “La Notte dei Briganti”.
La masseria si sviluppa su tre piani ed è costituita da circa trenta vani di varia grandezza. Già dall’esterno si nota il grave stato di conservazione in cui versa, con il rosso delle mura sempre più sbiadito. Accanto al corpo di fabbrica ottocentesco vi sono anche quattro trulli, anch’essi in avanzato degrado, che costituiscono la parte più antica del complesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sulla facciata principale vi è un grande portone d’ingresso alla cui sommità è riportata la data di fondazione della scuola di agraria: 1887. Dopo aver varcato la soglia, stanziamo nell’atrio con volte a botte e siamo colpiti dallo stato d’incuria in cui vigono gli interni della struttura. Sui muri scritte di vario tipo e su una porta addirittura una croce celtica. Stesse immagini che si presenteranno in tutti gli altri ambienti che visiteremo in seguito, segno che la Casa è altamente frequentata da vandali che vi entrano indisturbati non curanti dei divieti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una porta conduce a un corridoio su cui si affacciano una decina di stanze. Scendiamo un paio di gradini e siamo in un locale che si affaccia direttamente su un grande atrio interno dove è facile immaginare un tempo i detenuti intenti a conversare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E’ ora di salire al piano superiore. Una scala ci accompagna in un lungo corridoio su cui ci sono gli ambienti dove un tempo erano sistemati i letti dei prigionieri. Tra i tanti che sono passati di qui, va ricordata la storia del musicista austriaco (ebreo) Charles Abeles.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Un facoltoso proprietario di Alberobello di nome don Ciccio Nardone – ci racconta De Felice – scoprì che nel campo si trovava un musicista e con il pretesto di dare lezioni a sua figlia, lo ospitò a casa sua dove lo curò e rifocillò. Si creò un forte legame tra i due tanto che Abeles per ringraziare il suo benefattore gli dedicò un componimento: “La felicità”. Durante la sua prigionia poi si convertì al cristianesimo e prese il nome di Francesco: lo stesso di Nardone, che fu suo padrino di battesimo»
Ma quella di Abeles è solo una delle mille storie che aleggiano nella Casa. Uscendo dalla struttura si nota una porta di legno con una croce alla sua sommità: è l’entrata di una piccola cappella completamente affrescata nel 1948 da Viktor Tschernon, profugo lituano internato nella Casa Rossa. Con i materiali poverissimi che aveva a disposizione realizzò, tra l’altro, il ciclo degli episodi più importanti della vita di Santa Chiara e San Francesco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’ultima sorpresa della masseria ce la offre il seminterrato, lì dove è presente la scocca di una Balilla degli anni 30, forse l’auto del direttore del campo d’internamento durante il periodo fascista: il podestà Donato Giangrande.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che abbandonare la Casa Rossa, un edificio che meriterebbe una maggiore considerazione vista la sua grande storia. «Ma forse è proprio questo il motivo del suo abbandono - ci rivela De Felice -. La masseria è stata sempre vista come un luogo di sofferenza, come un qualcosa di cui non essere fieri ma da allontanare: se non fisicamente almeno nelle coscienze».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Antonella Liuzzi
Antonella Liuzzi
Foto di
Nicola Imperiale
Nicola Imperiale
I commenti
- riccardo strada - Sono uno della cordata di imprenditori che hanno rilevato circa 10 anni fa la struttura. Posso solo dire che è molto facile commentare dall'esterno senza sapere che un immobile del genere puo' funzionare solo con l'ausilio del pubblico altrimenti non puo' dare alcun reddito e questa volonta' , benche' sollecitata non c'e' mai stata. Colgo l'occasione per far presente che un edificio del genere ben si ssrebbe prestato a sede dell'ecomuseo della Valle d'itria con un ostello per bikers e valorizzando il territorio con manifestazion i permanenti di Land Art nel bosco e nei terreni circostanti, ma purtroppo il campanilismo e le gelosie dei sette comuni che costituiscono l'ecomuseo non credo lo permetteranno.
- Huibert - I was inside the Casa Rossa a couple of times on june 2 and 3, 2019. I was shocked how easy it was to get into this historic building and explored it freely without being detected. It's a scandal that a half-hearted attempt has been made to turn this historic builing into a museum and seemingly has been abandoned now. It should at least be locked properly so that people like me cannot get in.
- Domenico - Ne sono venuto a conoscenza per caso della Casa Rossa e, da frequentatore della Puglia affascinato dalle sue bellezze e dalla sua ospitalità, fa piacere sapere che una cordata di investitori ha rilevato la struttura: sono un convinto sostenitore che solo la lungimiranza, indipendenza e determinazione del “privato” possa creare quelle opportunità di crescita della comunità a cui si rivolge. Per questo mi risulta come una “nota stonata” la pretesa dell’”...ausilio del pubblico”... mi sa tanto di consueta pretesa di “assistenzialismo” che poi di fatto genera, in alcuni casi l’immobile so di cui si lamenta l’imprenditore e in altri il solito modo all’italiana di “mungere la vacca grassa dello stato” laddove poi i profitti vanno ai “soliti noti privati”. Non credo (o almeno spero) rientri in nessuno dei due casi succitati la volontà imprenditoriale dell’imprenditore di cui al commento e quindi lo esorterei a mettere in campo tutte le sue capacità per trasformare questo immobile di valore in una impresa che possa, da un lato restituire fascino alla struttura ed alla comunità in cui risiede e dall’ altro il rientro degli investimenti e la giusta remunerazione del capitale investito. Lo dico da cittadino pronto a contribuire da turista a qualsiasi rivalutazione del ns patrimonio e da cittadino (e nonno) che, pagando regolarmente tasse e imposte, vorrebbe che queste vengano destinate a vere opere infrastrutturali e strategie di lungo periodo a vantaggio delle prossime generazioni. Tra l’altro chi gestisce imprese sa bene che “il pubblico” mette comunque a disposizione, proprio per queste iniziative di recupero, fondi e opportunità da affiancare agli investimenti privati e quindi, ripeto, ogni altra attesa e o tentennamento rischia di essere interpretato come una delle due malevoli situazioni succitate. Mi auguro di essere sconfessato nella mia prossima visita ad Alberobello e faccio i miei più sinceri auguri di successo alla cordata di imprenditori.