Bari e la sua gestualità: viaggio nell'antica e variopinta comunicazione non verbale
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lunedì 20 marzo 2017
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di Maria Bruno
Per scoprirle ci siamo affidati alla 45enne Anna Simi, fotografa locale che da pochi giorni ha pubblicato il libro “Capissce a mmé?”, in cui ciascuno di questi gesti è spiegato con l'aiuto di suggestive immagini esplicative scattate nel centro storico. Il lavoro è stato realizzato assieme all'Accademia della lingua barese che ha scritto e tradotto le frasi in dialetto prese in considerazione. (Vedi foto galleria)
«La voglia di studiare la gestualità della mia città è nata per caso una mattina di quattro anni fa - racconta l'autrice - . Approfittando di una giornata soleggiata andai nel borgo antico munita di macchina fotografica e immortalai alcuni abitanti del quartiere con i quali avevo scambiato due chiacchiere. Una volta tornata a casa osservai con attenzione le immagini catturate e mi resi conto di un particolare: l'espressività dei soggetti ritratti era dovuta sempre a frasi idiomatiche unite ai particolari cenni compiuti con le mani».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A quel punto Anna decide di indagare su questa forma di comunicazione, arrivando ad alcune conclusioni. «Ciò che ho capito in anni di ricerche – spiega la fotografa - è che normalmente in Italia si gesticola molto perché per secoli nel nostro Paese si sono parlati una miriade di dialetti diversi: per capirsi era così necessario aiutarsi con le mani attraverso alcune movenze che nel tempo si sono "formalizzate", sopravvivendo all'alfabetizzazione di massa e giungendo fino ai giorni nostri. Al Sud questo fenomeno è ancora più evidente: qui il clima è sempre stato caldo, si lavorava spesso in campagna e le distanze tra i due colloquianti erano tali da richiedere l’uso dei gesti e un tono alto di voce. Con il passare dei secoli dunque è stato elaborato un diverso codice linguistico che cambia a seconda del paese e della città, a volte persino tra quartiere e quartiere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'inchiesta di Anna ha così messo in luce una serie di gesti "made in Bari", tutti associati a modi di dire usati nella vita quotidiana. Eccone qui alcuni esempi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Ce uè?" - Significa "che vuoi?" ed è forse il gesto più diffuso. Si realizza unendo le punte delle dita verso l'alto: la mano è quindi chiusa "a cono". «Mima la presa di un oggetto e invita l’interlocutore a riordinare le sue idee per comunicare ciò che veramente vuole - sottolinea l'esperta -. Come ha scritto l’etnografo Andrea de Jorio, il suo senso è: “riunite le vostre idee, raccoglietele in un punto e ditemi cosa volete"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"A umma - a umme" - Si traduce con "di nascosto" o "sotto sotto" e si compie aprendo la mano verso il basso e accennando un movimento circolare con le dita. «La mossa - evidenzia la studiosa - simboleggia l’atto di mescolare una minestra in modo da amalgamare gli ingredienti e renderli invisibili: una metafora che indica un qualcosa tenuto segreto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Iè mmuèrte" - In italiano vuol dire "è morto" e si utilizza per comunicare che qualcuno è passato a miglior vita. Si attua con un movimento circolare dell'indice e del medio che uniti si protendono verso l'alto: il tutto per simulare l'anima del defunto che sale in cielo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Iè na carta bbone!" - Letteralmente "è una carta buona", designa una persona "che vale". In questo caso la frase è abbinata al gesto del pollice che segna un taglio sulla guancia con movimento dall’alto verso il basso. «Un tempo le persone influenti a cui chiedere favori erano soprattutto delinquenti - illustra la fotografa - individui che in molti casi avevano il volto sfregiato. Il movimento, in questo caso, indica proprio lo sfregio sul viso del "valoroso"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Ngi-am'a fà na chiantèdde?” - È una traduzione colorita di "vorresti fare l'amore con me?". Il gesto si ottiene piegando le dita verso il palmo e muovendo la mano in avanti e indietro: in pratica imita la spinta dell’uomo durante la pratica sessuale. «La “chiantèdde" è la base della suola delle scarpe - chiosa Anna - e identifica in questo caso un atto che si consuma in piedi, la cosiddetta “sveltina"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Nvamòne!" - Significa "traditore" o "spia": il gesto si effettua usando gli indici di entrambe le mani per spalancare i propri occhi. Il soggetto accusato di tradimento è venuto a conoscenza di un fatto (ragione per cui si aprono gli occhi) e lo ha "spifferato" alle persone sbagliate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Sì remanùte com'a la zite de Cègghie" - Vuol dire “Sei rimasto solo come la sposa di Ceglie del Campo” ed è rivolto a un individuo rimasto “fregato” in una determinata situazione. «È rappresentato volgendo l’avambraccio verso l’alto e chiudendo "a cono" la mano, anch'essa volta verso l’alto - afferma l’esperta - . Si riferisce alla leggendaria storia della donna del quartiere Ceglie abbandonata sull’altare con un beffardo biglietto del fidanzato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Ha da sckattà!" - Si traduce con "Dovrai lavorare duramente" ed è eseguito unendo pollice e medio e facendo urtare l’indice sul medio muovendo con estrema velocità l’avambraccio. «Questa energica movenza –dice Anna – riproduce il suono della “stecca”, arnese di legno un tempo adoperato dai militari più giovani per lucidare i bottoni delle divise senza lasciare impronte. Lo strumento produceva un rumore simile a quello originato da questo singolare cenno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
"Le corne ca tìine" - Alla lettera vuol dire "Le corna che tieni" ma è un modo simpatico per dire "sei un furbacchione". Il gesto è quello tipico delle corna, con la mano a mo' di pugno e i soli indice e mignolo alzati verso l'alto. Attenzione però: il significato cambia se le dita sono rivolte verso il basso o verso l'interlocutore. Nel primo caso chi le fa sta cercando di sottoterrare l’eventuale sfortuna che potrebbe derivare da un malaugurio, nel secondo sta rispedendo al mittente il cattivo presagio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Maria Bruno
Maria Bruno