Il tesoro archeologico di Torre a Mare: tombe e antichi reperti tra spiagge e bagnanti
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martedì 3 luglio 2018
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di Federica Calabrese
Gli scopritori sono gli studenti di archeologia del dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Bari che (con il patrocinio della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città di Bari) e diretti dal loro docente Giacomo Disantarosa, sono tornati alla fine di giugno nei luoghi in cui tra gli anni 70 e 80 furono già rinvenuti numerosi reperti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’epoca però si prelevò solo una parte del “tesoro” in un’area che con il tempo fu nuovamente abbandonata e dimenticata. Si tratta di siti come Cala Scizzo, Punta della Penna, Cala Colombo o Scamuso, posti su un litorale libero e molto frequentato, ma al contempo invaso dai rifiuti e per nulla valorizzato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La spedizione degli esperti (dal nome "Il sistema portuale tra Antichità e Medioevo: archeologia subacquea e dei paesaggi costieri del litorale da Bari a Bisceglie - Future in Research") in quella che è stata definita "la culla dei primi baresi" comincia dalla foce di Lama Giotta, situata alla fine dell’omonima via, lì dove si trovano i parcheggi delle auto e i punti di accesso alla piazzetta di Torre a Mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui, tra ciottoli, alghe ed enormi massi, riaffiorano i primi manufatti. Balza all'occhio un antico fornello rettangolare, simile alle nostre piastre in pietra, con segni di bruciatura ancora evidenti nonostante sia stato realizzato ben otto millenni fa. Accanto poi i ragazzi scovano anche un antico peso forato nella parte centrale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma siamo solo all’inizio. Superato il porticciolo di Torre a Mare inizia via Grotta della Regina, strada che affianca l’insenatura “Cala Fetta”, sulla quale si affaccia un bar a forma di baita e il circolo Unione . Qui, sotto lo sguardo sopreso dei bagnanti, gli archeologi si accorgono subito della presenza di numerose tombe preistoriche disseminate sulla superficie della costa, alcune larghe anche qualche metro e ormai piene di sabbia e vegetazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Vengono poi prese le misure di quello che sembra un comune scoglio che fuoriesce dall’acqua, ma che in realtà è ciò che rimane del braccio di un molo antico. Degna di rilevanza è poi la scoperta di una struttura in pietra seminascosta dall'erba alta, dotata di tre grandi fori. «Queste aperture servivano per sostenere il peso di grossi pali lignei - spiega Disantarosa -. Di sicuro questa era la base di un imponente edificio preistorico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una volta lasciata Calafetta e superato lo scheletro dell’ex locale Grotta Regina incendiato nel 2015, si apre il tratto di litorale di Punta della Penna, denominato "bunker" per via della roccaforte difensiva situata a pochi passi dal mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In questo punto gli archeologi si ritrovano circondati di reperti (che verranno poi portati in laboratorio). Dietro un enorme masso vengono scovati pezzi di ceramica a vernice nera diffusa tra il VI e il I secolo a.C. C'è anche un manico nero di una coppetta monoansata con tre apici, risalente al secondo millennio a.C. E dopo aver prelevato tra le pietre antichi frammenti di ossa animali, ci si accorge della presenza tra gli scogli di tante piccole “piscine”: si tratta in realtà di cave per l'estrazione di pietra, utilizzate almeno dal Neolitico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la scoperta più interessante è quella di una serie tombe che nascondono all’interno (tra rifiuti ed erbacce) frammenti di olle e coppe da vino ioniche chiamate "kylikes", databili intorno a 2500 anni fa. «Sono tutti manufatti che si trovavano all’interno dei sepolcri – fa notare il professore -. Siamo infatti davanti a un’antichissima necropoli adagiata sul mare: un cimitero purtroppo dimenticato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Mirko Saponaro - Ciao ragazzi, siete nell'antica Netium, limitrofa a Kattry, che va da Cala Paduano (Mola di Bari) a Scizze! Il quartiere pullula di storia (non valorizzata!) che va dal Neolitico ai tempi d'oggi. Diverse 'tombe' e opere preistoriche sono coperte da circa 50 cm di terreno, posto appositamente per protezione. C'è ancora tanto da portare alla luce.. sicuramente è un intervento prestigioso per l'Università di Bari e per il Comune di Bari. Non fatevi scappare l'occasione.. P.S. Ancora oggi vengono utilizzati dai pescatori i massi forati (naturalmente o artificialmente) come zavorre per mille necessità. Diverse modellazioni della roccia, sparse qua e là soprattutto nei pressi dell'area portuale, sono solo depositi artificiali risalenti al 1800 all'interno dei quali facevano essiccare le alghe da utilizzare come compost (tant'è che quell'area è chiamata Cala (in)Fetta proprio per questo motivo). Le cave, caratterizzate da tagli sin troppo precisi per il Neolitico, sono infatti risalenti agli anni '70: periodo nel quale tutto ciò che poteva essere valorizzato è stato italianamente fagocitato dal cemento. Mirko Saponaro (A disposizione per confrontarci: saponaromirko@yahoo.com)
- Anna - Ottimo articolo. Complimenti