di Gaia Agnelli - foto Valentina Rosati

Bari. Palazzi fatiscenti, botteghe abbandonate, binari invadenti: è la dimenticata via Oberdan
BARI – Una strada che, seppur situata a due passi dal centro, racchiude al suo interno botteghe abbandonate, locali decadenti occupati da senzatetto, palazzine al limite della vivibilità e persino l’unico passaggio a livello rimasto in città. Parliamo di via Oberdan, proseguimento dell’extramurale che collega il quartiere San Pasquale al rione Japigia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un pezzo di Bari dimenticato, che vive da sempre in simbiosi con invadenti binari, visto che quest’arteria oltre a costeggiare le Ferrovie dello Stato è tagliata da quelle della Sud-Est.  

Anche se proprio dai treni dovrebbe partire la sua rinascita. I grandi lavori riguardanti la variante "collo d'oca" del nodo ferroviario, infatti, trasformeranno definitivamente via Oberdan, grazie a deviazioni del percorso dei convogli, sottopassi, sovrappassi e rotatorie. Tutto ciò condurrà a una radicale trasformazione dell’attuale scenario, portando anche all’abbattimento dei fatiscenti fabbricati che caratterizzano la zona.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In attesa che tutto cambi, siamo andati a farci una passeggiata sul tratto più “borderline” di questa strada, compreso tra via Monsignor Schiralli e il passaggio a livello della Sud-Est. (Vedi foto galleria)

All’angolo con la prima si trovano infatti alcune palazzine che, seppur diroccate, risultano incredibilmente abitate da alcune famiglie baresi. Così come in via Cifarelli, l’altro estremo di via Capruzzi caratterizzato dalla presenza del cosiddetto “Far West”, pure qui vivono persone in condizioni molto difficili. Anche se rispetto a sei anni fa, quando ci occupammo di questo decadente “condominio”, la situazione è un po’ migliorata, visto che sono arrivati gli allacciamenti a servizi minimi come acqua e gas. 

Gli immobili ospitano quattro appartamenti e sono divisi tra loro da una breve stradina senza nome che termina davanti al muro che separa l’area dai binari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci avviciniamo dunque ai caseggiati, dove ad accoglierci ci sono un divano giallo e un materasso appoggiati a una parete, mentre sul marciapiede vi è una sopravvissuta cape de fiirre, antica fontana in ferro. «Non funziona più però – ci avverte un residente della zona -: qualcuno ha rotto l’impianto per non farla più usare dagli “abusivi”». Gli abusivi sarebbero alcuni rom che occupano un piccolo cortile: quest’ultimo è nascosto da un muretto segnato da due porticine in ferro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci addentriamo ora nella stradina predetta, lì dove i numeri civici sono scritti con le bombolette spray. Sul pavimento sono posati una serie di stendini, mentre altri panni sono stati messi ad asciugare sui risicati balconcini. Qualcuno ha anche appeso delle luci di Natale per dare un tocco di colore a questo buio e soffocante angolo, dove si convive con il perenne e assordante sottofondo dei treni che sfrecciano proprio alle spalle delle case.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra una porta e l’altra, vi sono poi alcune cassette della posta arrugginite, una sedia e un passeggino usati come bidoni dell’immondizia. La viuzza infine vira a destra e conduce all’accampamento dei rom, introdotto da una tenda zebrata che funge da separé.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lasciamo ora questo piccolo e diroccato “quartiere” per spostarci verso il centro. Da qui in poi la strada sarà segnata da una serie di basse costruzioni che un tempo ospitavano decine di botteghe e aziende impegnate nella lavorazione di marmi e ceramiche, la maggior parte delle quali risulta oggi ormai inattiva. La prima è un ex laboratorio di cromatura, accanto al quale si trova un locale ancora aperto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci affacciamo per dare un’occhiata e all’interno scoviamo uno spiazzo sul quale è parcheggiato un tre ruote blu. Ad accoglierci è il 60enne Peppino. «Questo deposito è uno dei pochi rimasti attivi su via Oberdan – ci spiega -. Tutti gli altri qui intorno sono stati abbandonati e occupati da vagabondi che ci vanno a dormire».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’uomo ci indica un piccolo magazzino di cartoni. «Apparteneva a un signore che raccoglieva il materiale in giro e poi lo riutilizzava – sottolinea -. Ora ci vivono degli immigrati». Ci avviciniamo al cancello arrugginito: la rete protettiva è stata rotta in più punti per facilitare l’accesso e, scrutando all’interno, notiamo un cortile circondato dagli alberi sul quale trova posto un prefabbricato, la cui entrata è “sorvegliata” da una sedia di paglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo e sempre sulla destra ci imbattiamo in un’altra saracinesca abbassata: si tratta del locale ormai in disuso di un vecchio lattoniere, operaio che lavorava con latta e lamiere metalliche. Accanto però si staglia uno dei pochi esercizi commerciali ancora in piedi in via Oberdan: è Ciani, azienda di edilizia e impianti.  


«Siamo qui da più di cinquant’anni – ci spiega un dipendente – e ormai lavoriamo in mezzo al deserto. Vedete ad esempio quei cinque cancelli azzurri che seguono la nostra azienda? Appartenevano all’Ideal Marmi, una cooperativa di ceramiche, marmi e materiale edile ormai fallita».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo ora arrivati all’incrocio con via Caldarola, strada un tempo segnata dalla Fibronit, la “fabbrica della morte” oggi in via di bonifica. Sulla destra, oltre i binari, si erge invece l’elegante campanile a pianta quadrata della Chiesa di San Giuseppe, simbolo dell'adiacente rione Madonnella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sul marciapiede si susseguono altri colorati e scalcinati cancelli in ferro. Spiamo tra le fessure di uno di questi e notiamo un corridoio con le pareti bruciate e detriti sul pavimento. Di fronte, sull’altro lato della strada, si innalza l’enorme palazzo dell’ex Inpdap, una parte del quale ospita un negozio di arredamento: l’unico elemento moderno di tutta via Oberdan.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci rimettiamo quindi sui nostri passi. Superato sulla destra il centro di conferimento rifiuti dell’Amiu e un’azienda per materiali di edilizia, eccoci di fronte a un emblematico simbolo della strada, ora murato: le ex stalle del boss di Japigia Savinuccio Parisi, che qui ci portava i suoi cavalli. Ne parlammo nel 2016, in occasione dello sgombero di un campo rom che si era sviluppato al suo interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di fronte invece, vicino allo spiazzo dello scalo merci delle Ferrovie Sud-Est, si susseguono una serie di bassi caseggiati abbandonati. Il primo è un ex autolavaggio la cui area esterna è adibita a “libero” parcheggio. Il secondo è un edificio color salmone dal tetto spiovente: sbirciamo al suo interno e ci ritroviamo davanti a uno scenario “apocalittico”. Sotto il tetto quasi del tutto crollato, si apre un ambiente completamente ricoperto di rifiuti e oggetti quali sedie, tavoli ed elettrodomestici. 

Poco più avanti ecco altre sei saracinesche abbassate e prese di mira dai writers. Solo due di questi locali hanno però lasciato tracce della loro antica identità. Si tratta dell’officina metalmeccanica “Metal Futuro”, che conserva ancora la sua insegna e soprattutto una delle vecchie sedi di Aceto, storico negozio di riparazioni biciclette.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dall’altra parte della via si apre invece l’enorme capannone che ospitava l’azienda di piastrelle Meneghella, trasferitasi in un’altra zona. Il suo cortile è oggi diventato rifugio per immigrati, rom e senzatetto. Accanto a essa si trova un fabbricato diroccato: è circondato da un giardinetto balzato tempo fa agli onori della cronaca perché bazzicato da tossicodipendenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E siamo così arrivati ai binari che tagliano via Oberdan, quelli sui quali sfrecciano i treni delle Ferrovie Sud-Est. L’incrocio è regolamentato da un passaggio a livello scomodo e pericoloso: l’ultimo rimasto a Bari città. Anch’esso dovrebbe però sparire con i nuovi lavori. 

Sullo sfondo intanto si ergono il “barocco” Palazzo Noli, situato in via Dieta da Bari e il disabitato edificio rosso di via Beltrami, occupato sino al 2012 da immigrati e italiani indigenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da qui in poi, sino all’angolo con via Amendola, via Oberdan cambia un po’ aspetto, almeno sulla sinistra dove dominano palazzi moderni ed esercizi commerciali. Sulla destra ritroviamo però le botteghe che hanno caratterizzato la strada sinora, alcune inutilizzate, altre ancora attive.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutti locali “vissuti” che presto saranno abbattuti in favore di una nuova viabilità, la quale potrebbe finalmente restituire dignità a un pezzo di Bari che, come dice una residente, «è stato abbandonato da Cristo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Una strada che, seppur situata a due passi dal centro, racchiude al suo interno botteghe abbandonate, locali decadenti occupati da senzatetto, palazzine al limite della vivibilità e persino l’unico passaggio a livello rimasto in città. Parliamo di via Oberdan
Partiamo dall'angolo tra via Oberdan e via Monsignor Schiralli
Qui si trovano alcune palazzine che, seppur diroccate, risultano incredibilmente abitate da alcune famiglie baresi
Le palazzine ospitano quattro appartamenti e sono divise tra loro da una breve stradina senza nome che termina davanti al muro che separa l’area dai binari
Ci avviciniamo dunque ai caseggiati, dove ad accoglierci ci sono un divano giallo e un materasso appoggiati a una parete...
...mentre sul marciapiede vi è una sopravvissuta cape de fiirre, antica fontana in ferro. «Non funziona più però – ci avverte un residente della zona -: qualcuno ha rotto l’impianto per non farla più usare dagli “abusivi”»
Gli abusivi sarebbero alcuni rom che occupano un piccolo cortile: quest’ultimo è nascosto da un muretto segnato da due porticine in ferro
Ci addentriamo ora nella stradina predetta, lì dove i numeri civici delle case sono scritti con le bombolette spray
Sul pavimento sono posati una serie di stendini...
... mentre altri panni sono stati messi ad asciugare sui risicati balconcini. Qualcuno ha anche appeso delle luci di Natale per dare un tocco di colore a questo buio e soffocante angolo
Tra una porta e l’altra, vi sono poi alcune cassette della posta arrugginite, una sedia e un passeggino usati come bidoni dell’immondizia
La viuzza infine vira a destra e conduce all’accampamento dei rom, introdotto da una tenda zebrata che funge da separè
Ci spostiamo ora verso il centro. Da qui in poi la strada sarà segnata da una serie di basse costruzioni che un tempo ospitavano decine di botteghe e aziende impegnate nella lavorazione di marmi e ceramiche, la maggior parte delle quali risulta oggi ormai inattiva. La prima che troviamo è un ex laboratorio di cromatura...
...accanto al quale si trova un locale ancora aperto. Ci affacciamo per dare un’occhiata e all’interno scoviamo uno spiazzo sul quale è parcheggiato un tre ruote blu. Ad accoglierci è il 60enne Peppino. «Questo deposito è uno dei pochi rimasti attivi su via Oberdan», ci spiega
L’uomo ci indica un piccolo magazzino di cartoni. «Apparteneva a un signore che raccoglieva il materiale in giro e poi lo riutilizzava – sottolinea -. Ora ci vivono degli immigrati». Ci avviniamo al cancello arrugginito: la rete protettiva è stata rotta in più punti per facilitare l’accesso...
...e, scrutando all’interno, notiamo un cortile circondato dagli alberi sul quale trova posto un piccolo prefabbricato, la cui entrata è “sorvegliata” da una sedia di paglia
Proseguiamo e sempre sulla destra ci imbattiamo in un’altra saracinesca abbassata: si tratta del locale ormai in disuso di un vecchio lattoniere, operaio che lavorava con latta e lamiere metalliche
Accanto però si staglia uno dei pochi esercizi commerciali ancora in piedi in via Oberdan: è Ciani, azienda di edilizia e impianti
«Siamo qui da più di cinquant’anni – ci spiega un dipendente della Ciani – e ormai lavoriamo in mezzo al deserto. Vedete ad esempio quei cinque cancelli azzurri che seguono la nostra azienda?...
«...Appartenevano all’Ideal Marmi, una cooperativa di ceramiche, marmi e materiale edile ormai fallita»
Siamo ora arrivati all’incrocio con via Caldarola, strada un tempo segnata dalla Fibronit, la “fabbrica della morte” oggi in via di bonifica
Sulla destra, oltre i binari, si erge invece l’elegante campanile a pianta quadrata della Chiesa di San Giuseppe, simbolo dell'adiacente rione Madonnella
Sul marciapiede si susseguono altri colorati e scalcinati cancelli in ferro
Spiamo tra le fessure di uno di questi e notiamo un corridoio con le pareti bruciate e detriti sul pavimento
Di fronte, sull’altro lato della strada, si erge l’enorme palazzo dell’ex Inpdap, una parte del quale ospita un negozio di arredamento: l’unico elemento moderno di tutta via Oberdan
Ci rimettiamo quindi sui nostri passi. Superato sulla destra il centro di conferimento rifiuti dell’Amiu e un’azienda per materiali di edilizia, eccoci davanti a un emblematico simbolo della strada, oggi murato: le ex stalle del boss di Japigia Savinuccio Parisi, che qui ci portava i suoi cavalli
Di fronte invece, vicino allo spiazzo dello scalo merci delle Ferrovie Sud-Est, si susseguono una serie di bassi caseggiati abbandonati. Il primo è un ex autolavaggio la cui area esterna è adibita a “libero” parcheggio
Il secondo è un edificio color salmone dal tetto spiovente: sbirciamo al suo interno tramite una fessura e ci ritroviamo davanti a uno scenario “apocalittico”...
...sotto il tetto quasi del tutto crollato, si apre un ambiente completamente ricoperto di rifiuti e oggetti quali sedie, tavoli ed elettrodomestici
Poco più avanti ecco altre sei saracinesche abbassate e prese di mira dai writers
Solo due di questi locali hanno però lasciato tracce della loro antica identità, una di queste è la vecchia sede di Aceto, storico negozio di riparazioni biciclette
Dall’altra parte della via si apre invece l’enorme capannone che ospitava l’azienda di piastrelle Meneghella, trasferitasi in un’altra zona. Il suo cortile è oggi diventato rifugio per immigrati, rom e senzatetto
Accanto a essa si trova un caseggiato diroccato: è circondato da un giardinetto balzato tempo fa agli onori della cronaca perché bazzicato da tossicodipendenti
E siamo così arrivati ai binari che tagliano via Oberdan....
...quelli sui quali sfrecciano i treni delle Ferrovie Sud-Est
L’incrocio è regolamentato da un passaggio a livello scomodo e pericoloso: l’ultimo rimasto a Bari città. Anch’esso dovrebbe però sparire con i nuovi lavori
Sullo sfondo intanto si ergono il “barocco” Palazzo Noli, situato in via Dieta da Bari...
...e il disabitato edificio rosso di via Beltrami, occupato sino al 2012 da immigrati e italiani indigenti
Da qui in poi, sino all’incrocio con via Amendola, via Oberdan cambia un po’ aspetto, almeno sulla sinistra dove dominano palazzi moderni ed esercizi commerciali
Sulla destra ritroviamo però le botteghe che hanno caratterizzato la strada sinora, alcune inutilizzate, altre ancora attive. Tutti locali “vissuti” che presto saranno abbattuti in favore di una nuova viabilità



Gaia Agnelli
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  • Stefano - NON HO PAROLE. A DIRE IL VERO NE AVREI TANTE MA COME DICEVA LA BUON ANIMA DI MIA MAMMA: "E' FIATO E TEMPO SPRECATO " PER FORTUNA NEL 1986 ME NE SONO ANDATO MA PUR DA LONTANO, COME VECCHIO BARESE NE SOFFRO PARECCHIO AD ASSISTERE A TALI SCEMPI.
  • Fiorella - Sembra la bellissima trama di un libro del "tempo che fu", ed invece è tutto contemporaneo. Questo articolo evidenzia una realtà con la quale conviviamo ma della quale non ce ne accorgiamo, tanto fa parte del quotidiano di chiunque percorra quella importante via. Questo articolo è stato un risveglio per guardare con occhi più attenti quello che, purtroppo è la realtà. Grazie per l'attenzione.
  • Vito Petino - VIA OBERDAN Più che luoghi della memoria, sono tanti i luoghi del cuore che via Oberdan evoca. La nostra vita familiare, mia, dei miei genitori e dei mie fratelli, ha avuto due centri importanti. La Madonnella e Japigia. Via Oberdan è stata l'aorta che ha unito i due cuori pulsanti dei quartieri. Dalla casa di via Carulli che ci ha dato i natali, svoltando per via Emanuele Mola e raggiungendo via Oberdan attraverso il vecchio passaggio a livello, oggi occluso, vi narro il tragitto anni 40-50 che ci ha portati dalla vecchia abitazione alla nuova di Japigia, attingendo quel che la memoria ha già riportato nel libro "Prendere la vita a calci". Mio padre nel settembre del 43, un anno e un mese prima che nascessi, fu assunto alle Ferrovie del Sud Est, che noi in famiglia abbiamo sempre abbreviato "la Suddest". Sino a marzo 54 dunque quel punto di via Oberdan ci era più che familiare. Direi vitale. Era da quella azienda che mio padre traeva tutto il necessario per il vivere quotidiano. Quando avevo 6 anni mia madre cominciò a darmi l'incarico di portare la colazione di mio padre a Bari Garage, quando lui non viaggiava e svolgeva altri incarichi in quell'officina della ferrovia. Con la borsa a tracolla, che conteneva la gavetta d'alluminio, giunto al passaggio a livello di via Emanuele Mola, quello in cui passano i binari delle due Ferrovie, Stato e Suddest, tagliavo per via Oberdan, seguendo i binari che curvavano verso destra, per raggiungere la minuscola stazione FSE, in fondo alla quale c'era il capannone di Bari Garage, dove consegnavo la colazione a mio padre, che mi aspettava preoccupato per i tanti binari che c'erano da attraversare. Se invece la giornata era umida, per non sporcarmi con la polvere di carbone lungo i binari, dopo lo stesso passaggio a livello proseguivo dritto sul breve tratto finale di via Emanuele Mola, fino all'angolo di via Oberdan. Proprio in quell'angolo c'è ancora oggi la costruzione bassa con tante vetrine lungo la stessa via, e l'ingresso sulla laterale via Emanuele Mola. All'epoca in quella sede svolgeva la sua attività commerciale di materiale per l'edilizia la ditta Panebianco, che faceva concorrenza all'altra importante azienda Poliseno, che si trovava nella dirimpettaia via Amendola, ma molto più in fondo. Proseguendo per via Oberdan officine meccaniche a sinistra fronteggiavano basse costruzioni a destra, perlopiù depositi per carrozzelle nere da nolo e stalle dei cavalli che le trainavano. Al passaggio a livello della Suddest, e a qualche locale oltre l'ingresso merci della stessa ferrovia sul lato destro della via, si fermava la nostra conoscenza di via Oberdan all'epoca. Niente Hotel Europa, niente alti edifici all'angolo della via Amendola. È solo dopo marzo del 54, dovendo raggiungere casa nuova a Japigia, che ne abbiamo conosciuto il resto. Subito dopo lo scalo merci della Suddest, dove sorge ora il palazzone dell'Inpdap, c'era il deposito di legnami Feltrinelli, che proseguiva sulla laterale via Caldarola. Di questa via ho un ricordo indelebile del Ferragosto 1956. I miei decisero di servirsi almeno una volta dei biglietti gratis che la Suddest concedeva annualmente ai propri agenti e familiari, altrimenti rimasti quasi sempre inutilizzati. Quella mattina di buon'ora ci avviamo da casa per una gita in treno a Taranto. Prendemmo per via Peucetia, allora appena abbozzata da via Apulia e per tutta la prima traversa Japigia. Giunti al sopraelevato viottolo di campagna che conduceva alla vecchia Chiesa parrocchiale di San Francesco dell’allora parroco padre Ilario, vi passammo davanti, proseguendo per via Caldarola, dove vi si arrivava proprio nel punto in cui di fronte vi era la recinzione della stazione elettrica della SGPE. Ma per giungervi si attraversava, per lo stesso viottolo di campagna, una strettoia fra alcune casette rurali, col solo piano terra, circondate da animali da cortile, e la sede degli scout della parrocchia rionale di San Francesco. Svoltando in via Caldarola, direzione Oberdan, a destra c'era la scuola professionale di agraria, a sinistra e per un bel tratto la Fibronit. Oltre a una villa antica sulla sinistra e il deposito dell'azienda dei rifiuti Saspi accanto, e come ho detto, la Feltrinelli ad angolo di via Oberdan, per tutto il resto di via Caldarola c'erano solo campi agricoli. Quella mattina presto, all’angolo del deposito Feltrinelli, girammo a sinistra su via Oberdan per prendere in stazione il treno per Taranto delle 6. Proseguendo invece il tragitto in direzione opposta verso Japigia, ricordo di fronte alla via Caldarola il deposito di ferri vecchi, stracci e cartoni del vecchio Vincenzo, a cui noi ragazzi, per racimolare qualche spicciolo che dalla famiglia era difficile avere, portavamo residui trovati in giro di alluminio e soprattutto ramarossa, come chiamavamo il rame, che ci veniva pagato più degli altri metalli. Vincenzo quando era più giovane andava in giro nel quartiere a raccogliere col carretto, casa per casa, robe vecchie in cambio di brocche di vetro, bacili di metallo smaltato, specchi, grembiuli da cucina, mollette e altri aggeggi per la casa, o palloni e giocattoli per i ragazzi. Non facendocela più per l'età, prese quei locali in via Oberdan, ricevendo lui la gente che gli portava l'inservibile di casa. Indimenticabile il suo acuto strillo per le vie del quartiere, "Firr vicchij, robba vecchij, iamm a scttà. Palloni per ragazzi, u giocattl p l pccninn, l snal p l femmn. U bucal p l'acqua fresc-ch, u bacil p lavarv la facc e l pit". Continuando a ricordare la via Oberdan di quegli anni, più avanti a sinistra c'è il vicolo più volte illustrato nella foto, proprio di fronte all'attuale via Schiralli, allora inesistente. Il vicolo all'epoca era ricovero per cavalli da tiro di carri in legno con grande pianale per traslochi e trasporto di merci ingombranti. Questo vicolo era il prolungamento ideale del Vico Cettigne, oltre la ferrovia, con accesso da corso Sonnino, di lato alla caserma dell'Aeronautica IV ZAT. Il Vico Cettigne all'epoca era abitato da zingari; al suo ingresso, oggi protetto con un cancello di ferro, vi era una fontana dell'EAAP, del tutto identica a quella del corrispondente vicolo su via Oberdan. Proseguendo la passeggiata, sulla sinistra c’erano altre stalle, sino al muro di recinzione con sovrastante grata di ferro della Ferrovia dello Stato. Al passaggio a livello terminava il muro della ferrovia e via Oberdan. Dal passaggio a livello iniziava viale Japigia sul prolungamento di via Oberdan. A destra invece, ripartendo da via Caldarola, a parte altri depositi col solo piano terra, le costruzioni più significative che ricordo sono la cereria Manzari, che poi ha smesso l'attività lasciando intatto l'edificio; subito accanto la mia scuola Media Amedeo d'Aosta, e a chiudere via Oberdan è tuttora attiva la filiale barese della Fiat, anche se dimezzata, che si sviluppa lateralmente su tutta via Apulia, sino alle case popolari subito dietro. Non c'è barese che non si sia seduto almeno una volta davanti alle scrivanie dei venditori d'auto, quando nei primi anni 60 le automobili Fiat divennero un necessario bene di massa...
  • Domenico Strazzullo - Bellissimo reportage. Resta solo da sperare che il comune sappia restaurare e rivalorizzare alcuni di quegli edifici per farne qualcosa di interessante, piuttosto che radere tutto al suolo per costruire un quartiere "moderno".


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