Mungivacca, lì dove giacciono 41 treni abbandonati: è il "cimitero dei rotabili"
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martedì 10 novembre 2015
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di Gabriella Quercia
La piccola stazione sorge alle spalle del colosso scandinavo dell’Ikea, in una zona contrassegnata da tanti edifici abbandonati, come la discoteca Camelot, l’oleificio Sapio e la fabbrica di gelati Sanson. E’ domenica quando decidiamo di andare a visitare il cimitero. La stazione è deserta, complice la sospensione del servizio nei giorni festivi. Entriamo da un piccolo cancelletto aperto, giriamo a destra e costeggiamo la biglietteria, la sala d’aspetto e un piccolo edificio, la cui architettura richiama quella di una chiesa: in realtà è una sottostazione elettrica che alimenta una porzione di linea ferroviaria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Percorriamo qualche metro prima di scorgere i primi locomotori “morti”. Dinnanzi a noi una sorta di bivio separa i binari in uso da quelli inutilizzati: il presente e il passato si intrecciano in una manciata di metri. Sulla sinistra tra gli alberi, ci sono i grandi tralicci della corrente elettrica che aprono la strada per i vagoni diretti a Triggiano e Valenzano, sulla destra invece, neanche troppo nascosti, sono fermi i vecchi treni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci avviciniamo percorrendo un dritto marciapiede, anche se il tragitto è intervallato da pezzi di binari tagliati e ormai arrugginiti sparsi qua e là. Erba spontanea si è fatta largo tra la ferraglia e sulla destra, un cumulo di macerie accantonate si nutre dei caldi raggi del sole.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo ormai di fronte ai rotabili. A vederli questi giganti di ferro sembrano quasi minacciosi, come se fossero un plotone d’esecuzione. Eppure non possiamo fare a meno di avere l’impressione di sentire i loro acuti e nostalgici fischi riecheggiare nell’aria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sono disposti su tre binari e sono quasi tutti colorati da graffiti disegnati da intraprendenti writers. La fila centrale è capeggiata dall'automotrice Breda - Aerfer Ad 52, posto più avanti degli altri. Probabilmente la sua livrea originale era di un bel rosso sgargiante, che il tempo ha trasformato in un arancione pallido e smorto. Dei vetri che una volta proteggevano l’abitacolo non resta più nulla, probabilmente distrutti dalla mano di qualcuno armato di sassi. Anche i fari, creatori di fasci di luce nelle sere più buie, divelti dalla loro originaria incastonatura, si incrociano in un insolito gioco di “sguardi”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Passiamo sui binari, costeggiando a fatica le vetture, poiché la breccia ha lasciato il posto a pietre ben più grosse. Decidiamo di salire su uno di questi vagoni. In ogni singola carrozza lo spettacolo che ci si presenta davanti ai nostri occhi è impietoso: alcune delle poltrone dei passeggeri sono state sradicate dal pavimento e gettate a casaccio sul pavimento, le più fortunate sono rimaste al loro posto, ricoperte da strati di polvere e pezzi di vetro, di altre ancora resta solo la struttura in ferro. Le tendine per ripararsi dal sole sono ridotte a brandelli, lacerate e ingiallite. Anche i tetti in lamiera sono stati tirati giù e lasciati crudelmente appesi, così come le porte che chiudevano le carrozze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In una delle cabine scorgiamo pezzi di legna, tagliati e lasciati lì probabilmente per essere accesi nelle notti più gelide. Poco più avanti è l’odore di legna bruciata recentemente e la visione di sassi anneriti dalla combustione che ci convince che qui qualcuno ha fatto di questi vagoni la propria casa. In un treno merci, più ermetico rispetto alle normali carrozze e quindi più caldo, un consumato e squarciato materasso azzurro è adagiato su un lato, tra cumuli di rifiuti e cassettoni rovesciati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Continuiamo a camminare tra i binari, incontrando spazzatura, pezzi di vetro, porte, sedili e imbottiture sventrate dagli interni delle carrozze. Intravediamo un locomotore Marelli - Reggiane BB 163 appartenente alle Fse. Il suo inusuale colore verdastro e i pezzi di vernice sollevati richiamano alla nostra mente il muschio. Curiosi finestrini a forma di oblò si incastrano in un’imperfetta ma sorprendente simmetria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A un certo punto un forte odore di gasolio penetra nelle nostre narici. Proviene da un vagone la cui salita è resa facile da piccoli gradini. All’interno un enorme groviglio di fili, cavi metallici si diramano su un grosso motore. Non riusciamo ad avvicinarci perché lo spazio è ridotto al minimo, lasciandoci una parziale immagine di questa informe creatura. Alle nostre spalle ci sono dei comandi, ma l’unico a cui riusciamo a dare un vago significato è il pulsante verde con su scritto “tromba”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il nostro viaggio in questa “necropoli” ferroviaria sta per concludersi. Ma prima di lasciarla la nostra attenzione viene attirata da un insolito vagone: è infatti a due piani, più grande degli altri e decorato da sgargianti graffiti viola. Su una delle colonne laterali c’è scritto “pos 300”, dove “pos” sta per posti. Il piano di sopra, per quel poco che scorgiamo, è uno sfacelo di sedili sparpagliati e accatastati l’uno sull’altro. Il pavimento del piano di sotto è sommerso in buona parte dall’acqua e una bombola di gas è stata lasciata lì per chissà quale motivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci allontaniamo, ma mentre ci avviamo verso l’uscita un cartello con uno slogan quasi beffardo cattura la nostra attenzione: c’è scritto “Investiamo nel vostro futuro”. E non possiamo fare a meno di pensare che al contrario alle nostre spalle, da quattordici anni, vecchie locomotive sono testimoni impassibili di un passato troppo ingombrante per essere smaltito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Boris - Fa piangere il cuore vedere questi treni ridotti così. Ricordo quand'ero piccolo quando erano in funzione, ci ho viaggiato parecchie volte, ricordo ancora il rumore del motore e il loro bel colore arancione. Non meritavano di essere abbandonati così.