Alla scoperta del labirintico (e abbandonato) "Seminario": l'ipogeo più grande di tutta Bari
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venerdì 9 luglio 2021
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di Federica Calabrese e Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna
Un sito per nulla valorizzato e di fatto abbandonato a se stesso, nonostante la sua millenaria storia: venne infatti creato nel V secolo e poi ampliato tra il VII e l’VIII secolo. Fu concepito come laboratorio produttivo agricolo per un vasto monastero che comprendeva altri ipogei come il Santa Caterina e il Milella, posti a poche centinaia di metri da qui. Un complesso che prendeva il nome di Casale rupestre del Vulpiclano.
Per raggiungere il luogo ci lasciamo alle spalle il centro commerciale di Santa Caterina e, superando il cavalcavia che sovrasta la statale 16, proseguiamo per 400 metri fino all’incrocio con strada Caratore del Carmine. Alla fine di quest’ultima si staglia la grigia facciata della settecentesca Masseria del Seminario, di proprietà ecclesiastica che dà il suo “religioso” nome anche all’ipogeo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Costeggiamo alla nostra destra l’edificio per addentrarci su un sentiero di campagna delimitato da muretti a secco. Attraverso un varco ci facciamo strada tra gli alberi di ulivo fino a un avvallamento nel terreno colmato da folta vegetazione: siamo di fronte all’ingresso del sito sotterraneo. Una scaletta in pietra ci permette di scendere per cinque metri lungo la parete rocciosa e raggiungere un ampio atrio rettangolare: l’anticamera dell’intera struttura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Subito di fronte a noi si apre una piccola “stanza”: sui muri tufacei notiamo verdi segni di umidità, massi e detriti, risultato dei crolli delle arcate superiori. Sulla nostra sinistra scorgiamo invece un passaggio che ci permette di introdurci nella prima vera cavità del complesso, avvolta dall’oscurità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci rendiamo conto della sua estensione soltanto dopo aver illuminato tutto l’antro con dei faretti. Scopriamo così un ampio locale, chiuso sul soffitto da una copertura a volta, invaso quasi interamente da un alto cumulo di terriccio e pietre che ne ostruisce altri accessi. Tra le macerie notiamo anche alcune ossa di animali di cui non è possibile capire la provenienza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo in quello che era un tempo il laboratorio centrale del casale rupestre, fulcro delle attività produttive dei monaci. Su di esso si affacciano altri piccoli vani ciechi segnati da archi scavati nella roccia che poggiano su mezzi pilastri quadrangolari. Spostandoci sulla sinistra seguiamo l’andamento semicircolare della stanza con le sue tre piccole feritoie di areazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo il nostro viaggio tra cupe cavità e ci ritroviamo in un vasto spazio contraddistinto dalla presenza di un’antica macina utilizzata per pressare cereali e olive e di alcuni affossamenti artificiali: antiche vasche per l’approvvigionamento dell’acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui si dirama un lungo corridoio, chiuso da un tompagno, che probabilmente collegava questo complesso agli altri siti sotterranei vicini. Il tunnel ci conduce, dopo qualche metro, l'angolo più suggestivo di tutto l’ipogeo. La fioca luce che trapela da un’apertura ci permette di ammirare uno spesso pilastro centrale e le arcate superiori che sorreggono l’intera struttura. Dalle crepe aperte nella muratura rossastra pendono centinaia di piccole radici che “decorano” il luogo a mo’ di fitte tende.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui gli spazi si fanno sempre più angusti e tetri data la mancanza totale di luce derivante dall’esterno. Proseguiamo per una decina di metri, quasi perdendoci tra i vari ambienti concatenati tra loro, sino a incrociare un piccolo varco in un muro crollato che superiamo con difficoltà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una cascata di macerie e terra che scende da un’apertura nel soffitto invadendo l’intero antro, ci costringe a camminare carponi per oltrepassarla, arrivando così nella parte più nascosta di tutto il complesso.
Di fronte a noi si aprono diversi locali e stanze cieche, molte delle quali murate e invase da ragnatele sulle pareti. Per terra troviamo vecchie bottiglie e pezzi di vasellame ceramico gettati negli anni dalla fessura circolare presente sul soffitto semiocclusa dalla vegetazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ritorniamo sui nostri passi e ci poniamo su un ultimo corridoio di cui a stento riusciamo a intravedere la fine. Lo percorriamo per circa venti metri fino a renderci conto che risulta interamente murato: anche questo doveva servire un tempo da raccordo con le altre cavità ipogeiche presenti in zona.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non potendo proseguire riemergiamo nell’avvallamento da dove era iniziato il nostro viaggio e raggiungiamo esternamente un secondo accesso posto a cinquanta metri dal principale. Quest’ultimo è inaugurato da un dromos: un corridoio a cielo aperto che, scendendo nel terreno, conduce a una serie di ambienti in passato probabilmente destinati a uso religioso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una ventina di anni fa alcuni privati ne avevano progettato una rifunzionalizzazione come locale notturno sotterraneo, snaturando interamente la sacralità del luogo. Lo stesso ingresso si presenta infatti trasformato da lavori edilizi tra l’altro non conclusisi e risulta in più non più utilizzabile a causa della vegetazione incolta che ne blocca la discesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una situazione quindi di completo abbandono: la stessa che accomuna la totalità dei numerosi ipogei che costellano da secoli e secoli l’agro barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Enea Aureliu - Deosebit de interesantă publicația . Mi-a făcut plăcere să descopăr vestigiile locurilor .
- Michele Iannone - Molto interessante. Peccato che, chi di dovere, non intervenga per rendere visitabile questo ipogeo. Forse un giorno ...