di Ilaria Palumbo

A Bari e dintorni ne sono rimasti otto: alla scoperta degli ultimi coraggiosi pastori
BARI – In tutta Bari, compreso il suo hinterland, ne sono rimasti appena otto. Parliamo degli ultimi pastori superstiti: lavoratori che nonostante il basso guadagno, la penuria di campi e l’aumento di allevamenti intensivi, continuano imperterriti a cercare erba buona da far brucare al proprio gregge.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Bari città ce ne sono tre (nel quartiere Santa Rita, nei pressi del cimitero inglese e lungo la tortuosa strada Pezze del Sole, perpendicolare di via Amendola). Gli altri sono sparsi tra Cellamare, Triggiano e Capurso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proprio nel paese della Madonna del Pozzo, su via Noicattaro, incontriamo il 60enne Giuseppe, pastore di vecchia data, visto che porta avanti questo mestiere ormai in via di estinzione da ben trent’anni. (Vedi foto galleria)

Ci accoglie in un campo incolto incastrato tra alcune palazzine mentre le sue pecore dal manto bianco e le sue capre dalle lunghe orecchie penzolanti, stanno pascolando indisturbate in un tripudio di campanellini. L’uomo, che ha in mano un sottile bastone verde, ci viene incontro con un gran sorriso stampato sul volto scuro segnato dal sole. Ci parla affabilmente e i ricordi affiorano uno dopo l’altro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fare il pastore è stato sempre il mio sogno, fin da bambino – racconta -. Così all’età di 7 anni i miei genitori decisero di mandarmi in una fattoria, visto che a scuola non ci volevo andare. Adoravo dormire nelle stalle e soprattutto stare all’aria aperta. Ma a 15 anni mi innamorai di una ragazza e siccome mi vergognavo di dirle quale fosse la mia occupazione abbandonai l’arte del pascolo. Tuttavia, dopo aver provato a fare una serie di lavori che non mi appagavano, intorno ai trent’anni ritornai alle mie origini. Da allora, ogni santo giorno, continuo a portar fuori il gregge».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giuseppe interrompe la sua narrazione per richiamare con un fischio Rex, il fido pastore tedesco che lo aiuta a tenere uniti i suoi quasi trecento animali. E proprio in quel momento si avvicina affettuosa una pecorella. «Questa è Rosy – ci dice orgoglioso l’uomo - è cresciuta senza madre. L’ho accudita io sin dalla nascita nutrendola con il biberon».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’allevatore a questo punto ci parla della sua routine quotidiana. Si sveglia tutti i giorni all’alba per andare nella masseria dove sono raccolti gli ovini: qui controlla che le mamme allattino gli agnelli e si dedica alla mungitura degli adulti per ricavare il latte che venderà poi a un caseificio di Cassano (circa un quintale al giorno al prezzo di 90 centesimi al litro). Dopo, assieme a Rex, porta il gregge a brucare nei campi per ore e ore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma qual è il beneficio di far mangiare alle pecore l’erba fresca? «Rispetto agli allevamenti intensivi in cui si ricorre perlopiù al fieno e ai mangimi concentrati – afferma Giuseppe – lasciar libero il gregge di pascolare nei campi è un vantaggio sia per la salute degli animali sia per la produzione del latte, che di conseguenza sarà più genuino e buono, come il formaggio che ne deriverà. E’ chiaro che i pastori non ne possono garantire grosse quantità, però chi compra da noi ha la certezza che tutto sia puro al cento per cento e non magari diluito con acqua o latte di mucca come avviene in alcune aziende».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


I pastori però si devono scontrare con una serie di problemi che rendono la loro opera sempre meno richiesta. Campi incolti infatti se ne contano ormai sulle dita di una mano, complici la crescente urbanizzazione del territorio e l’inquinamento, dato che le campagne sono spesso utilizzate come discariche a cielo aperto. In più c’è da considerare il grande aumento di controlli da parte di Asl, Nas e Corpo Forestale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di tutte queste dinamiche ci parla un altro pastore, il 54enne Donato, che fa brucare le proprie pecore nella Lama San Giorgio. (Vedi video)

Lui è un agricoltore che da cinque anni ha voluto provare ad allargare la propria attività, comprando appunto un gregge: oggi possiede 170 animali che fa pascolare tra la natura del letto dell’antico fiume, una zona in molti punti degradata dai rifiuti. «Io però faccio di tutto per ripulire giornalmente gli appezzamenti dove si nutrono gli ovini – sottolinea –. È un modo per assicurarmi che il mio bestiame non si ammali e infetti di conseguenza il latte che produce».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il 54enne ci parla delle tante verifiche a cui il suo lavoro deve sottostare. «Le visite dei veterinari dell’Asl che si accertano della salute dell’animale sono sempre più frequenti – ci dice – come quelle del Corpo Forestale e dei Nas, che spesso a sorpresa vengono a ispezionare le stalle, verificare cosa mangiano gli ovini e a esaminare il latte. Tutte cose giuste, ma è chiaro che ormai si tende a favorire la grande produzione: offre un prodotto qualitativamente meno genuino ma più controllato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre Donato parla vediamo sgambettare pecore alla ricerca di erba gustosa, mentre capre più fameliche si arrampicano ovunque, fin sugli ulivi, pur di accaparrarsi le foglie migliori. «Ho voluto rischiare provando a intraprendere questo bellissimo mestiere – conclude il signore - ma a breve mi vedrò costretto a decidere se continuare o meno, perché con la pastorizia si guadagna molto poco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E con parole che trapelano delusione vediamo allontanarsi il coraggioso uomo, naturalmente seguito da un rumoroso, allegro e belante gregge di pecore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Antonio Caradonna e Ilaria Palumbo)

Nel video (di Gianni de Bartolo) il nostro incontro con alcuni dei pastori baresi:




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A Bari città ci sono tre pastori superstiti, di cui uno si trova lungo la tortuosa strada Pezze del Sole, perpendicolare di via Amendola
Gli altri sono sparsi nell'hinterland. A Capurso, su via Noicattaro, incontriamo il 60enne Giuseppe, pastore di vecchia data: porta avanti questo mestiere ormai in via di estinzione da ben trent’anni
Ci accoglie in un campo incolto, incastrato tra bianche palazzine, mentre il suo gregge sta pascolando indisturbato in un tripudio di campanellini. Ci sono le pecore dal manto bianco...
...e le capre dalle lunghe orecchie penzolanti
Giuseppe richiama con un fischio Rex, il fido pastore tedesco che lo aiuta a tenere unito il suo gregge
Il gregge è composto da quasi trecento animali
E proprio in quel momento all’uomo si avvicina affettuosa una pecorella. «Questa è Rosy – ci dice orgoglioso il 60enne - è cresciuta senza mamma. L’ho accudita io sin dalla nascita dandole il latte con il biberon»
Un altro pastore, il 54enne Donato, fa brucare le proprie pecore a Triggiano, nella Lama San Giorgio
Donato è un agricoltore che da cinque anni ha voluto provare ad allargare la propria attività, comprando appunto un gregge
Mentre Donato parla vediamo sgambettare pecore e capre alla ricerca dell’erba più gustosa
Le capre più fameliche si arrampicano ovunque, fin sugli ulivi, pur di accaparrarsi la foglia più buona
Alla fine vediamo allontanarsi l’uomo, naturalmente seguito da un rumoroso, allegro e belante gregge di pecore



Ilaria Palumbo
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