di Paola Campanella - foto Rafael La Perna, Giorgia Lucrezia Settembre

A Madonnella una stradina chiusa nasconde un pezzo della Bari ottocentesca: è Vico Cettigne
BARI – Nel rione Madonnella, stretta tra corso Sonnino e i binari della ferrovia, si trova una minuscola stradina senza uscita di appena 51 metri di lunghezza che nasconde, al suo interno, un pezzo della “Bari che fu”. Il suo nome è vico Cettigne: un angolo della città chiuso da un cancello in cui ci si può imbattere in edifici ottocenteschi nati prima che il quartiere circostante si espandesse nel 900.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sebbene il tempo ne abbia in parte mutato i tratti e sbiadito i colori, questo vicoletto privato conserva ancora numerose tracce delle storie che l’hanno attraversato e che tuttora lo animano. Siamo andati a visitarlo (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Imbocchiamo quindi corso Sonnino sino ad arrivare al civico 147/bis, situato tra l’ex caserma dell’Aeronautica Sonnino e la chiesa di San Giuseppe. Qui ci ritroviamo davanti a un cancello in ferro color cannella che limita l’accesso al vico, il cui toponimo è riportato su una targa posta in alto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cettigne, da cui la stradina prende il nome, è il paese di nascita di Elena del Montenegro, consorte di Vittorio Emanuele III di Savoia, la quale nel 1896 abiurò il credo ortodosso per convertirsi alla fede cattolica nella Basilica di San Nicola di Bari. Leggenda vuole che la regina abbia alloggiato proprio in un palazzo di questo vicolo: un edificio tuttora esistente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta ora che varcare la soglia. Ad aprirci il cancello è Salvatore Capoccia, che qui ha il suo studio di gestione condomìni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Superato un breve tratto asfaltato stretto tra due pareti, ci ritroviamo a camminare su una particolare pavimentazione in cotto che una ventina d’anni fa è stata impiantata in sostituzione delle vecchie e ormai dissestate chianche bianche. 

Ci guardiamo intorno e notiamo come la strada sia costituita da antichi e bassi edifici costruiti a fine 800. In origine abitazioni, nel corso del 900 furono poi adibiti a botteghe. 

La prima costruzione sulla nostra destra presenta una facciata bianca interrotta da una porta azzurra a vetri cui fa pendant una persiana di egual colore. È il laboratorio dell’87enne falegname Pinuccio Volpe, che troviamo però chiuso al nostro arrivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Del signore ce ne parla il 71enne idraulico Franco Floro, che lavora al civico 14 della via. «Io sono qui da 25 anni, mentre il signor Volpe è nato e cresciuto in questo vico – ci dice –. Mi ha raccontato che, quand’era piccolo, in ognuna di queste case vivevano 3-4 persone. In quello che oggi è lo studio dell’amministratore ce n’erano addirittura 10, tutte in una stanza».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo lungo la viuzza troviamo sulla sinistra l’unico alloggio ancora abitato, come testimoniano le mollette colorate che affollano i fili per stendere il bucato sistemati accanto all’ingresso della casa. Ci viene però riferito che l’inquilino non ami essere disturbato: evitiamo così di bussare alla sua porta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’edificio è annessa una saracinesca che chiude un locale dismesso in cui un tempo lavorava un idraulico: il signor Timo. Alla parete è appeso un canestro da basket che pare inutilizzato da tempo. Abbandonate risultano essere altre due botteghe, di cui una chiusa da un vecchio portone in legno, che ospitavano un altro falegname e l’inventore Nicola Loglisci, morto pochi anni fa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma eccoci ora davanti allo studio dell’amministratore Capoccia. Varchiamo la soglia per entrare in una larga stanza che conserva un originale pavimento di chianche in pietra calcarea dell’800.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Ho fatto ristrutturare personalmente l’edificio, che prima del mio arrivo era ridotto a un rudere – esordisce il proprietario –. Io, da residente del quartiere Madonnella, sono sempre stato innamorato di questo vicoletto che somiglia a una stradina di paese. Così vent’anni fa ho deciso di aprire qui il mio studio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insieme a Salvatore andiamo alla scoperta dell’ultimo tratto di vico Cettigne, occupato da un’imponente dimora abbandonata. Tra tutti i segreti che la via sembra celare, il più affascinante appare quello sussurrato da questa residenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sebbene il palazzo sia attualmente diroccato – osserva Capoccia – è possibile comunque intuire la maestosità e il pregio che l’hanno caratterizzato in passato. Si racconta tra l’altro che sia proprio in questo stabile che abbia alloggiato Elena del Montenegro nel suo soggiorno a Bari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La struttura si staglia su tre livelli, tra cui il piano terra utilizzato un tempo come stalla. L’edificio è molto grande, più di quanto appaia dall’esterno: di fatto la sua parte posteriore si estende per tutta la via. Per entrarvi infatti dobbiamo tornare all’inizio della strada, lì dove un portone in ferro ci permette di accedere a un lungo corridoio. Veniamo quindi condotti in un largo ambiente con le pareti in pietra e dei particolari incavi nel muro: forse gli accessi a un vecchio pozzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sul lato opposto fa capolino una porta che, una volta superata, ci permette di ammirare uno scorcio che da fuori avevamo potuto solo intravedere. Interamente ricoperto da edera e altre piante rampicanti, si apre infatti ai nostri occhi il giardino della residenza che, sebbene ormai abbandonato a se stesso, emana ancora un certo fascino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo ora dall’immobile per ritornare alla fine della strada e mentre camminiamo notiamo in un angolo un pallone colorato. «Proviene dall’adiacente campo dell’oratorio della chiesa di San Giuseppe  – spiega la nostra guida –. Prima era facile che durante una partita i palloni arrivassero qui, superando il muro divisorio. Poi però è stato creato un nuovo terreno di gioco più riparato e dotato di una rete di protezione e quindi le “invasioni” calcistiche sono diventate meno frequenti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eppure di tanto in tanto qualche pallone riesce ancora a fare gol in vico Cettigne, proprio come è capitato a quello che abbiamo visto noi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma vico Cettigne e San Giuseppe sono legate anche da un’altra particolare circostanza. Vicino al campetto di calcio è infatti possibile dissetarsi da un’antica fontana in ferro: una tipica cape de fiirre con evidente fascio littorio, verniciata però di un insolito colore rosso. «In passato era collocata proprio nel vico – sottolinea Capoccia –. Fu spostata perché doveva necessariamente essere collocata su un suolo pubblico, visto che la stradina nel frattempo era diventata privata».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo infine un cortile attualmente utilizzato come parcheggio e delimitato dal muro che separa la strada dalla ferrovia. Qui vico Cettigne finisce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oltre la parete predetta notiamo però un edificio molto simile a quelli della nostra via. Ed è a questo punto che realizziamo che i binari tagliano in due quella che originariamente era un’unica strada. C’è quindi un tratto di vico Cettigne rimasto “orfano”, ma che comunque, nonostante “l’isolamento”, ha mantenuto l’aspetto originario ottocentesco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un piccolo angolo di Bari di cui abbiamo già parlato in passato. È situato all’inizio di via Oberdan ed è composto da una stradina fiancheggiata da basse case “gemelle” a quelle di vico Cettigne. Versa in uno stato di forte degrado ma ha conservato la sua fontana in ferro tuttora funzionante: simbolo di una vecchia Bari che, nascondendosi in queste viuzze, è rimasta uguale a se stessa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)
 


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Nel rione Madonnella, stretta tra corso Sonnino e i binari della ferrovia, si trova una stradina senza uscita di appena 51 metri di lunghezza che nasconde, al suo interno, un pezzo della “Bari che fu”. Il suo nome è vico Cettigne
Un angolo della città chiuso da un cancello in cui ci si può imbattere in edifici ottocenteschi nati prima che il quartiere circostante si espandesse nel 900
Imbocchiamo quindi corso Sonnino sino ad arrivare al civico 147/bis, situato tra l’ex caserma dell’Aeronautica Sonnino e la chiesa di San Giuseppe
Qui ci ritroviamo davanti a un cancello in ferro color cannella che limita l’accesso al vico...
...il cui toponimo è riportato su una targa posta in alto
Superato un breve tratto asfaltato stretto tra due pareti...
...ci ritroviamo a camminare su una particolare pavimentazione in cotto che una ventina d’anni fa è stata impiantata in sostituzione delle vecchie e ormai dissestate chianche bianche
Ci guardiamo intorno e notiamo come la strada sia costituita da antichi e bassi edifici costruiti a fine 800. In origine abitazioni, nel corso del 900 furono poi adibiti a botteghe. La prima costruzione sulla nostra destra presenta una facciata bianca...
...interrotta da una porta azzurra a vetri cui fa pendant una persiana di egual colore. È il laboratorio dell’87enne falegname Pinuccio Volpe, che troviamo però chiuso al nostro arrivo
Del signore ce ne parla il 71enne idraulico Franco Floro, che lavora al civico 14 della via. «Io sono qui da 25 anni, mentre il signor Volpe è nato e cresciuto in questo vico», ci dice
Proseguendo lungo la viuzza troviamo sulla sinistra l’unico alloggio ancora abitato...
...come testimoniano le mollette colorate che affollano i fili per stendere il bucato sistemati accanto all’ingresso della casa
All’edificio è annessa una saracinesca che chiude un locale dismesso in cui un tempo lavorava un idraulico: il signor Timo
Alla parete è appeso un canestro da basket che pare inutilizzato da tempo
Abbandonate risultano essere altre due botteghe, di cui una chiusa da un vecchio portone in legno...
...che ospitavano un altro falegname e l’inventore Nicola Loglisci, morto pochi anni fa
Ma eccoci ora davanti allo studio...
...dell’amministratore Capoccia
Varchiamo la soglia per entrare in una larga stanza che conserva un originale pavimento di chianche in pietra calcarea dell’800
Insieme a Salvatore andiamo alla scoperta dell’ultimo tratto di vico Cettigne, occupato da un’imponente dimora abbandonata
Si racconta tra l'altro che sia proprio in questo stabile che abbia alloggiato Elena del Montenegro nel suo soggiorno a Bari
La struttura si staglia su tre livelli, tra cui il piano terra utilizzato un tempo come stalla
L’edificio è molto grande, più di quanto appaia dall’esterno: di fatto la sua parte posteriore si estende per tutta la via. Per entrarvi infatti dobbiamo tornare all’inizio della strada, lì dove un portone in ferro...
...ci permette di accedere a un lungo corridoio
Veniamo quindi condotti in un largo ambiente con le pareti in pietra e dei particolari incavi nel muro: forse gli accessi a un vecchio pozzo
Sul lato opposto fa capolino una porta che, una volta superata, ci permette di ammirare uno scorcio che da fuori avevamo potuto solo intravedere. Interamente ricoperto da edera e altre piante rampicanti...
...si apre infatti ai nostri occhi il giardino della residenza che, sebbene ormai abbandonato a se stesso, emana ancora un certo fascino
Usciamo ora dall’immobile per ritornare alla fine della strada e mentre camminiamo notiamo in un angolo un pallone colorato
Proviene dall’adiacente campo dell’oratorio della chiesa di San Giuseppe. Prima era facile che durante una partita i palloni arrivassero qui, superando il muro divisorio...
...poi però è stato creato un nuovo terreno di gioco più riparato e dotato di una rete di protezione e quindi le “invasioni” calcistiche sono diventate meno frequenti
Ma vico Cettigne e la chiesa di San Giuseppe sono legate anche da un’altra particolare circostanza
Vicino al campetto di calcio è infatti possibile dissetarsi da un’antica fontana in ferro: una tipica cape de fiirre con evidente fascio littorio, verniciata però di un insolito colore rosso. «In passato era collocata proprio nel vico», sottolinea Salvatore
Raggiungiamo infine un cortile attualmente utilizzato come parcheggio...
...e delimitato dal muro che separa la strada dalla ferrovia. Qui vico Cettigne finisce
Oltre la parete predetta notiamo però un edificio molto simile a quelli della nostra via. Ed è a questo punto che realizziamo che i binari tagliano in due quella che originariamente era un’unica strada. C’è quindi un tratto di vico Cettigne rimasto “orfano”, ma che comunque, nonostante “l’isolamento”, ha mantenuto l’aspetto originario ottocentesco
È situato all’inizio di via Oberdan...
...ed è composto da una stradina fiancheggiata da basse case “gemelle” a quelle di vico Cettigne
Versa in uno stato di forte degrado ma ha conservato la sua fontana in ferro tuttora funzionante: simbolo di una vecchia Bari che, nascondendosi in queste viuzze, è rimasta uguale a se stessa



Paola Campanella
Scritto da

Rafael La Perna
Foto di

Giorgia Lucrezia Settembre
Foto di

Lascia un commento
  • Trifone - Ricordo che era tanto anni fa un centro di artigiani ebanisti vari
  • Scolamacchia Rosa - Interessante scoperta, sono passata di lì infinite volte ma non mi sono mai accorta di questo scorcio oltre il cancello. Articolo molto preciso e minuzioso.
  • Francesco - L'articolo però non ricorda che, tempo fa, quando non c'era il cancello a chiudere l'accesso al vico, nello slargo che si apre dopo un po', sulla destra, c'era una fontana pubblica dell'acquedotto.
  • BARINEDITA - @francesco non solo lo ricordiamo, ma abbiamo anche inserito una foto.
  • Vito Petino - RAGAZZINI IN CALZONI CORTI E DONNINE CON GONNE LUNGHE Vico Cettigne era la nostra oasi di sosta quando nei primi anni 50 da Japigia in piena estate ci recavamo in centro a comprare la palla di gomma nuova in sostituzione di quella forata giocando a calcio. I Superflex non erano ancora in commercio. La sosta in vico Cettigne la facevamo soprattutto al ritorno, sudati e assetati, per abbeverarci e bagnarci testa e viso alla fontana Eaap all'interno del vicolo cieco. La breve stradina chiusa dal muro della ferrovia, con imbocco da corso Sonnino, era a metà tragitto fra piazza Madonnella e il passaggio a livello che immetteva nel rione popolare dove avevamo avuto le case nuove. Io provenivo proprio dalla Madonnella. Abitavamo in precedenza in via Carulli, a 100 metri dalla piazza, che anagraficamente si chiama Carabellese; dunque molto pratico della zona, dove frequentavo ancora la scuola Balilla. Vico Cettigne, oggi chiuso anche sul davanti da un cancello metallico, è quasi di fronte a via Gorizia, una traversa di corso Sonnino. Ai lati dell'accesso vi erano a destra un panificio che non c'è più, a sinistra una pescheria tuttora attiva, ma non so se i titolari sono gli stessi d'allora o eredi di quelli. All'interno lungo il vico vi erano locali col solo piano terra utilizzati come piccole abitazioni, sia a sinistra che a destra. Quando si decideva di fare la sosta per bere, tanti di noi erano entusiasti. - Sì, sì, andiamo. Di fronte alla fontana c'è Mariangela la puttana, che ogni volta ci fa vedere il culo nudo. Mariangela era un donnone, a cui arrivavamo noi più alti a malapena sotto il seno. Così appena giunti facevamo chiasso intorno alla fontana per farla venire fuori. - Ehi, bambini, cos'è tutto 'sto baccano. Andatevene, sennò stacco il cane. Era la solita frase a cui eravamo abituati. E i più disinvolti chiedevano. - E dai, Mariangela, facci vedere il culo. - Sìi, e perché? - Perché così siamo contenti. - Perché siete viziosi; piccoli e già viziosi! Ma se ve lo faccio vedere, ve ne andate in silenzio? - Sì, sì, sì, sì, sì sì... Fu il coro all'unisono. Si alzò la gonna e non aveva mutande. Ma invece che silenzio vi fu un solo urlo corale del tipo "arrivano i nostri" nel finale di un film western. - E dai, almeno una volta girati. Chiesero i più audaci. - Ti vogliamo vedere almeno una volta davanti. - E in cambio che mi date. Avete soldi? - Sì, ho cento lire. Dissero in tre. - Allora quando ne avrete venti volte di più, e quando il pisellino vi sarà cresciuto tanto tanto. Tornate e vi metto alla prova. A occhio e croce il bacino intero del più robusto di noi era più piccolo di una mezza chiappa della Mariangela. Così si concludevano ogni volta questi incontri osè con Mariangela. Qualche fratello più grande dei nostri compagni diceva che vi erano altre due puttane nei locali vicini, ma noi non le abbiamo mai viste. C'erano pure famiglie povere che abitavano negli altri locali con bimbi piccoli che giocavano nel lungo e stretto vicolo. Ma non ci siamo mai creati il problema di come facessero a vivere vicino a quelle donne. E fra il contento e il deluso si riprendeva la strada del ritorno a casa. La palla nuova sotto il braccio, me ne andavo con i miei compagni, mentre alcuni di loro si esercitavano in aritmetica, calcolando quante volte il volume della palla entrasse in quello del culone di Mariangela...


Powered by Netboom
BARIREPORT s.a.s., Partita IVA 07355350724
Copyright BARIREPORT s.a.s. All rights reserved - Tutte le fotografie recanti il logo di Barinedita sono state commissionate da BARIREPORT s.a.s. che ne detiene i Diritti d'Autore e sono state prodotte nell'anno 2012 e seguenti (tranne che non vi sia uno specifico anno di scatto riportato)