di Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna

Ipogei, affreschi, lame e ville antiche: sono i tesori della nascosta strada Scanzano di Bari
BARI – Sorprendenti chiese rupestri e millenari ipogei nascosti in una lama che si insinua tra storiche ville, antichi edifici e rigogliosi vigneti. Quella che sembra la descrizione di un bucolico panorama lontano dal caos cittadino è ciò che è invece possibile scoprire attraversando strada Scanzano, una viuzza situata in un’area compresa tra le trafficatissime statali 16 e 100. (Vedi foto galleria)

Per raggiungere questo “mondo” posto tra Mungivacca e Triggiano, è necessario infatti imboccare da via Amendola la veloce arteria che conduce a Taranto. Superato di pochi metri il cavalcavia della 16, ecco apparire sulla destra l’accesso di strada Scanzano, reso praticamente invisibile agli automobilisti di passaggio a causa della sua posizione scomoda e defilata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Appena immessi nella via ci ritroviamo subito di fronte a due antiche ville che si ergono oltre i loro muri perimetrali. Una di queste ci appare con un prospetto ocra scandito da tre finestroni sormontati da una balaustra che ne delimita il terrazzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo ci imbattiamo sulla destra in una residenza più moderna dotata di un monumentale cancello di ingresso, mentre a sinistra si apre il nucleo residenziale della stradina: una ventina di villette a schiera dalla facciata bianca con annesso giardino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A quel punto la via asfaltata lascia il posto a un piccolo sentiero di campagna ai cui lati si aprono grandi campi coltivati e lunghi filari di vigneti. Un silenzioso e verde luogo situato ai piedi delle statali e a pochi passi dal centro commerciale Ikea, di cui è visibile l’imponente insegna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui siamo nell’alveo di Lama Fitta, ex antico fiume che nasceva ad Adelfia per andare a sfociare nei pressi di Pane e Pomodoro. Un canale oggi individuabile solo a tratti, soppiantato nel corso del tempo da edifici e strade.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questa zona è infatti ancora chiamata abbasce a la Fitte (giù alla Fitta) e proprio per le condizioni favorevoli all’agricoltura fu sede sin dal Neolitico di insediamenti rurali. Nuclei che si sono sviluppati soprattutto tra il X e il XIII secolo dopo Cristo, quando in questa parte di Bari sorgeva la vasta proprietà terriera del casale Cillaro.

Tra il 600 e il 700 punto di riferimento della zona divenne invece la masseria fortificata Scanzano (che ha poi dato il nome alla zona), attualmente denominata Pietrasole e adibita a sala ricevimenti. La struttura si trova a poca distanza, subito oltre i binari della Sud-Est (perché da qui passa anche la ferrovia). La dimora non è però più raggiungibile da dove ci troviamo poiché da circa un anno la strada è stata interrotta rendendola così ancora più isolata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci incamminiamo quindi lungo il sentiero e dopo un centinaio di metri sulla nostra destra si apre un campo leggermente in altura dove, nascosto dalla vegetazione, si erge a un vecchio fabbricato in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La struttura di due piani, ormai totalmente abbandonata, conserva ancora il suo solitario fascino. L’ingresso è sormontato da una vite rampicante, tradizionale simbolo di buon auspicio, sul piano superiore invece, al quale accediamo tramite una scala esterna, il soffitto risulta interamente crollato e dal pavimento crescono erbacce e persino un piccolo mandorlo in fiore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ritorniamo sui nostri passi e proseguiamo fino a raggiungere sulla sinistra un cancello arrugginito, che si apre su un vasto appezzamento coltivato a uva e cime di rapa. Ed è proprio qui che si nascondono, a poca distanza l’uno dall’altro, tre diversi ipogei. (Vedi video)

Ad accompagnarci è colui che gestisce il terreno, l’agricoltore Mimmo Mirizzi, che ci indica la prima grotta posta ai piedi di un casupolo per gli attrezzi. «Trent’anni fa fui io a segnalarne la presenza alle autorità - ci racconta -. Durante le ispezioni ne fu trovata un’altra più piccola a pochi metri da qui, dove vennero rinvenuti alcuni oggetti preistorici. Successivamente però venne richiusa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La cavità che visitiamo, scavata nella calcarenite, aveva probabilmente una struttura più ampia, ma è ormai ridotta a un solo ambiente a causa di crolli e riempimenti di terreno. L’accesso affiora dal terreno per poco meno di un metro ed è ostruito da rampicanti, ma riusciamo comunque ad affacciarci per intravederne l’interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Osserviamo così un unico anfratto con una colonna al centro, completamente invaso da rifiuti sul pavimento. Sulla parete destra sono presenti anche due piccole nicchie contrassegnate da quella che sembra essere una croce, forse segno di un utilizzo religioso della caverna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Seguendo i filari dei vigneti raggiungiamo il secondo ipogeo. Questo però pare una vera e propria discarica, tra antiche botti, un frigorifero, ferraglia e boccioni di vetro. L’ambiente, sorretto da una colonna centrale scavata nella pietra, rappresentava una vecchia abitazione rurale. È infatti ancora possibile riconoscere il forno e l’alcova adibita a giaciglio leggermente sopraelevata dal pavimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Negli anni 90 i ladri venivano qua a nascondere la refurtiva: erano i luoghi ideali per tenere al sicuro gli oggetti preziosi dopo le rapine», ci racconta Mimmo mentre ci conduce alla scoperta dell’ultimo antico sito presente sul terreno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo così il confine del campo, posto praticamente “sotto” la statale 100, e qui, parzialmente ricoperto da alberi di fico, arbusti e rampicanti di vario genere scorgiamo l’ingresso del terzo ipogeo: un’incredibile chiesa rupestre del XVI secolo.

Scendiamo così le scale in pietra che ci portano in un piccolo antro dove sono presenti tre nicchie, ma è quella centrale ad attirare subito la nostra attenzione. Al suo interno è infatti presente un antico affresco che, seppur sbiadito dall’umidità e dalla muffa, conserva ancora i suoi colori accesi. Si tratta di un altare votivo impreziosito da un dipinto della Madonna di Costantinopoli con in braccio Gesù Bambino.

Riusciamo a scorgere ancora i tratti rosso e blu del vestito della Vergine e, laterale al volto di quest’ultima, anche un’iscrizione. Ormai quasi illeggibile, venne trascritta dallo storico Franco dell’Aquila nel 1977 come S. Maria De Consntinopoli – eat rildines – iacobo amo – 1578, senza però riportare un’interpretazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo quindi davanti a un vero e proprio tesoro storico e religioso, che per secoli è stato riconosciuto e valorizzato. Basti dire che qui, fino agli anni 50, veniva un parroco a dire messa la domenica. «Oggi invece - commenta Mimmo - questo luogo è stato completamente dimenticato, anche dagli stessi abitanti di strada Scanzano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni De Bartolo) la nostra visita tra i tesori di Strada Scanzano:



© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Per raggiungere questo “mondo” posto tra Mungivacca e Triggiano, è necessario imboccare da via Amendola la statale 100
Superato di pochi metri il cavalcavia della 16, ecco apparire sulla destra l’accesso di strada Scanzano, reso praticamente invisibile agli automobilisti di passaggio a causa della sua posizione scomoda e defilata
Appena immessi nella via ci ritroviamo subito di fronte a due antiche ville che si ergono oltre i loro muri perimetrali. Una di queste ci appare con un prospetto ocra scandito da tre finestroni sormontati da una balaustra che ne delimita il terrazzo
A sinistra si apre invece il nucleo residenziale della stradina: una ventina di villette a schiera dalla facciata bianca con annesso giardino
A quel punto la via asfaltata lascia il posto a un piccolo sentiero di campagna...
...ai cui lati si aprono grandi campi coltivati e lunghi filari di vigneti. Un silenzioso e verde luogo situato ai piedi delle statali e a pochi passi dal centro commerciale Ikea, di cui è visibile l’imponente insegna
Qui siamo nell’alveo di Lama Fitta, ex antico fiume che nasceva ad Adelfia per andare a sfociare nei pressi di Pane e Pomodoro
Questa zona è infatti ancora chiamata abbasce a la Fitte (giù alla Fitta) e proprio per le condizioni favorevoli all’agricoltura fu sede sin dal Neolitico di insediamenti rurali. Nuclei che si sono sviluppati soprattutto tra il X e il XIII secolo dopo Cristo, quando in questa parte di Bari sorgeva la vasta proprietà terriera del casale Cillaro
Tra il 600 e il 700 punto di riferimento della zona divenne invece la masseria fortificata Scanzano (che ha poi dato il nome alla zona), attualmente denominata Pietrasole e adibita a sala ricevimenti. La struttura si trova a poca distanza, subito oltre i binari della Sud-Est (perché da qui passa anche la ferrovia)
Ci incamminiamo quindi lungo il sentiero e dopo un centinaio di metri sulla nostra destra si apre un campo leggermente in altura dove, nascosto dalla vegetazione, si erge a un antico fabbricato in pietra
La struttura di due piani, ormai totalmente abbandonata, conserva ancora il suo solitario fascino. L’ingresso è sormontato da una vite rampicante, tradizionale simbolo di buon auspicio...
...sul piano superiore invece, al quale accediamo tramite una scala esterna, il soffitto risulta interamente crollato e dal pavimento crescono erbacce e persino un piccolo mandorlo in fiore
Ritorniamo sui nostri passi e proseguiamo fino a raggiungere sulla sinistra un cancello arrugginito, che si apre su un vasto appezzamento coltivato a uva e cime di rapa. Ed è proprio qui che si nascondono, a poca distanza l’uno dall’altro, tre diversi ipogei
Ad accompagnarci è colui che gestisce il terreno, l’agricoltore Mimmo Mirizzi...
...che ci indica la prima grotta posta ai piedi di un casupolo per gli attrezzi
L’accesso affiora dal terreno per poco meno di un metro ed è ostruito da rampicanti, ma riusciamo comunque ad affacciarci per intravederne l’interno
Osserviamo così un unico anfratto con una colonna al centro, completamente invaso da rifiuti sul pavimento. Sulla parete destra sono presenti anche due piccole nicchie contrassegnate da quella che sembra essere una croce, forse segno di un utilizzo religioso della caverna
Seguendo i filari dei vigneti...
...raggiungiamo il secondo ipogeo
L’interno sembra una vera e propria discarica, tra antiche botti, un frigorifero, ferraglia e boccioni di vetro risulta difficile anche camminare
Questo però pare una vera e propria discarica, tra antiche botti, un frigorifero, ferraglia e boccioni di vetro. L’ambiente, sorretto da una colonna centrale scavata nella pietra, rappresentava una vecchia abitazione rurale...
...è infatti ancora possibile riconoscere il forno...
...e l’alcova adibita a giaciglio leggermente sopraelevata dal pavimento
Raggiungiamo così il confine del campo, posto praticamente “sotto” la statale 100...
...e qui, parzialmente ricoperto da alberi di fico, arbusti e rampicanti di vario genere scorgiamo l’ingresso del terzo ipogeo
Scendiamo così le scale in pietra che ci portano in un piccolo antro dove sono presenti tre nicchie, ma è quella centrale ad attirare subito la nostra attenzione
Al suo interno è infatti presente un antico affresco che, seppur sbiadito dall’umidità e dalla muffa, conserva ancora i suoi colori accesi
Si tratta di un altare votivo risalente al XVI secolo, impreziosito da un dipinto della Madonna di Costantinopoli con in braccio Gesù Bambino
Riusciamo a scorgere ancora i tratti rosso e blu del vestito della Vergine e, laterale al volto di quest’ultima, anche un’iscrizione: S. Maria De Consntinopoli – eat rildines – iacobo amo – 1578



Giancarlo Liuzzi
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  • Francesco Quarto - mi vengono le lacrime agi occhi: degrado, incuria, strafottenza degli organi preposti alla tutela del territorio, del patrimonio storico e culturale del territorio. si abbattono antiche ville, si lascia annegare nella sporcizia , anzi nel "rimmato" antichi luoghi di culto o di vita sociale. l'ultima l'ho letta giorni fa: Scoperto un arsenale della malavita in una lama in territorio di Monopoli (località Losciale)! e il Mibac (o quale che sia il nuo attiale nome) se ne fotte (scusate il termine) ciao Francesco Quarto


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