di Marco Montrone e Giancarlo Liuzzi - foto Rafael La Perna

Masserie, caprette, acqua sorgiva e tanto verde: c'è un angolo di Bari rimasto fermo nel tempo
BARI – Esiste un angolo del quartiere Japigia di Bari dove è ancora possibile imbattersi in caprette che corrono nei campi, scorgere acqua sgorgare dai pozzi e parlare con contadini in vecchie fattorie all’ombra di alberi da frutto. Un pezzo rurale del capoluogo pugliese circondato da alti palazzi e complessi residenziali che per decenni è sopravvissuto alla cementificazione e allo sviluppo urbanistico. Almeno fino ad oggi, visto che i lavori della variante collo d’oca del nodo ferroviario hanno cominciato a “rubare terreno” a quest’amena area verde per fare spazio a strade, stazioni e sottopassi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La zona in questione è quella compresa tra via Padre Pio, il torrente Valenzano, i binari dei treni della sud-est e il ponte Padre Pio. Prima che l’area cambi totalmente volto, siamo quindi andati a visitarla. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio inizia ai piedi del ponte che collega i rioni San Pasquale e Japigia. Dopo aver superato un’antica casa che spunta in alto sul cavalcavia, imbocchiamo via Caldarola per girare però dopo pochi metri sulla destra, lì dove si apre la stretta via Padre Pio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questa strada a sinistra è fiancheggiata da alti palazzi nati negli anni 70, 80 e 90 del secolo scorso, mentre a destra è caratterizzata da basse e bianche costruzioni che ospitano qualche esercizio commerciale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci incamminiamo su questa viuzza per raggiungere dopo pochi metri il civico n.3, lì dove un cancello in ferro nasconde la prima delle grandi sorprese che ci regalerà questa zona di Bari. Superato infatti l’ingresso entriamo nell’aia di un’abitazione di campagna occupata da quattro uomini molto avanti con l’età e da decine di gatti e qualche cagnolino. Notiamo anche una vecchia stia che ospita alcune galline.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Un tempo erano molto di più e tutti gli abitanti della zona venivano da noi a prendere le uova fresche  - ci dice uno degli anziani –. Avevamo anche delle pecore: potevamo definirci una piccola fattoria. Anche se qui continuiamo a coltivare limoni, fichi e uva con vecchi attrezzi agricoli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Salutiamo i signori e proseguiamo su via Padre Pio costeggiando bassi muretti a secco e delle reti in ferro che lasciano intravedere ampi terreni agricoli. Fino ad arrivare all’imbocco di un viottolo sterrato. Lo percorriamo immergendoci nell’aperta campagna ascoltando il frinire di cicale e costeggiando alberi di ulivo e fichi d’india.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla sinistra si apre invece un’area incolta, quella che fino agli anni 90, ricoperta di breciolina, era il teatro di infuocate partite di pallone 11 contro 11. Siamo infatti davanti all’ex “Campo Gescal”, uno dei vecchi terreni di gioco che caratterizzavano i quartieri periferici di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Prendeva il nome della case popolari che sorgevano nella vicinanze (Gescal è proprio l’acronimo di “Gestione case per i lavoratori”). Qui si giocava ogni giorno, ma la domenica mattina vi si svolgevano tornei tra rappresentative dei quartieri di Bari, con tanto di arbitro e reti montate per l’occasione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo il cammino per imbatterci in una casupola in pietra e lamiera che sembra uscire un film neorealista. Utilizzata come deposito di attrezzi da un contadino è serrata da una precaria recinzione in legno. Un suggestivo scenario rurale a cui fanno da contrasto le alte e colorate palazzine residenziali di Japigia, che svettano sullo sfondo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Simile visuale la si ha guardando verso San Pasquale, lì dove alle spalle di un silente edificio su due piani il panorama è occupato da bianchi palazzoni in costruzione, oltre che dall’imponente complesso dell’Executive Center di via Amendola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma ora un continuo e sonoro scroscio richiama improvvisamente la nostra attenzione e ci fa avvicinare a un antico pilone: una vasca in pietra da cui fuoriesce limpida acqua di falda usata per irrorare i campi. Una visione che è lecito definire inedita per Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oltre la struttura si estendono vaste piantagioni di pomodori “sorvegliate” da decine di lumachine, raggruppate una sull’altra su dei paletti di legno.


Riprendiamo il percorso tra alberi di fico, uliveti e reti di materassi usate a mò di cancelli. Nella vasta campagna troviamo altri casolari agricoli in pietra: uno di questi è affiancato da un deposito ricolmo di decine di cassette per frutta e verdura.

E mentre siamo intenti a fotografare delle rose rosse in fiore, ci viene incontro un traballante treruote verde carico di ferraglia. A guidarlo sono gli anziani coniugi albanesi Nedin e Vasha (lei con tanto di fazzoletto a coprire il capo), a Bari da 32 anni. «Siamo in pensione – ci dice l’uomo – e dopo aver fatto tutti i possibili mestieri, oggi continuiamo a mantenerci attivi raccogliendo i “ferri vecchi” che non servono più».

Li salutiamo per andare a incontrare subito dopo il 76enne Domenico e suo fratello Onofrio, di 82 anni, che qui gestiscono un piccolo vivaio, continuando con tenacia a coltivare i terreni della loro famiglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Siamo qua dagli anni 60 - ci dicono i due -. A nostro padre espropriarono il suo terreno in via Gentile per costruirci il Sacrario e così con i soldi ricevuti comprammo un appezzamento in questa zona. Ironia della sorte, ora ci hanno espropriato metà della proprietà per permettere i lavori della ferrovia. Noi comunque continuiamo a venire ogni giorno per curare la nostra cara terra».

Domenico ed Onofrio ci invitano nella loro tenuta dove tra viti, gustosi gelsi rossi che pendono da alberi secolari e succulenti fichi, si respira ancora l’aria della campagna di una volta. Ci colpisce in particolare un orto, sorvegliato da un teschio di un caprone e da un orso di peluche “spaventapasseri”, dove vengono coltivate piante di ogni genere, persino ceci che vediamo ad essiccare su un telone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma ci basta percorrere qualche decina di metri per venire fermati da un muro di cemento che delimita il cantiere in corso del nodo ferroviario. Il progetto è imponente: sposterà in quest’area i binari delle Ferrovie dello Stato che dalla Stazione centrale ora proseguono lungo la costa. Le rotaie si andranno ad affiancare a quelle delle Ferrovie Sud-Est che da più di un secolo tagliano questa zona di campagna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E non finisce qui, perché è prevista anche la costruzione di nuova stazione dei treni e di un sottopasso per le auto che collegherà via Cesare Diomede Fresa (alle spalle dell’Executive Center) a via Padre Pio. Lavori che, inevitabilmente, stravolgeranno questa pura e silenziosa area agricola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ci hanno tolto anche il pilone che forniva acqua da decenni - sottolinea Domenico indicandoci un’area vuota accanto a un piccolo edificio con la porta azzurra -. Speriamo a questo punto che non interrino il pozzo ma che al contrario utilizzino in qualche modo questa preziosa acqua di falda. Così come ci auguriamo che costruiscano perlomeno un muretto per separare la nostra proprietà dalle strade che qui sorgeranno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Diamo la buona giornata ai due agricoltori per ritornare su via Padre Pio. Proseguiamo sulla strada per poi girare a sinistra su via Cavalieri di Vittorio Veneto e subito a destra in via Luigi Gurakuqi. Qui, ai piedi di un albero, scoviamo una lastra d’acciaio con un numero 7 disegnato sopra che indica l’inizio di un sentiero che prosegue in un vasto campo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo percorriamo sotto un sole che fa splendere le gialle spighe di grano dalle quali spunta una casamatta della Seconda guerra mondiale. Siamo quasi a ridosso del torrente Valenzano e, sullo sfondo, intravediamo anche le grigie palazzine della “Zona 45”, regno del boss Savinuccio Parisi.

Ma ecco oltre gli alberi apparire di fronte a noi un’antica e imponente masseria. Si innalza su due livelli ed è interamente circondata da un alto muro di cinta, ad eccezione di un ampio arco in pietra di ingresso chiuso da una lamiera in ferro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E a un certo punto, mentre facciamo un altro passo verso l’edificio, un gregge di circa venti caprette, bianche e marroni, ci taglia improvvisamente la strada, incuriosite dalla nostra presenza. Un incontro inaspettato, che in futuro nessun barese potrà più fare, quando questo silenzioso angolo di Bari rimasto fermo nel tempo verrà spazzato via dal rumore di auto, viaggiatori e treni in arrivo e partenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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Marco Montrone
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  • Vito Petino - Adeguandomi alla vostra stessa correttezza, farò solo nomi omettendo i cognomi di alcuni miei committenti professionali in zona, poi diventati amici. Mi sono stati affidati incarichi per sanare situazioni urbanistiche e catastali da Nicola al civico 1 e 1a e da Pasquale al civico 3 di via Padre Pio. Il cancello di Pasquale l'ho attraversato millanta volte con strumenti ottici e non. Oggi ci vivono Pasquale e la sorella rimasti celibe e nubile, attorniati da una caterva di nipoti, figli di Girolamo, unico con Pasquale e sorella tuttora in vita, e degli altri fratelli deceduti. Tutti nati nella masseria paterna, presumibilmente di metà '800 ereditata dagli avi, e tutti coltivatori del proprio fondo. Vito, aveva un box per frutta verdura e ortaggi di produzione propria, che vendeva nel mercato coperto di via Caduti Partigiani, a meno di cinquecento metri dal loro suolo agreste. Oggi il box è gestito dalla sua vedova. Continuo ad andare da Pasquale, e mai una volta che l'abbia trovato solo; sempre in compagnia di amici vicini di quartiere, vecchi e giovani. E, oltre a fare il pieno di aria pulita e di antiche atmosfere di altre masserie baresi scomparse, di cui più volte ne ho raccontato su FB, non vado mai via a mani vuote. Mi carico di frutta verdura ortaggi appena colti, e soprattutto di uova freschissime, e porto tutto a casa per la gioia dei miei...
  • Michele - Se volete qualche informazione sull'ultima masseria con le capre ve le posso dare io, io miei nonni ci hanno abitato dagli anni 50 a fine anni 80


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