Bari, viaggio nel campo "a cinque stelle": la vita dei rom tra "dittatura" e libertà
Letto: 12652 volte
lunedì 4 settembre 2017
Letto: 12652 volte
di Eva Signorile e Marianna Colasanto
Uno di questi è “cinque stelle” di Japigia, così chiamato perché al suo interno sono presenti acqua, corrente elettrica e servizi igienici. Un villaggio però che appare un po’ a “numero chiuso”. Che sia per i limitati posti al suo interno, per la presumibile difficile convivenza tra diversi clan o per le presunte “tangenti” che è necessario pagare per entrarci, non sembra così facile accedervi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Invitati dal capo indiscusso del campo, Daniel Tomescu, siamo andati a visitare il “cinque stelle”, entrando in un mondo sì “libero”, dove i bambini possono correre scalzi tra costruzioni messe su senza rispettare particolari vincoli, ma comunque guidato da una serie di norme che ne permettono la convivenza con il resto della città di Bari. (Vedi foto galleria)
Al campo si arriva percorrendo fino alla fine via Caldarola: superato il cavalcavia che permette l’accesso alla tangenziale, sulla destra si trova una grande area recintata con le reti schermate da teloni agricoli. (Vedi video)
Entrando ci ritroviamo in uno spiazzo su cui si affacciano delle baracche circondate da ulivi. Alla nostra sinistra ci sono i bagni: sono appena quattro, due per gli uomini e due per le donne, a fronte di duecento persone che abitano il villaggio: è inevitabile che i servizi siano parecchio sporchi. Poco più in là giacciono rottami di vario tipo. Insomma l’inizio non è proprio a cinque stelle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sulla nostra destra si trova una roulotte, fuori dalla quale tre signore stanno dipingendo dei manufatti, ma non sono rom, bensì suore che da qualche tempo vivono nel campo e che preferiscono non parlare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La casa di Tomescu è poco oltre. Ci accoglie in una specie di veranda, dove teli colorati offrono riparo dal sole. Una donna dai capelli corvini e lucidi, ordinatamente raccolti in uno chignon, sta innaffiando delle piante grasse. L’uomo le parla in lingua straniera e lei scompare oltre l’uscio per riemergerne poco dopo con delle bottigliette d’acqua per tutti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le ha parlato nella lingua “romanì”, ciò che unisce l’eterogeneo popolo “zingaro”. Quale che sia infatti la propria provenienza (dalla Polonia alla Russia) tutti i rom parlano questo antichissimo idioma di origine indiana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il capo ci spiega che tutto ciò che si dice sul campo è falso. Intanto non è pieno, le case infatti non sono tutte occupate. E anche la storia per cui qui vivano solo rom appartenenti a determinate nazionalità e clan viene da lui smentita. A dimostrazione, ci presenta Stefan, un 19enne che si è trasferito qui proprio dopo lo sgombero della baraccopoli di strada Cannone. «E poi qui dentro – continua – siamo sì a maggioranza rumena, ma ci sono anche una famiglia tunisina e una albanese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma allora perché è così difficile entrarci? «Perché si sa che qui si accede solo se si accettano e si rispettano determinate regole – ci risponde il leader – e non tutti sono disposti ad accettarle e a rispettarle. Per questo mi chiamano il “dittatore”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi alla fine è Tomescu a decidere chi può far parte di questo villaggio. Ma quali sarebbero queste norme? Daniel ci spiega che ogni nuovo nucleo che arriva è tenuto a comunicarlo alle forze dell’ordine, a fornire i documenti e ad annotare i propri dati su un registro. Ma anche a versare una certa quota, sia quando si installa che giornalmente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Insomma la storia delle “tangenti” sarebbe in parte vera. «Si ma questi soldi non servono ad arricchire me – tiene a precisare -. Ogni volta che una casa viene lasciata da una famiglia che va via io la riscatto versando la cifra che mi richiedono. Le nuove persone che vi abiteranno poi mi rimborseranno la quota versata. I due euro che poi ogni nucleo è tenuto a versare quotidianamente servono per la gestione del campo: dalla potatura degli ulivi alla manutenzione generale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una delle regole più ferree riguarda i minori che vivono qui, in tutto una sessantina. Coloro che vi abitano sono obbligati a mandare i figli a scuola e a non sfruttarli in alcun modo, né per l’elemosina, né per il lavoro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I bambini sono decisamente una delle meraviglie di questo strano luogo fuori dal tempo e dallo spazio: ci spiano per un po’ dalle finestre o da dietro le tende, si scambiano occhiate complici, poi scoppiano in risatine birichine. Alcuni sfrecciano tra gli ulivi a bordo dei loro tricicli o di biciclette troppo più grandi di loro o ancora giocano scalzi, incuranti delle asperità del brecciolino. Una bimba ci viene incontro equilibrandosi su scarpe rosse da donna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Intanto Tomescu ci porta a fare il giro del campo, che scopriamo essere molto più grande di quanto avessimo immaginato: continua infatti sul fondo a sinistra, con le abitazioni che si affacciano lungo una stretta strada. Sugli usci sono riuniti gruppi di uomini: alcuni giocano a un misterioso gioco con le carte. Le donne invece ripuliscono e lo fanno secondo turni prestabiliti scritti su un foglio affisso su una parete.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le abitizioni sono incredibili opere di ingegneria del riciclo: tutto ciò che normalmente si butta, qui viene recuperato per farne porte, finestre e lamiere. Gli ambienti sono suddivisi da teli colorati, a volte sfruttati per dare ombra. Sopra ogni baracca campeggia una parabola di chiara origine romena.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Entriamo in una delle abitazioni. I suoi proprietari sono una coppia in là con gli anni. Lui rimpiange i tempi del dittatore Ciausescu, ma si commuove quando ci parla del figlio che non c’è più, morto a causa di una malattia che lo ha portato via troppo giovane. Assieme alla casa di Daniel, la loro è la più grande del villaggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Malgrado l’apparente approssimazione con cui sembrerebbero star su, questi rifugi sono curati. All’interno i pavimenti sono sostituiti dai tappeti e poi ci sono mobili, cucine, salotti, televisioni e computer.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma i rom come si guadagnano il denaro necessario per pagarsi queste cose e la permanenza nel campo? «Di certo non rubando – afferma Tomescu - è un’altra delle regole -. Ciò che facciamo è andare a cercare tra i bidoni dell’immondizia vestiti e oggetti da portare al mercato delle pulci o da rivendere in qualche modo. E poi c’è sempre l’elemosina. Alla fine noi siamo rom, viviamo così, che piaccia o no».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
Nel video (di Gianni de Bartolo) la nostra visita al campo rom a “5 stelle” di Bari:
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- giuseppe - ma l'elettricità e l'acqua che consumano chi la paga?